Recensione dello spettacolo Incantesimi, tra favole e satira, in scena il 13 e il 14 gennaio 2018 al Teatro Elettra
Nel suggestivo scenario del Teatro Elettra alle spalle del Colosseo, è andato in scena il debutto teatrale dell’attore, autore e regista Gaspare Russo, noto ai più per il pluripremiato cortometraggio Canile, presentato nel 2015 al festival di Cannes fuori concorso. Con il suo nuovo lavoro, dal titolo Incantesimi, tra favole e satira, ci propone un’originale performance che ha visto il nostro protagonista impegnato in momenti di reading, con la lettura di favole altamente simboliche, in momenti di feroce satira sulla società contemporanea e momenti musicali di accompagnamento a monologhi di riflessione.
Russo interpreta le varie favole in base al loro significato, passando dal tono scanzonato a quello intenso e profondo, per concludere con una favola cantata. Questa versatilità tiene in pubblico in sala attento e partecipe, risultato non scontato, considerando la non semplice scelta del reading. Dietro le favole allegoriche, di cui Russo è anche autore, si cela un ritratto dell’uomo contemporaneo ingabbiato in sovrastrutture, un essere umano che ha perso il contatto con la sua parte più autentica, libera e sacra. Con i monologhi satirici, viene attaccato questo sistema di sovrastrutture attraverso provocazioni e proposte folli che hanno l’intento di disorientare e confondere il pubblico in sala. Nei monologhi di chiusura c’è la sollecitazione a rientrare in contatto con la propria natura che va verso il sacro, come avevano intuito le religioni antiche e le filosofie orientali.
Un finale elegante chiude proprio con una recitazione, meditazione e danza orientale.
Sold out di pubblico per la prima serata in scena. Lo spettacolo si pone l’obbiettivo di indurre lo spettatore a riflettere sui limiti e sulle gabbie che la mente umana si crea inseguendo il progresso, a dispetto della parte più libera e più viva della propria essenza. Ci viene proposta allegoricamente l’immagine di un individuo per cui si prova quasi pena, triste e infelice perché asfissiato dai ritmi di una vita frenetica basata sull’ausilio della tecnologia, che invece di semplificare, blocca la spontaneità e la vitalità dell’uomo contemporaneo.
È presente però un’ingenuità nella trattazione di queste tematiche, in cui è eccessivamente evidente, l’intento di Russo di spingere alla riflessione, sfiorando il rischio di costruire un personaggio che veste solo i panni del mentore che si allontana da pubblico. L’uso della satira, invece, si rivela adeguato, perché scuote senza correre il rischio di appesantire la performance, rischio in agguato data la complessità della materia trattata. Il gradimento e la partecipazione del pubblico è stata evidente negli interventi spontanei che hanno permesso un’interazione tra gli spettatori e l’attore. Buono il risultato se si considera il primo esperimento teatrale del nostro autore, attore che ha curato anche tutti i dettagli della regia nei minimi particolari creando una piéce interessante e fruibili da un vasto pubblico.
Mena Zarrelli
17 gennaio 2018