Martedì, 26 Novembre 2024
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La pazzia ci ha fatti Mad In Europe

Recensione dello spettacolo Made In Europe in scena al Teatro Argot Studio dal 23 al 28 febbraio 2016

 Urla e borbottii inquietanti, in un crogiuolo di lingue che va dall’inglese al dialetto trentino. Poi una luce si accende piano e gli occhi incontrano due file di sedie, una scatola di cartone e una donna ripiegata su se stessa: ciondola, pare confusa, arrabbiata, spaventata. Pronuncia frasi incomprensibili a chi non conosca perfettamente tutti gli idiomi da cui prende in prestito ora una espressione ora l’altra: puoi intuire qualche passaggio, seguire il discorso solo fin dove questa stranezza te lo consente, arriverà sempre un punto dopo il quale non ti resta che indovinare da un tono, attraverso una espressione del viso, grazie alla frase precedente.

Questa donna è un enigma, tanto da esserlo anche per l’attrice che la interpreta (Angela Dematté): ecco perché ci viene prontamente in aiuto, spiegandoci qualcosa di più sul personaggio che mette in scena. Scopriamo, così, che la protagonista è incinta e ha improvvisamente dimenticato la propria lingua durante una visita al Parlamento Europeo, destando scalpore, sorpresa e fastidio tra tutti quegli importanti e blasonati personaggio che lo occupano. Si è pensato, così, di darle tempo per riprendersi lasciandola riposare in un ambiente che un tempo era una sagrestia: questo luogo però, invece che calmarla, evoca antichi ricordi fatti di sensi di colpa, incomunicabilità familiare e ossessioni religiose. Riuscirà la misteriosa donna a tornare padrona di sé? E cosa contiene quella scatola di cartone in primo piano?

“Mad In Europe” è uno spettacolo che ha il pregio di rappresentare, in maniera creativa e attuale, molte delle contraddizioni che animano il concetto di Europa unita: questa donna incinta e in stato confusionale, che ha smarrito la capacità di parlare la propria lingua e si ritrova scagliata in un dedalo di idiomi, contiene in sé tutta la maledizione della biblica Babilonia. E, quasi suo malgrado, si ritrova a divenire un monito per tutti quegli Stati che hanno deciso di farsi sedurre dall’idea di benessere e modernità che l’Unione europea prometteva. Trascurando, però, di portare con sé le proprie differenze o caratteristiche valorizzandole come tratti distintivi e identificativi invece di liberarsene disinvoltamente come inutili fardelli.
Angela Dematté è molto valida nel rendere in maniera credibile questa “lingua originale” e a coinvolgere chi guarda nello straniamento di questa donna che, rimasta in un attimo senza radici, si dibatte tra il proprio remoto passato, gli impedimenti linguistici presenti e la prospettiva futura di attesa. Meno quando indossa i panni dell’attrice che non recita, per interagire con il pubblico e cercare di dipanare con esso i fili dell’intricata matassa gergale: l’idea di entrare e uscire dal personaggio, infatti, non sempre funziona. Un po’ come i simboli che si è scelto di dissacrare e riconsacrare a compagni d’avventura della smemorata giovane: se la bandiera europea riesce ad assumere via via diversissimi significati, fino al culmine del commovente e finale rivelatore, meno riuscita è la gestione dell’ingombrante statua di Madonna. L’archetipo materno cristiano per antonomasia, giustamente chiamato in causa in una narrazione del genere, finisce un po’ troppo spesso per divenire semplice accessorio dissacrante disperdendo inutilmente la sua capacità evocativa.
Alla fine dello spettacolo, risolti alcuni dubbi rimane però il più grande: e se il segreto per comprendere tutte le follie di quest’Europa fosse proprio il divenirlo?

 

 

Cristian Pandolfino
28 febbraio 2016

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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