Sabato, 23 Novembre 2024
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Un autunno di fuoco, l’infuocato ritorno di un figlio dalla propria madre

Recensione dello spettacolo Un autunno di fuoco andato in scena al Teatro Ghione dal 16 al 25 novembre 2018


A volte il modo in cui si sceglie di vivere informa su come si sceglie di morire.

Alessandra, un’anziana vedova ex pittrice con un passato di giramondo figlia dei fiori, vive ora barricata in casa ostinata a trascorre in completa solitudine, nel suo appartamento di Brooklin, gli ultimi anni della sua vita in aperta guerra contro i condomini e i suoi tre figli che la vorrebbero in ospizio. In compagnia della vecchiaia di cui ha imparato a tollerarne l’invadenza, la donna interpreta la musica della sua vita tra le piccole cose di sempre, ricordi personali, letture di libri, ascolto di vecchi dischi e uno stupore bambino al cinguettio degli uccellini su un amato albero dalle tinte autunnali antistante la sua finestra.

Ai colori dell’autunno newyorkese si affiancano le sfumature della umana solitudine che, digiuna di confronto con l’esterno, sfocia in deliranti pensieri paranoici che inducono la donna a vedere gli altri come nemici da cui difendersi anche con Molotov da lei stessa costruite. Entrato dalla finestra, unico accesso possibile dopo essersi arrampicato sull’albero, Chris, il piu’ giovane dei figli, irrompe nell’appartamento della madre inviato dai suoi due fratelli per convincere la donna, che non vedeva da vent’anni, a lasciare casa. Le parole però, come è noto, non raggiungono le persone senza contattarne i vissuti: le frasi del figlio resteranno senza anima fin quando questi non si concederà l’opportunità di cogliere il significato del comportamento materno e la poesia del suo mondo. Cosí la distanza (corporea ancor prima che dialettica) viene ridotta e madre e figlio si sorprenderanno a ricordare, mano nella mano, momenti passati insieme. Ma la presenza di Chris, che da anni vive in New Mexico, offre ad entrambi la possibilità di esplicitare i troppi non detti e di cambiare il loro stile relazionale condizionato da reciproci contatti mancati. Il bisogno reale di rivedere la madre e di essere per la prima volta nella sua vita al posto giusto al momento giusto sarà la reale motivazione del ritorno di Chris. Anche nell’anziana donna, quello che sembrava un’ostinata presa di posizione e un nevrotico rifiuto verso il genere umano, nasconde in realtà il suo opposto, ovvero una esigenza di relazione: dimmi che di te mi posso fidare e che mi rimarrai vicino sembra essere la vera richiesta legittima che una madre rivolge anche implicitamente al figlio lontano. Sempre.
Rappresentazione molto intima e preziosa come un acquerello dipinto su tela di piccole dimensioni ricco di dettagli nascosti che diventano interessanti proprio perché non immediatamente visibili. Il testo di Eric Coble, da cui è tratto lo spettacolo teatrale, viene valorizzato da un’attenta e discreta scelta registica da parte di Marcello Cotugno che cogliendo l’aspetto inerente il confronto tra generazioni sottolinea la difficoltà e la sofferenza di un genitore e di un figlio nel riappropriarsi delle loro identitá. Nel domandare al figlio il perché della sua prolungata assenza, Alessandra riscopre infatti il suo essere madre mentre la risposta di Chris riguardante la paura di non essere accettato per la persona che era diventata o che non era diventata racchiude la sua essenza di figlio timoroso di deludere i genitori. Apprezzabili i tratti con i quali viene definito il personaggio di Alessandra: alla minaccia di far esplodere la palazzina in cui vive e al rammarico di aver venduto il fucile a canna mozza, si contrappone la dignità di una donna anziana che con estrema consapevolezza sembra quasi prepararsi alla sua morte e capisce che morire in casa circondata dai suoi oggetti è un “bel modo di morire”. Le scenografie di Luigi Ferrigno, muovendosi sul registro della semplicità, rappresentano efficacemente l’interno dell’abitazione di Alessandra evidenziando il contrasto tra l’ordine con cui è tenuta casa e quell’ammasso disorganizzato di mobili, sedie e cavalletti di pittura con cui viene bloccata la porta di ingresso, evidente riflesso di un contrasto principalmente interiore. Suggestiva e romantica la rappresentazione dell’albero, di fatto un attore aggiunto, sotto e vicino al quale si sviluppa l’intera commedia e che sembra rappresentare, nell’immaginario e nella solitudine della anziana donna, il figlio ideale… quello che rimane e per il quale si lotta.
Attraverso un delicato impasto nella sua tavolozza di luci, Bruno Guastini ci permette di assaporare i colori e i profumi del cielo e del paesaggio d’ autunno riflesso dei colori dell’anima dei personaggi, alternando per contrasto luci bianche a led armonizzate con l’emotività di particolari passaggi narrativi. Molto curati i costumi di Andrea Stanisci che, dialogando con le luci, contribuiscono a definire il contrasto tra mondo interiore ed esteriore dei personaggi intercettandone l’aspetto emotivo.
Di livello assoluto l’interpretazione di Milena Vukotic (nei panni di Alessandra) che con la sua espressività facciale e profondità di sguardo riesce a far convivere simultaneamente in un unico personaggio due emozioni contrastanti come la malinconia e un forzato benessere con il quale la protagonista cerca di autoconvincersi di bastare a se stessa. Avvincente quando ironizza sulla sua vecchiaia che le permette di rileggere libri gialli senza avere la minima idea di chi sia l’assassino e credibile quando nella follia del personaggio gira armata di padella o di bombe Molotov preparate con liquido per sviluppo foto ancora più potente della benzina.
In crescendo l’interpretazione di Maximilian Nisi (Chris) forse all’inizio poco modulata emotivamente ma decisamente più dentro con lo sviluppo della commedia, dove riesce a comunicare l’impaccio, emozione e goffaggine di un figlio ribelle che ritrova la madre.  

 

Simone Marcari
26 novembre 2018

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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