Mercoledì, 27 Novembre 2024
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Enrico Guarneri e la sua compagnia fanno rivivere a teatro la magia dei versi pirandelliani

Recensione dello spettacolo ‘Maschere – La giara e la patente’ in scena al Teatro Quirino dal 7 al 19 novembre 2017

 

Due atti unici che si fondono tra loro creando un solo spettacolo: Enrico Guarneri e il regista Guglielmo Ferro hanno saputo rendere omaggio a Pirandello in modo sapiente e arguto attingendo dallo stesso repertorio dell’autore siciliano e portando in scena due delle ‘Novelle per un anno’ più divertenti. Partendo da un dramma incompiuto dello stesso Pirandello, ‘I giganti della montagna’, che per tutto lo spettacolo funge da fil rouge e da ‘contenitore’ delle altre due storie, il regista ha saputo giocare sul tema principale delle due novelle qui rielaborato e messo in scena da Guarneri e dalla sua straordinaria compagnia.

Tutto parte, infatti, da quelle ‘maschere’ su cui si basa la poetica di Pirandello che, da grande conoscitore e studioso della psiche qual era, si è sempre concentrato particolarmente sulla crisi dell’ “Io” che, spodestato della sua vera identità, per poter esistere è costretto a trovarne un’altra assumendo la maschera impostagli da altri.

Ecco, quindi, che vengono raccontate al pubblico in platea le storie di Rosario Chiarchiaro, protagonista de La patente, che vuole essere riconosciuto ufficialmente iettatore dato che già è considerato tale da tutti i suoi concittadini e per questo da tutti tenuto alla larga, e di Don Lolò, protagonista della vicenda de La giara, con la fissazione maniacale per la sua ‘roba’, che lo condiziona in modo tale da diffidare di tutto e tutti tranne che degli avvocati che ne approfittano per arricchirsi alle sue spalle.

In entrambe le novelle, gli attori in scena indossano volontariamente le maschere che l’occasione richiede, ovvero quelle dei personaggi prima dell’una e poi dell’altra novella, dimostrando così che ognuno di noi all’occorrenza indossa una maschera diversa, corrispondente a quello che gli altri credono che sia, e questo fa pensare che non si farebbe altro che recitare ogni giorno il ruolo che la società ci imporrebbe di ricoprire relegando il nostro vero “Io” nell’angolo più remoto della nostra coscienza. Questo sembra proprio il caso di Chiarchiaro, che si rende conto che l’unica via di fuga rimasta per lui è diventare ciò che per gli altri è già, uno iettatore, ecco perché ne pretende il riconoscimento ufficiale così da poterne ricavare il giusto tornaconto economico. “Tutti, tutti ci credono! E ci son tante case da giuoco in questo paese! Basterà ch’io mi presenti; non ci sarà bisogno di dir nulla. Mi pagheranno per farmi andar via! Mi metterò a ronzare intorno a tutte le fabbriche; mi pianterò innanzi a tutte le botteghe; e tutti, tutti mi pagheranno la tassa, lei dice dell’ignoranza? io dico della salute! Perché, signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo d’avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle fondamenta una intera città!”: dalle parole di Chiarchiaro salta subito fuori l’assurdità e l’irrazionalità derivanti dall’assunzione di un ruolo sociale che non gli appartiene e dall’abbandono della propria identità a favore di quella che altri gli hanno affibbiato.

La giara, invece, rappresenta una delle novelle più note e fortunate dell’autore siciliano perché porta sul palco quelle situazioni paradossali quasi al limite del grottesco caratteristiche della poetica di Pirandello ma non solo, ritorna qui la tematica verghiana della roba rappresentata dall’attaccamento maniacale che Don Lolò prova verso la sua giara nuova e dalla brama di possesso che lo riduce a essere perennemente diffidente nei confronti di chi lo circonda. Se in Verga la ‘roba’ rappresenta un fardello pesante per i suoi personaggi, Pirandello invece la trasforma in un motivo di scherno e di risoluzione in chiave umoristica della situazione paradossale creatasi.

A Guarneri e alla sua compagnia va il grande merito di essere gli unici a rendere pienamente sul palco lo spirito della tradizione teatrale siciliana. Dopo essersi cimentati con i testi verghiani, era inevitabile affrontare un autore così importante e amato come Pirandello, di cui hanno però dimostrato di conoscere il pensiero e di saper sfruttare il repertorio e la poetica mettendo in piedi uno spettacolo originale che racchiude in sé tre testi pirandelliani affrontati dalla compagnia in modo diverso e, forse proprio per questo, ancora più riusciti. Il pubblico viene subito catapultato nella villa degli Scalognati percependola quale luogo surreale e immaginifico in cui prenderanno vita i veri personaggi di questa commedia. Grazie a questi personaggi si ride e ci si diverte molto perché le situazioni che si creano tra loro sono più che tragicomiche, ma lasciano anche molto spazio per riflettere sulla miserevole condizione di un essere umano perennemente alla ricerca di sé e del proprio posto nel mondo.  

Notevole e curata la scenografia, che ricostruisce la sensazione di abbandono e degrado della villa quasi a voler riflettere la solitudine che ognuno di noi deve affrontare quando resta solo con la propria maschera.

 

Diana Della Mura    

16 novembre 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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