Recensione dello spettacolo Rosalyn, in scena al Sala Umberto dal 22 febbraio all’11 marzo 2018
Fa freddo, o meglio, è questa la sensazione che si prova non appena, alzato il sipario, ci si ritrova davanti a una sedia vuota, esattamente al centro di un pavimento di mattonelle bianche e discontinue che, inclinato verso il pubblico, riflette l’unica luce accesa (fredda anch’essa) della sala. Pochi istanti di silenzio prima di riconoscere il clima asettico di un commissariato di Detroit, dove Esther ‘O Sullivan (Alessandra Faiella), scrittrice americana di fama mondiale, sta rispondendo all’accusa di omicidio per un assassinio compiuto quattro anni prima a Toronto. A incriminarla la sua stilografica d’oro ritrovata nel risvolto del pantalone del cadavere.
Un omicidio, un indiziato e la prova del delitto: ha inizio così Rosalyn, il thriller psicologico di Edoardo Erba, diretto da Serena Sinigaglia, in scena in questi giorni al Sala Umberto.
“Rosalyn ti disorienta. Rosalyn è quando pensi di aver capito tutto e invece no, non avevi capito niente - sostiene la regista. Rosalyn è un gioco di specchi. Rosalyn è comico, ma all’improvviso diventa tragico. È un gioco beffardo, disperato e violento. Senza scampo. Rosalyn è una sfida, un quiz, un meccanismo che si inceppa e tutto precipita”. Rosalyn è molto più di una semplice caccia all’assassino.
Rosalyn è Marina Massironi che per l’occasione abbandona i panni dell’attrice comica a cui ha abituato il suo pubblico. Rosalyn è la donna delle pulizie goffa, ignorante, vittima di violenze e abusi che Esther, intellettuale e di tutt’altra estrazione sociale, incontra per caso prima della presentazione del suo ultimo libro a Toronto e con la quale stringe un legame equivoco e profondo. Rosalyn è la vera natura di sé, quella nascosta ma radicata in ognuno di noi, capace a volte di compiere il male più efferato. Rosalyn è il senso di solitudine che caratterizza la vita moderna e riempie quella della protagonista. Rosalyn è comica e grottesca, ma anche inquietante, torbida e tragica.
In un abile gioco registico di stampo cinematografico che alterna il presente al passato, la stazione di polizia di Detroit ai sentieri e alle cascate del Niagara le due protagoniste, fra un flashback e l’altro, si raccontano e si scoprono, mentre ricostruiscono i fatti. Come pedine ignare (o forse no?) si muovono su una scacchiera invisibile, giocando a turno le loro mosse in una partita in cui tutto è il contrario di tutto e i loro stessi ruoli si mescolano e infine ribaltano.
Una commedia noir dal finale tutt’altro che prevedibile, in cui la suspense da romanzo giallo cresce mentre si svela la complessità della trama e delle personalità delle due protagoniste. Il tono stesso della narrazione, inizialmente leggero e canzonatorio, si trasforma fino a diventare serio e inquisitorio. Anche le tematiche affrontate rispettano appieno la struttura narrativa della pièce, passando dalla presentazione di un libro mainstream al rapporto di coppia, dalla violenza psico-fisica alla malattia mentale. E in effetti Rosalyn di comico ha ben poco, se si esclude il passato delle due attrici protagoniste: in un’ora e mezza quasi di spettacolo e di dialogo con il proprio sé è difficile uscire dal teatro senza aver messo in discussione almeno qualche certezza.
Concetta Prencipe
26 febbraio 2018