Recensione de Megalopolis #43 in scena al Teatro Due il 17,18,19 marzo 2015
Quarantatre giovani menti, quarantatré diverse personalità, quarantatré vite bruciate, sfregiate e sepolte in una fossa comune. Ecco i veri protagonisti della drammaturgia ad opera di Anna Dora Dorno, portata in scena dalla compagnia Instabili Vaganti.
Il numero degli studenti “desaparecidos” di Ayotzinapa risuona costante lungo il corso dello spettacolo, portando con sé le sfumature sanguigne delle violenze che hanno avuto luogo il 26 settembre 2014 nella città di Iguala, in Messico.
Ciascuno dei nomi citati sferza un colpo d’accusa, la quale in parte mira alla corruzione del governo narcotrafficante messicano, in parte alle limitazioni dei diritti fondamentali dell’uomo (libertà di espressione e libertà di manifestazione), in parte alla radicata indifferenza sociale.
Una battaglia di sensibilizzazione che vede schierato in prima fila al teatro Due, tramite la camaleontica interpretazione di Anna Dora Dorno, Nicola Pianzola, Irende Segalla e Mariagrazia Bazzicalupo, il contributo dei partecipanti al progetto internazionale Megalopolis.
Non può che stupire la commistione delle diverse discipline e tecniche performative, resa tanto armonica e naturale dalla padronanza fonica e corporea degli attori.
Su uno sfondo che reca omaggio alla tradizione artistica, musicale e culturale messicana lo spettatore rimane inevitabilmente investito dalla forza delle immagini e delle parole che la compagnia teatrale si impegna a trasmettere instaurando un rapporto il più possibile diretto.
Ed è appunto per mezzo di tanta perizia che viene rappresentato il dolore provocato dalla strage degli studenti desaparecidos. Dolore che, certamente, colpisce le vittime stesse, private del loro futuro, ma anche (e soprattutto) coloro che ancora “aspettano giustizia”: le madri.
Diventa allora necessario chiarire un punto: il messaggio “donato” al pubblico non reca con sé solo toni di accusa; esso va ben aldilà del meritato sdegno per diventare un vero è proprio manifesto di rivoluzione.
Il ricordo, l’arte, le manifestazioni, i media e i nuovi mezzi di comunicazione sono le armi sfoderando le quali non sarà vana la morte dei quarantatré ragazzi di Ayotzinapa:
“volevano seppellirci, ma non sapevano che eravamo semi, semi di questa ribellione”
Francesca Scanavino
19 marzo 2015