Recensione dello spettacolo Il nome della rosa andato in scena il 14 e 15 novembre al Teatro Goldoni di Livorno
Il capolavoro di Umberto Eco Il nome della rosa arriva per la prima volta a teatro, per ricordare il grande scrittore ad un anno dalla sua scomparsa. La regia e l’adattamento dello spettacolo è stata affidata al regista Leo Muscato, che si cimenta in quello che ormai è un classico della letteratura, reso ancora più famoso dal memorabile film del 1986 che vede Sean Connery nei panni del protagonista.
La vicenda è ambientata in un’abbazia dell’Italia settentrionale nella prima metà del 1300. Il frate benedettino Guglielmo da Baskerville e il suo giovane allievo Adso da Melk una volta giunti al monastero vengono informati che uno dei frati è stato trovato morto in circostanze misteriose. Da lì si susseguiranno altre morti inspiegabili e a complicare ancora di più la situazione sarà l’arrivo dell’inquisitore Bernardo Gui, convinto che l’Anticristo sia arrivato a sconvolgere la pace dei monaci.
Certo non è facile portare sul palcoscenico un romanzo che comprende più di quaranta personaggi, ma i tredici attori presenti sul palco sono riusciti nell’intento perchè alcuni di loro interpretavano più ruoli. Tra tutti si sono distinti: Luca Lazzareschi (Guglielmo da Baskerville), Luigi Diberti (il vecchio Adso), Giovanni Anzaldo (il giovane Adso), Eugenio Allegri (più nel ruolo di Bernardo Gui che in quello di Umbertino da Casale) e Bob Marchese (Jorge da Burgos). Chi ha letto il romanzo sa che alcune parti a volte risultano, per la profondità dei temi trattati, un po’ pesanti, nello spettacolo teatrale invece il regista ha cercato di dare una lettura più leggera della trama.
Margherita Palli, già collaboratrice di Luca Ronconi, ha creato una scenografia funzionale alla storia: una sorta di scatola che cambia continuamente a rappresentare gli ambienti del monastero, il tutto intervallato sia dalla narrazione degli eventi del vecchio Adso, sia dalle videoproiezioni di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilli, la più riuscita quella dell’incendio che distrugge la biblioteca.
I costumi portano la firma di Sivlia Aymonino che in questo caso non ha potuto dare spazio alla fantasia perché i protagonisti sono dei religiosi e quindi gli abiti ricalcano fedelmente la realtà storica: sai dei monaci in varie tonalità di colore e tonache bianche e nere per l’Inquisizione.
Per chi volesse assistere a questo spettacolo, ricordiamo che sarà in scena dal 28 novembre al 3 dicembre al Teatro della Pergola di Firenze e dal 23 gennaio al 4 febbraio al Teatro Argentina di Roma.
Gabriele Isetto
15 novembre 2017