Recensione dello spettacolo Ti porto con me in scena all’Eliseo Off dal 2 al 26 febbraio 2018
Loro si chiamano Maria (Lucia Lavia) e Anna (Giulia Galiani), ma in realtà non hanno un nome. Sono due donne, due vittime, due carnefici. Due atomi composti da piccole particelle subatomiche di protoni, elettroni e neutroni. Due donne che non hanno nulla da perdere perché hanno già perso tutto, tranne i ricordi e il dolore.
Trascorrono la loro grigia esistenza in una stanza grigia, con un letto a castello grigio anche quello, un comodino grigio, delle lenzuola grigie, abiti grigi e pile di quotidiani ammassate alle pareti, anch’essi grigi.
E, come l’elettrone e il protone, costituiscono un unico atomo che danno vita alla materia.
A dar voce ai loro pensieri è un elemento “fuori” dal contesto in cui tutto si svolge: il neutrone (Giovanna Guida).
Sono due elementi che interagiscono tra loro; parlano, pensano, litigano, soffrono. Il tutto sotto lo sguardo vigile di quest’occhio esterno. I loro dialoghi seguono una direzione che fa presagire niente di buono, niente di concreto; le parole si susseguono inciampando tra loro, sussultano, s’accavallano, si confondono, si perdono tra loro e sfugge anche il senso ma, ecco, ad un tratto s’intravvede uno squarcio: la materia comincia a prendere forma come quella di un pane. È un piccolo panetto, quanto basta per far comprendere al pubblico di quale atrocità si siano macchiate le mani delle due donne, ora nere come l’inchiostro dei giornali che sfogliano ogni giorno che passa, chiuse in quella che sembra essere una cella senza possibilità di evasione.
Qualcosa fa pensare che ad essere fuori di testa sia solo una delle due, e che l’altra sia stata messa lì soltanto a fare da contrappeso, ma la carica che entrambe si portano dentro è la stessa carica di dolore e di smarrimento. Nel limbo in cui sono rinchiuse ognuna si aggrappa all’altra attraverso i propri sogni, le proprie illusioni, la propria rabbia, per poter sopravvivere all’angoscia e alla paura. Per sopravvivere a se stesse.
Ti porto con me di Arianna Mattioli è un testo che sonda la natura più intima e più buia dell’animo umano, un testo che mette a confronto il bene e il male e cosa avviene nell’uomo quando si trova a dover affrontare faccia a faccia questo male (che si traduce in come affrontare se stessi). Ne prova ribrezzo, se ne ritrae, prova a dargli un altro volto pur di non dover ammettere di esserne l’artefice, tenta persino di cancellarlo e sostituirne il ricordo per non dover fare i conti con ciò che è o che è stato.
Lucia Lavia e Giulia Galiani, in questo spettacolo, sono la rappresentazione di questo specchio: il bene e il male che si scontrano, si riflettono, si guardano negli occhi, si giudicano, si criticano; s’attraggono e si sfuggono perché, in fondo, non possono resistere (ed esistere) l’uno senza l’altro.
Un testo complesso, greve, ma che le due attrici con la loro esemplare interpretazione e bravura hanno saputo sviscerare e mettere sul palcoscenico grazie anche al supporto di Giovanna Guida che, con la sua voce fuori campo, fa da completamento al sistema, pur restando neutrale. Anche la scenografia è molto preziosa, basilare ma efficace per il contesto. L’unica pecca è data dai dialoghi troppo veloci e articolati che rallentano l’apprendimento di un testo già così drammatico e, sotto certi aspetti, crittografico. Dalle prime battute, infatti, non è dato capire a cosa si allude, nel prosieguo invece i pezzi si assemblano tra loro, il racconto prende forma e s’avvia verso la triste conclusione così come era cominciato.
Dialoghi a parte, Ti porto con me resta dunque un testo affascinate la cui potenza è accresciuta grazie alla prestazione intellettiva, attoriale e fisica delle tre grandi attrici che ben hanno saputo renderne l’essenza.
Costanza Carla Iannacone
12 febbraio 2018