Recensione dello spettacolo Tempi Nuovi di Cristina Comencini con Maurizio Micheli e Iaia Forte. Regia di Cristina Comencini. In scena al teatro Ambra Jovinelli dal 27 febbraio 2019 al 10 marzo 2019
Sembra di sentire il profumo di quelle pagine lievemente ingiallite su cui prende forma un antico inchiostro che ci riporta a tempi lontani, quasi indefiniti: in quello studio, arredato solo da libri, da una lampada dai colori caldi e una sola poltrona, che richiama il bisogno di solitudine e di meditazione, anche lui, il sign. Giuseppe, sessantenne e storico di professione, si trova costretto, suo malgrado, a confrontarsi con la tecnologia del suo computer il cui funzionamento risulta alquanto indigesto. La moglie, Sabina (Iaia Forte), una giornalista rampante, costretta ad adattarsi alla velocità dei tempi attuali, contrappone, invece, la sua modernità allo stile di vita anacronistico del marito molto più a suo agio nel reale piuttosto che nel virtuale.
Antonio (Nicola Ravaioli), il loro giovane figlio ancora studente, esaspera il concetto di modernità allargandone i risvolti: la stessa noncuranza, frugalità e velocità con la quale scrive un messaggio al cellulare colorano e contraddistinguono anche le sue relazioni sentimentali attuali. L’mpegno e la sofferenza per amore lasciano il posto a legami privi di responabilità e coinvolgimento in cui si diventa turnisti all’interno di una relazione alquanto provvisoria e scevra da implicazioni. Nel suddetto gioco familiare di opposti, l’equilibrio, finora garantito dall’accettazione ed integrazione delle differenze individuali, verrà messo sotto scacco da Clementina (Sara Lazzaro), la primogenita della coppia. Ella, infatti, attraverso una “confessione” inaspettata, farà crollare le singole certezze, richiamando la famiglia ad una concreta accettazione di una realtà, forse non voluta, ma pur sempre figlia dei tempi nuovi. La richiesta di apertura al mondo e all’attualità verrà inaspettatamente raccolta dal sign. Giuseppe, mentre traballerà il tentativo di adattamento da parte di coloro che si erano professati moderni.
La modernità ha bisogno del passato e di radici culturali ben solide per farsi accettare: chi apprezza il passato sa come integrarlo nel presente, vedendo in questo una naturale prosecuzione dell’allora, laddove una modernità legata solo all’adesso entra in crisi quando occorre realmente essere attuali. Non è un caso, infatti che Antonio a scuola sia carente proprio in storia che, oltre ad essere la materia lavorativa del padre, è quella che, più di ogni altra, forgia le radici che permettono di supportare e interpretare gli scossoni dei tempi nuovi. La drammaturgia di Cristina Comencini, che cura anche la regia, riesce a far dialogare la leggerezza dei tempi moderni e la profondità di quelli passati trovando un nuovo punto di equilibrio rintracciabile nell’integrazione armoniosa e ironica delle due istanze temporali. La sfida implicita sembra infatti riguardare il come rimanere se stessi senza snaturarsi, mantenendo quindi uno sguardo aperto che, ben lungi dall’accettare tutto, contiene gli strumenti per interpretare il mondo. Gradevoli e ben dosate alcune battute che, non saturado la drammaturgia, riescono a colorarla con discrezione, aggiungendo ulteriore fluidità.
L’idea della provvisoria malattia di Giuseppe, che provoca in lui il ripudio per i libri e l’innamoramento per la tecnologia, è parsa eccessivamente estemporanea e pre confezionata, slegata, quindi, dallo sviluppo della trama che avrebbe meritato uno sbocco più “alto”. Sulla polarità del tutto - nulla sembra orientarsi la scenografia di Paola Comencini che, con pochi elementi, riesce a creare sia un ambiente caldo e accogliente sia il suo opposto, assecondando armoniosamente la narrazione e il suo simbolismo. La vicenda infatti, pur sviluppandosi nello studio di Giuseppe, avrà dapprima, come sfondo una enorme libreria traboccante di libri che, contestualmente all’innamoramento da parte di questi verso il cellulare, si svuotarà completamente, richiamando simbolicamente la sua desolazione interiore. Maurizio Micheli è parso perfettamente a proprio agio nei panni del protagonista di cui ha esaltato i contorni caratteriali: l’attore, infatti, attraverso un umorismo mai fine a se stesso, è riuscito a sintetizzare contemporaneamente comicità nel verbale e malinconia nel corporeo.
Gradevole la recitazione di Iaia Forte anche se non sempre è sembrata dentro il personaggio creando, di fatto, momenti di intermittenza recitativa. Alla spontaneità complessiva di Nicola Ravaioli si affianca quella di Sara Lazzaro: quest’ultima è sembrata a tratti non trasmettere la drammaticità ed il vissuto interiore del suo personaggio, sicuramente non facile da interpretare, che avrebbe forse meritato un’ espressività emotiva più convinta. Lo spessore complessivo della pièce ha lasciato il pubblico appagato ed intellettualmente soddisfatto. Considerando che in origine la parte interpretata da Maurizio Micheli sarebbe dovuta appartenere ad Ennio Fantastichini, sarebbe stata gradita una citazione per l’attore scomparso.
Simone Marcari
1 marzo 2019