Recensione dello spettacolo Agamè andato in scena dal 19 al 21 gennaio 2018 al teatro “Altro Spazio” di Roma
Un riadattamento davvero interessante dell’ Orestea messo in scena dall’autore Giuseppe Manfridi e dal regista Daniele Salvo, che illustrano il ritorno di Agamennone dopo la caduta di Troia. Sette porte compongono le tre pareti immaginarie dello spazio scenico e fungono da interno ed esterno per i personaggi; i quali introducono lo spettacolo e assumono la funzione del coro greco. Tutti sembrano attendere il ritorno di Agamennone, ma allo stesso tempo ci sono molti dubbi su quella che possa essere stata la sua sorte. I personaggi del coro incrociandosi nello spazio scenico accavallano con la voce le proprie idee, le proprie intenzioni e i propri stati d’animo, rivelando in questo modo il clima della storia.
I personaggi del coro mostrano le proprie funzioni drammaturgiche, capaci di incorniciare lo sviluppo della trama. Oltre al tema del sacrificio e della guerra, la quale assume un significato introdotto in diversi livelli del racconto, ha molta importanza anche il tema dell’attesa. In questa circostanza l’attesa veste diversi significati o funzioni; come l’attesa del coro, che interpretando il popolo attende notizie del suo re Agamennone. Vi è poi un’attesa che riguarda anche lo sviluppo emotivo, in base a come andranno gli avvenimenti di ogni singolo personaggio, considerando la singola funzione che ogni interprete svolge all’interno del gruppo.
L’attesa di Clitemnestra nei confronti di Agamennone esprime il sacrificio di una donna che deve provvedere a sostenere i valori dell’intero assetto familiare e politico. In questo atteggiamento è manifestata la poetica del personaggio, il quale si immerge nel puro contesto tragico dell’opere e che dal punto di vista della concretezza teatrale riguarda sia ciò che è accaduto e sia ciò che sta per accadere nell’escursione degli avvenimenti. Questo accade non perché si conosce la storia o perché in questo caso l’attrice Martina Corsi che interpreta Clitemnestra conosce quale sia l’andamento del proprio personaggio, ma avviene perché si crea un’atmosfera che risulta congruente all’intero pathos della storia. Infatti l’arrivo di Agamennone abbraccia, nello stesso flusso emotivo, la felicità per il suo ritorno da parte di tutti, l’ epifania di amore, sfiducia, timore e affetto che i diversi personaggi in base ai propri ruoli nutrono nei suoi confronti; e in particolare il flusso emotivo che nasce all’interno della storia è capace di condurci con la stessa intensità sia alla gioia per il ritorno di Agamennone che all’odio, che determina l’omicidio del re.
Ciò avviene perché l’intera costruzione drammaturgica che è intersecata tra autore, regista e attore viaggia in maniera fluida, a partire dal prologo introduttivo all’epilogo finale del coro. Meritevole di interesse è l’intuizione di Davide Gallarello che si occupa della direzione artistica della Monkey Mood, associazione culturale di eventi teatrali e di spettacolo, che tramite questo progetto chiamato LSD ha saputo dare maggiore acqua ad un terreno performativo, che imprime le sue radici nella scrittura scenica. Una forma teatrale che non vuole presentarsi come uno stile ma come un working in progress, che basandosi sull’autenticità dell’artigianato tenta di far valere l’importanza della pratica teatrale. LSD è il nome che è stato scelto per questa trilogia delle tragedie di Eschilo, la denominazione espressa in queste tre lettere sta a significare: leggi, sesso, denaro.
Agamè è stata fonte di espressione del primo significato dell’LSD, dove lo spettatore assume i primi effetti di un viaggio che fa dell’epica un confronto anche politico, secondo quelli che vorrebbero essere gli intenti lavorativi di Davide Gallarello. L’importanza del lavoro in termini teatrali viene consolidata dalla messa in scena del regista Daniele Salvo. Il quale si fa portavoce di una trasmissione artistica che deriva dalla poetica di Luca Ronconi, maestro dello stesso Salvo. Infatti partendo da un lavoro che ha come fine quello di decodificare il testo, si giunge in una dimensione più profonda che a vuole esprime in azioni i contenuti semantici del testo; ma per fare ciò il regista deve lavora sulle immagini che il testo gli comunica, abbandonando la visione dell’autore ma non dimenticando ciò che l’autore vuole esprimere. Ciò avviene solo attraverso un continuo montaggio e smontaggio che rientrano in quell’idea del working in progress, la quale va a contaminarsi con le immagini che il regista crea nel momento in cui si affida al testo e alla malleabilità di espressione dell’attore.
Non si può che aspettare gli altri due lavori sull’LSD che saranno condotti rispettivamente alla cronologia che la sigla indica da Claudio Boccaccini e Matteo Tarasco.
Emiliano De Magistris
24 gennaio 2018