“Non ha paura di scoprire con il lume dell’intelligenza il rosso della vergogna, là, nella bestialità umana, che chiude sempre gli occhi per non vederlo.” – Luigi Pirandello
Atmosfera familiare e il regista ad accogliere il pubblico in sala, questo è l’ impatto che si ha nel teatro “ Lo spazio” di via Locri. Teatro sui generis in quanto si entra in un ambiente che sa di underground, che ricorda per essenzialità un magazzino seminterrato, un centinaio di posti a sedere su sedie di plastica da sala parrocchiale, un basso palco angolare senza sipario, niente distanze fra pubblico e attori. Colpiscono, il nero alle pareti, l’atmosfera fumosa e una scenografia minimale, basata sul bianco e il nero e colorata dal gioco di luci, che coinvolge anche la platea nei momenti più significativi dello spettacolo.
A primo impatto sorge il dubbio che si tratti di una recita scolastica. Poi si spengono le luci, cala il silenzio e il pubblico inizia un viaggio, che non lo porta, come spesso capita ad estraniarsi dalla realtà ma si trova compartecipe delle vicende narrate e viene coinvolto in pieno con spirito critico.
Jessica e Cristian, due fidanzati adolescenti sconvolgono l’esistenza mite e tranquilla del loro paesello dal nome, sul quale gioca l’ironia del regista, di Santa Serena, quando decidono con estrema noncuranza di massacrare la famiglia della ragazza. In pochi giorni i media prendono in assedio la cittadina, Jessica diventa una diva dello spettacolo e la città meta di un macabro turismo sui luoghi dell’orrore.
Il Maestro Enzo Iacchetti, regista e produttore, ci mostra che non c’è finzione, in questo spettacolo c’è più realtà che fantasia. Il linguaggio è diretto, semplice e schietto, e questo lo rende vero. È come un pugno nello stomaco quando ti fermi a riflettere che i mostri siamo noi, che ci accaniamo su queste vicende, smaniosi di sapere cosa può aver spinto la mente umana a tanta efferatezza. Ci si rende conto che non esagera, i personaggi non diventano tipi da commedia ma sono esattamente quello che la televisione passa tutti i giorni in decine di talkshow. È un epidemia che contagia l’Italia intera e viene resa in scena con l’uso di dialetti che spaziano dal nord al sud. Ma non è solo un problema territoriale è anche un male generazionale che si insinua in tutte le fasce della società, dai bambini agli adulti. Santa Serena diventa una vetrina di casi umani come si è potuto vedere in questo decennio, clero e istituzioni corrotte, bambini che non conoscono più l’innocenza, ragazzi che prendono tutto con incoscienza e leggerezza come se ci fosse sempre una seconda opportunità. Nell’affermazione della protagonista “ Mettiti l’ Ipod e non li senti urlare”, c’è la denuncia più forte di questo spettacolo. Una generazione assuefatta ai videogiochi, alla realtà spettacolarizzata, dove il male diventa spettacolo, dove non si distingue più tra realtà e finzione e dove le azioni sono anestetizzate quasi come se non fossero importanti… l’inconsistenza della realtà regna sovrana. È davvero in questo modo che dovremmo vivere?
Le barbarie del nostro tempo tutta in uno spettacolo che non tralascia nulla e non fa sconti per nessuno.
Federica Palombi
17 maggio 2014