Recensione dello spettacolo Influenza andato in scena il 3 novembre 2017 al Macro di Testaccio, all’ interno del Roma Europa Festival 2017
Ci si incontra, ci si lascia, si fanno accordi, promesse, si protesta o si approva grazie all’uso della parola. Ma forse ciò che arriva prima della parola e dice di più di questa è il corpo; capace di definire le immagini delle parole nel gesto. Forse lo spettacolo, sia per gli elementi drammaturgici che presenta e per come questi elementi vengono innescati, non si ferma ad una riflessione dello spettacolo in sé; ma lancia uno spunto di analisi su quale sia l’importanza dell’ uso delle immagini nel panorama contemporaneo artistico e in un contesto che riguarda il quotidiano. Sembra che la capacità della performance di imprimere immagini vada oltre la pratica teatrale all’ interno dello spettacolo.
Gli elementi che compongono la performance in chiave contemporanea, sembrano rapportarsi al valore che le immagini creano nel contesto prettamente virtuale, nella quale la società di oggi è immersa. L’elemento scenico fisso, sei palloncini, fanno da boa alle immagini create dai movimenti degli attori. L’elemento della danza non libera il performer ma lo riporta a ciò che il movimento vuole esprimere, tenendo conto che egli non può uscire dal ring dello spazio scenico. La fissità degli sguardi fa da contrappunto a alla partitura gestuale utilizzata dagli attori, insieme all’apparente mobilità dei corpi che durante lo spettacolo assumono una tendenza ad esaltare l’interazione che i gesti degli attori hanno creato con gli oggetti che vestono in scena. Ciò coglie come il senso di apertura che l’emozioni degli attori vogliono esprimere, attraverso il proprio linguaggio, abbia bisogno di calamitarsi in qualcosa che ritorna all’ interno del vissuto del performer. Si nota una volontà di esprimersi per un nuovo bisogno di appartenenza.
In questa concatenazione di elementi e tenendo conto di questa chiave, il concetto di contemporaneo ci trasporta e ci immobilizza allo stesso tempo; in quanto pone una riflessioni su cosa sia la contemporaneità vissuta dal singolo individuo. I silenzi creati dagli sguardi, dalla scansionata mobilità dei corpi o dall’immutabilità degli oggetti, confrontano la drammaturgia contemporanea con gli aspetti contemporanei del vissuto quotidiano. Come il performer torna a se stesso dopo le svariate interazioni con tutti gli elementi scenici, allo stesso modo l’individuo si ricala nel proprio “sé” dopo che i ritmi sociali lo portano continuamente a relazionarsi con mezzi virtuali. In questa chiave Influenza apre la porta sul virtuale, considerato come elemento inopinabile sul quale si basa la società. La pratica attoriale alla quale assistiamo sembra scavare nell’inconscio dello spettatore e fare emergere come nella nostra contemporaneità, l’esigenza di comunicare sia mossa dalla facilità che il virtuale ci offre, divenendo in questo modo capace di liberarci solo a condizione di ritornare ad una connessione con noi stessi, espediente questo alla base della pratica della comunicazione virtuale.
Individualità intesa non tanto come singolo individuo che avvia un processo di comunicazione, ma per lo più riguardante il rapporto introspettivo che il singolo attua nell’interazione con il mezzo che crea il messaggio; ciò avviene anche se consideriamo che tale pratica è attuata in un contesto che visto dal di fuori sembra riguardare un aspetto della collettività. Ad esplicitare quanto detto sono le parole che la performer enuncia nelle ultime battute finali, ci sei…sei ancora qui… Nel corso del lavoro Floor Robert, Giacomo Bogani e Francesco Michele Laterza attribuiscono in maniera pratica al performer la capacità di ricoprire l’intera pratica attoriale, in quanto il corpo disegna drammaturgie attraverso diversi linguaggi. Ma l’aspetto del contemporaneo non è in grado solamente di disegnare traiettorie meta teatrali, ma riesce all’interno di questo spettacolo a versare nel proprio vaso le componenti principali che riguardano la drammaturgia della danza contemporanea. Il modo di lavorare con e sullo sguardo da parte dei protagonisti, evidenzia come viene anche abolito il modo classico di raccontare una storia attraverso le espressioni del volto, e come il carattere narrativo venga tradotto nell’insieme dei gesti dell’intero corpo, trasformando il concetto di narrazione in quello di partitura, che si basa principalmente su un gesto di tipo evocativo.
I colori scenografici e dei costumi riconducono ad un luogo dell’infanzia vissuto dalla performer che contrasta con la danza della crescita che si assiste in scena. Dalla disputa tra l’ aspetto ludico e quello maturo riecheggia un lieve senso di nostalgia. Spettacolo che rientra pienamente nelle corde più che elastiche del RomaEuropa festival 2017, evento capace di proporre degli spettacoli nei quali riesce a modellare le diverse componenti performative di cui il teatro si nutre e di conseguenza inevitabilmente nutre. In questa innovativa programmazione vi entra lietamente a farne parte l’influenza del gruppo inQuanto teatro, con l’opera prima della performer Floor Robert.
Emiliano De Magistris
7 novembre 2017
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fotografia di Guido Mencari