Recensione dello spettacolo Come il nero negli scacchi, in scena a Teatro Sala Uno dal 15 al 17 gennaio 2016
Quando lo psicanalista si ritira dal lavoro a causa di un male incurabile, lo psicanalizzato che fa?
Sono due le possibilità: o ne trova un altro o nell'attesa (di trovarne un altro) per chiarire la situazione a sè e al futuro possibile analista inizia a ragionare con se stesso e a interagire con il pubblico ripercorrendo gli ultimi vent'anni della sua vita toccando diversi punti cruciali e cercando la soluzione ad altrettanti punti interrogativi.
Partendo dal momento in cui ci si trova in bilico sulla linea di demarcazione tra il prima e il dopo inizia un racconto dettagliato che dalla metà degli anni '80 giunge fino ad oggi e racconta come un fatto che può essere insignificante per i più per un singolo uomo fa scaturire un sarei di reazioni a catena che lo porteranno a diventare vittima della massa informe dell'ansia che, prese le sembianze di un drago, finirà per paralizzarlo e per fagocitare passo dopo passo ogni aspetto della sua esistenza. Anche se non può sembrare, da una cefalea a grappolo quando si ha 16 anni all'ansia patologica che ti riduce a una larva incapace di muoversi e parlare, il passo e breve.
Il protagonista di questo One man show mette in gioco completamente se stesso, parlando di un'aspetto della propria vita più intima di cui era a conoscenza solo il suo medico curante.
Uno spettacolo bello e interessante dove con l'ausilio soltanto di poche luci e di tutte le sue capacità istrioniche fisiche ed espressive Paolo Fasso riesce a ricreare dal nulla situazioni paesaggi momenti della vita di un uomo come tutti che da fuori sembra stare bene ma che dentro nasconde un mondo tutto suo fatto di ansie e paure inimmaginabili.
Morale della storia è che questa situazione molto particolare e non proprio simpatica può essere ed è un'oppurtunità per guardare la vita da un punto di vista insolito e, nonostate il più grande nemico di ogni uomo rimane sempre e solo se stesso, uno stimolo ad affrontare la propria esistenza in una certa maniera cogliendo della realtà esteriore ed interiore quelle sfumature particolari che non sempre, anzi quasi mai, si riescono a cogliere.
Fabio Montemurro
19 gennaio 2016