Recensione dello spettacolo Filottete in scena al teatro Studio Eleonora Duse dal 8 al 15 febbraio 2018
Finalmente si assiste ad una tragedia umana; ed è quella messa in scena dal regista Raffaele Bartoli. Un lavoro che mostra i valori eroici dei personaggi, s’impegna a far emergere le fragilità degli uomini che prima di rifugiarsi negli dèi, interpellano la propria spiritualità. L’isola di Lemno è l’acquario dove Filottete è costretto a galleggiare e a non affondare quando sull’isola arriva Neottolemo, figlio di Achille, che tenta di trarlo in inganno.
Neottolemo tenta di convincere Filottete di farsi dare il suo arco, unica arma capace di espugnare Troia. Fondamentale è il ruolo svolto da Odisseo, meglio conosciuto alla storia come Ulisse, il quale a sua volta spiega a Neottolomo come trarre in inganno Filottete. Tutto procede secondo i piani, fino al momento in cui i ripensamenti conducono Neottolomo a sovvertire i piani e a preferire la lealtà umana all’impresa eroica.
Ogni movimento assegna al lavoro un valore drammaturgico. Questo vale sin dall’inizio dall’entrata di ogni personaggio. Il ritmo delle apparizioni in scena diviene uno degli elementi di comprensione dell’opera. Lo stesso sipario situato all’interno della scena segna i confini tra una sorta di prologo dell’opera e l’inizio della storia. Gli stessi attori vanno ad aprire il sipario, così da affacciarsi sull’isola e mostrare cosa sta per accadere.
Assume un gran rilievo poetico il modo in cui si percepisce l’equilibrio tra la presenza attoriale e le loro dinamiche con la disposizione scenografica e il valore che questa assume all’interno di tutta il quadro scenico. La suggestione che si crea nel percepire lo spettacolo, inteso “come parte del tutto”, porta lo spettatore alla piena consapevolezza di ciò che avviene, sia per quel che concerne l’aspetto emotivo sia per quel che riguarda l’aspetto concreto della drammaturgia.
Bartoli attraverso costruzioni concrete di tutte le componenti drammaturgiche giunge allo stesso tempo ad un senso poetico e pratico della regia. Tale risultato avviene grazie all’onesto impegno che si è avuto nello scavare in ogni elemento dell’opera, con la volontà di non riportare in superfice la traduzione artistica del significato del testo greco, ma far emergere tracce che sono contenute nelle immagini che il testo conserva. Per giungere a tale immagini il regista e gli attori si sono dovuti mettere a disposizione dell’opera partendo dal suo interno.
In questo processo di lavoro, inteso come insieme di ogni elemento teatrale che riguarda il Filottete, Bartoli è riuscito a creare una connessione di tipo empatico, che passa dagli attori e arriva al pubblico. Empatia che non abbraccia nessuna accezione romantica, che potrebbe portarci lontano dalla concretezza dell’opera, ma che riguarda una vera e propria connessione sensoriale, la quale riesce a mettere anche lo spettatore a servizio della storia. Nella volontà del regista di allontanarsi lentamente da quello che avviene durante il corso del lavoro e preferendo di affidarsi sempre di più ai materiali drammaturgici che gli attori modellano, vi si coglie maggiormente l’indispensabile presenza registica su ogni cucitura dello spettacolo. Stoffe attoriali vestite da Totò Onnis, interprete dell’ umanità di Filottete.
L’attore siciliano nell’interpretare il protagonista sofocleo riesce a dare ogni aspetto esistenziale e ogni condizione poetica che vive il personaggio. L’epica del personaggio passa in secondo piano, si mostrano invece le fragilità che riguardano Filottete uomo, individuo. Le stesse impressioni si colgono quando assistiamo alle dinamiche sceniche che riguardano gli altri personaggi. Massimiliano Aceti, Eugenio Mastrandrea e Alberto Melone sono capaci di portare agli spettatori in primo luogo ciò che accade agli uomini, elidendo ogni carico eroico, che oltre ad alterare la verità esistenziale che riguarda l’individuo, ne altera in maniera falsata anche il lavoro attoriale. Mentre in questo caso nella totalità delle componenti che l’attore utilizza per creare il personaggio si giunge ad una onestà interiore, capace di comunicare la singola verità che ogni personaggio si porta dentro. In questo processo anche la tecnica dell’attore è permeata dalla naturalezza e questo avviene grazie alla piena volontà da parte del regista e degli attori di mettersi onestamente a disposizione di ciò che il lavoro propone e dei valori che sono contenuti nel testo. Nel finale forse sono addirittura comprensibili, in maniera tangibile, i fattori sui quali il regista e gli attori lavorano. Infatti nell’emersione delle fragilità umane, assistiamo a come possa essere comprensibile il sincero compromesso al quale l’individuo si affida per fuggire al finto vantaggio di ogni inganno.
Emiliano De Magistris
20 febbraio 2018