Recensione di Sono partita di sera in scena dal 24 al 27 maggio 2018 al Teatro Lo Spazio
A 14 anni dalla morte, avvenuta in circostanze poco chiare il 3 aprile 2004, Betta Cianchini, con la regia di Camilla Piccioni rende omaggio con lo spettacolo Sono partita di sera una delle personalità più rappresentative di una Roma che ormai non c’è più: Gabriella Ferri. Il titolo è tratto da una delle canzoni più malinconiche e autobiografiche dell’artista romana. In scena la Roma popolare, semplice e genuina del quartiere Testaccio nel periodo del Dopoguerra che emerge dal racconto della vita della Ferri e dal repertorio tradizionale di musica folk di cui è stata una delle principali interpreti.
Nelle vesti della grande artista, Valentina De Giovanni, cantautrice ed attrice romana che si rivela da subito all’altezza dell’arduo compito di vestire i panni di uno dei personaggi più noti, più controversi e più amati della Roma degli anni ’60 e ‘70. Uno spettacolo intenso e passionale come la stessa Ferri è stata nella sua vita irrequieta e tormentata, uno spettacolo in cui viene presentato il doppio volto della cantante: quello umano e quello artistico. Dietro la scanzonatezza e l’aggressività che mostrava durante le interpretazioni, si rivela un animo incredibilmente fragile e insicuro, di una donna che si sente sempre a metà, sempre troppo piccola, che ha paura del pubblico che la guarda.
L’artista è stata lunghi periodi lontano dalle scene per una grave forma di depressione, probabile causa della caduta dalla finestra che l’ha portata alla morte. Questo ritratto meno noto dell’artista, è stato ricostruito dall’autrice grazie al suo diario personale pubblicato nel 2013 da Pino Strabioli con un altro titolo tratto da una sua canzone, Sempre. Muovendosi in una scenografia fatta di teli bianchi su cui sono riportati frammenti di sue canzoni, con un gioco di luci che alterna una luminosità calda ad una fredda, accentuata da lampadine appese intermittenti, la De Giovanni dà vita ad un personaggio complesso e sfaccettato, che passa dall’immagine pubblica che mette in vendita sul mercato musicale ad una sfera intima, emotivamente instabile e precaria, che sembra non aver ancora superato l’idea di non essere più figlia, ma madre e nonna. A scandire il passaggio tra i due ambiti, due gocce di colore rosso che vengono ripetutamente rovesciate in un’ampolla trasparente che alla fine dello spettacolo renderanno l’acqua del colore del sangue vivo.
Tutta la sua vita viene sviscerata in parti cantate, in cui vengono riproposti i suoi brani più celebri, e parti recitate, in cui si affronta alcuni dei nodi fondamentali della sua vita: il rapporto con un padre brutale ma da cui ha appreso l’amore per la canzone tradizionale romana, la relazione con il figlio, verso cui si sente incapace di fare la madre, quelli con i suoi due mariti e il rapporto con la musica, anche questo ambivalente, fatto di attrazione e repulsione. Ad esaltare il vissuto dell’artista, nascosto dietro la sua voce graffiante, una chitarra acustica suonata da Gabriele Elliot evocatrice di calde e ruvide atmosfere dei vicoli trasteverini che profumavano di voci, di urla e di chitarre. La regia di Camilla Piccioni si mostra curata nel dettaglio, con la drammaturgia struggente di Betta Chiancini che trascina il pubblico presente in sala nell’inquietudine e nell’infelicità di quest’artista. La De Giovanni caratterizza di passione e intensità il suo ruolo, mostrando si essere stata ben diretta dalla regista nella canzone e nella recitazione, dimostrando notevoli competenze in entrambi gli ambiti. A fine spettacolo un pubblico entusiasta e commosso si alza in piedi in un’ovazione generale.
Mena Zarrelli
29 maggio 2018