Martedì, 26 Novembre 2024
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Il giuoco delle parti: quando il copione non ammette infedeltà

Recensione dello spettacolo Il giuoco delle parti con Marco Belocchi, Eleonora Pariante, Paolo de Giorgio, Giustino De Filippis. regia di Marco Belocchio in scena al teatro Anfitrione dal 6 al 24 febbraio 2019

 

Nel gioco della vita, dove ognuno recita il proprio copione, la sfida è rimanere fedele al proprio ruolo. A volte è la regia del caso ad assegnarci quella parte, altre volte siamo noi a decidere i contorni del nostro personaggio. Guai ad abbandonare il ruolo quando la drammaturgia si fa più impervia e pericolosa, guai ad attribuire ad altri la nostra parte quando questa ci risulta scomoda.

La signora Silia Gala è una donna benestante e ancora piacente: bambina capricciosa, insoddisfatta della propria vita, vorrebbe evadere, senza sapere esattamente per dove. Fatica ogni giorno di più a riconoscersi allo specchio, incredula e spaventata nel vedersi con gli occhi degli altri. Il suo amante, Guido Venanzi, persona anonima e noiosa, col tempo è divenuto per lei più un fastidio che una risorsa. Il vero motivo della scontentezza della Signora Gala è Leone, il suo ex marito che, nonostante viva da tre anni in un’altra abitazione, fa avvertire la sua incombenza attraverso l’assenza.

Non è infatti la presenza fisica di Leone a soffocare Silia, ma la percezione che ogni cosa, anche della casa, sia un suo prolungamento e racconti di lui, a tal punto da farla sentire sempre controllata, compromettendole e soffocandole la libertà. D’altronde Leone è un carattere disorientante e indecifrabile, appassionato di cucina e di filosofia, sembra essere immune agli altri e a tutto ciò che può causare sofferenza. Mai in contrasto con le volontà di Silia, anzi passivamente assecondante fino all’esasperazione di lei, egli recita la sua parte con spontanea noncuranza. È necessario, infatti, secondo la sua filosofia, accontentarsi di guardarsi vivere, svuotarsi dalle emozioni, poichè generatrici di sofferenza, ed affidarsi alla leggerezza dell’intelletto. Ma per evitare che l’abbandono della zavorra emotiva ci renda eccessivamente leggeri, facendoci disperdere tra le nuvole, è opportuno altresì sapersi anche appesantire di cibo nutriente. Grazie a tale pernio, ovvero punto di equilibrio, che permette di svuotarsi e riempirsi, Leone si è reso immune alla vita depauperandola della sua parte più dolorosa prima di esserne colpito, esattamente come farebbe con un uovo di cui preleverebbe il tuorlo prima che possa sporcarlo. Sbaglieremmo a pensare al sig.Leone come ad un uomo emotivamente piatto ed indifferente: in realtà egli sembra essere una persona che sente troppo o ha sentito troppo e non ha più voglia di soffrire. Il suo costrutto filosofico, attorno al quale egli impernia la sua vita, appare una difesa disperata, elevata a filosofia, contro tutto ciò che fa paura e verso il quale è impotente. Nel suo guardare dall’alto la vita, egli riesce a vedere molte più cose senza farsene turbare. Egli, infatti, sa perfettamente che Guido Venanzi è l’amante di Silia e ha intuito che l’intento dei due amanti è sbarazzarsi di lui. La donna infatti, approfittando di un oltraggio subito, vuol farsi vendicare da Leone che dovrebbe sfidare a duello il molestatore, nonchè abile spadaccino. Ma Leone è l’unico a rimanere coerente alla parte che Silia e Guido gli hanno deciso e continua il suo giuoco solitario, costringendo anche i due a prendersi la responsabilità del ruolo che hanno scelto e a recitarlo sino alla morte.

La rappresentazione teatrale, con regia di Marco  Belocchi, della drammaturgia pirandelliana datata 1918, ben evidenzia i temi cari all’autore che, come tutte le cose preziose, non  sono immediatamente rintraccabili ma necessitanti di essere delicatamente colti dalla stesura narrativa. In particolare, il concetto pirandelliano della realtà esterna come proiezione del nostro mondo interiore, rintracciabile nei passaggi narrativi in cui Silia avverte la presenza dell’ex marito ovunque, è ben rappresentato dall’interpretazione di Eleonora Pariante nei panni della signora Gala che riesce a far arrivare la frustrazione e l’impasse emotivo di una donna tenuta sotto scacco da una non presenza. D’altronde, il fatto di avvertire ossessivamente l’incombenza di Leone nella sua vita sembra essere espressione di un certo senso di colpa e di una punizione auto inflitta che nasconde il timore di compromettere la facciata di onorabilità - altra costante pirandelliana - a tal punto da preferirne saltuariamente la presenza fisica, piuttosto che costantemente il suo fantasma. Marco Belocchi, che oltre a firmare la regia veste i panni di Leone Gala, risulta assolutamente credibile nell’interpretazione di un personaggio che racchiude in sè filosofia, saggezza e rivalsa. Sostenuto da una dizione e da un modo di porgere la parola che esaltano la drammaturgia pirandelliana, Belocchi dà corpo ad un personaggio enigmatico, apparentemente indifferente, ma molto più concreto e vendicativo rispetto alle apparenze. Paolo De Giorgio nei panni di Guido Venanzi, nonostante alcuni momenti leggermente distaccati dal personaggio, coglie l’anima di questo che, nonostante una personalità poco spiccata e stimolante, mantiene intatta la sua onorabilità, non sottraendosi al duello ed accettando la morte.

Originale, ma non immediatamente intellegibile, la scelta registica di Belocchi di ambientare la vicenda nell’epoca fascista, al fine di evidenziarne alcune similitudini legate ad un’eccessiva rigidità morale che, quando diviene un univoco e ottuso automatismo, conduce in entrambi casi alla morte. A fronte di una elegante accuratezza nei costumi da parte di Maria Letizia Avato, l’allestimento scenografico di Manuela Barbato è risultato troppo spartano e non ha offerto un adeguato sfondo alla parola, rischiando a volte di non sostenere adeguatamente il peso dei concetti. 

 

Simone Marcari

17 febbraio 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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