Sabato, 23 Novembre 2024
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Chi ha paura di Virginia Woolf (e del lupo cattivo)?

Recensione dello spettacolo Chi ha paura di Virginia Woolf? in scena al Teatro Vascello dal 9 al 14 maggio 2017

Un nonsense, a partire dal titolo. Un dramma dove non si riesce a cogliere il filo e il fine del discorso, dove sotto l'illogicità della trama (e del titolo) è nascosta la verità.
Nulla di strano se si pensa che Edward Albee, autore di Chi ha paura di Virginia Woolf?, è stato l'artefice del teatro dell'assurdo e che, proprio con tale opera del lontano 1962, fu in grado di mettere sotto shock la platea di Broadway per aver messo in discussione la morale convenzionale americana, una sorta di denuncia che smascherava le bugie, le ipocrisie, i nodi irrisolti e i segreti di una società celata dietro un'apparente immagine piccolo borghese o borghese. Lo scandalo fu reso tanto più grande perché Albee, nel mettere in atto la propria opera, scelse la strada più semplice e immediata: utilizzare il fondo oscuro dei sentimenti di coppia mettendo in piazza i retroscena del rapporto tra marito e moglie.

Ed è così che in Chi ha paura di Virginia Woolf?, suo più grande capolavoro ma che per il registro assunto gli negò il premio Pulitzer, Albee gioca con i personaggi divertendosi a massacrarli e a farsi massacrare l'un l'altro.
Il dramma si svolge in un unico atto. Martha (Milvia Marigliano) e George (Arturo Cirillo), una coppia di mezza età, tornano a casa dopo aver trascorso una serata ad una delle tante feste del padre di lei, Rettore dell'università. George vorrebbe andare a dormire ma Martha lo informa che di lì a breve riceveranno la visita di due giovani ospiti, Nick (Edoardo Ribatto), un collega di George dell'università, e Honey (Valentina Picello). Già dalle prime battute – non sempre comprensibili per logicità – si avvertono i toni alti della coppia non più giovane di fronte ai due visitatori, toni che si fanno sempre più accesi man mano che la notte trascorre lenta e fluida tra sigarette e fumi dell'alcol. Complici, forse, proprio l'ora tarda e le alzate di gomito, i quattro si addentrano in una specie di "gioco della verità", un labirinto di parole che porta le due coppie a mettere a nudo tutto di sé, soprattutto i padroni di casa e l'ignavia Martha la quale accusa il marito di essere un fallito portato in alto professionalmente da suo padre. George, a sua volta, accusa Martha di essere una bambina viziata buona a nulla, e tutto questo davanti agli occhi di Nick e Honey, tirati involontariamente (o volontariamente?) in ballo nella vicenda, quasi invidiati nella leggerezza del loro rapporto di fronte ai cocci di un matrimonio ormai in pezzi come quello di Martha e George. Ben presto si scoprirà invece che anche Nick e Honey hanno i propri segreti e le proprie debolezze nascoste. Lui, professore di biologia dello stesso ateneo di George, è un giovane palestrato costretto a sposare la moglie perché creduta incinta (in realtà era una gravidanza isterica). Honey, di contro, è una ricca ragazza disposta a tutto pur di non avere figli, e intanto continua a bere e vomitare perché a darle la nausea, si scoprirà, è proprio il marito.
In una crescente atmosfera di angoscia e cupezza, nell'attesa di una catarsi tra le due coppie, si assiste così a frecciate e battute al veleno che si mischiano ad un linguaggio talvolta gretto e volgare, musiche di Schubert alternate alla musica pop e al disfacelo di una umanità che è anche contemporanea.
Arturo Cirillo, nel mettere in scena il testo di Edward Albee per la traduzione di Ettore Capriolo, mette in scena due coppie, due solitudini, due generazioni a confronto, e lo fa con uno stile, con una interpretazione degli attori e con un linguaggio che spiazza: la realtà si mischia alla finzione – Martha e George, lasciati soli dalla fuga dei loro ospiti, si ritrovano a piangere sul cadavere di un figlio immaginario, che George ha approfittato per far morire attraverso un telegramma – il passaggio tra una scena e un'altra è intervallata da battute che sembrano non avere un senso ma che, invece, è un continuo reiterare di "rimproveri", "ammonizioni", "premonizioni", "avvertimenti" che, in certi casi, assumono le vesti di "minacce" (un classico esempio è il modo in cui George si rivolge a Nick, non si sa se per invidia o rabbia); c'è poi questa continua trasformazione di Martha, una donna piena di voglie e fantasie che vorrebbe continuare a mantenere in vita per non lasciarsi sopraffare dalla tristezza e dal rammarico del tempo che passa, a tratti forte e dura, consapevole di se stessa, e a tratti debole. Solo alla fine svelerà che ad aver paura di Virgina Woolf è proprio lei. Il titolo, in effetti, rimanda ad un gioco di parole della canzone Chi ha paura del Grande Lupo Cattivo? (Who's Afraid of the Big Bad Wolf?) che George e Martha canticchiano di quando in quando, evocando con essa il "lupo cattivo" presente nella loro esistenza, e al contempo la "Virginia Woolf" che c'è in loro, squilibrata e suicida come il loro matrimonio.
Chi ha paura di Virginia Woolf? non si presenta come un semplice testo da portare in scena, soprattutto se si pensa al confronto con quello portato sul grande schermo da Elizabeth Taylor e Richard Burton nella loro straordinaria interpretazione del '66 per la regia di Mike Nichols, per non parlare della prima rappresentazione in Italia portata in scena da Franco Zeffirelli con Enrico Maria Salerno e Sarah Ferrati. Tuttavia Cirillo ha saputo reggere il paragone, credibilissimo nelle vesti del "fannullone" George affiancato da un'altra altrettanto bravissima Milvia Marigliano e la straordinaria Valentina Picello.
C'è da dire però che, pur nonostante la bravura dei due interpreti maschili, la voce delle due donne è stata molto più forte e sentita e, soprattutto, molto, molto brave nel reggere il gioco di vittime e carnefici.

 

Costanza Carla Iannacone
14 maggio 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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