Recensione dello spettacolo Il borghese gentiluomo, in scena al teatro Sala Umberto dal 19 al 29 ottobre 2017
Al Teatro Sala Umberto ha debuttato il 19 ottobre 2017 un classico del teatro di Molière Il borghese gentiluomo, con una produzione del Teatro Due di Parma e Teatro Stabile di Genova e con la regia di Filippo Dini. L’opera, datata 1670, resterà in scena fino al 29 ottobre e ci parla della Francia del Re Sole in cui la società era rigidamente divisa in classi sociali: da una parte nobiltà e clero che ruotano attorno al re e dall’altra il Terzo Stato a cui appartenevano la borghesia, i salariati e i contadini.
La commedia ci parla di un borghese, Monsieur Jourdain e della sua aspirazione ad entrare a far parte della nobiltà, quindi a passare dall’altra parte della società. Non a caso, per i contemporanei di Molière il titolo suona come un ossimoro, ossia l’accostamento di termini contrapposti, intendendo dire nobile con il termine gentiluomo. Per comprendere a fondo il senso dell’opera bisogna, infatti, aver presente che fino alla Rivoluzione francese i borghesi arricchitisi con il commercio rappresentavano una realtà particolare, possedevano a volte più denaro della vecchia aristocrazia feudale ma non godevano di diritti politici e del riconoscimento sociale che chiedevano. Molière si diverte a narrare i maldestri tentativi di Monsieur Jourdain di scalare le vette sociali.
Costui vuole diventare un aristocratico a tutti gli effetti e per questo prende lezioni di musica, di ballo, di scherma, di filosofia, e ogni maestro ritiene che la sua arte sia superiore a quelli degli altri finendo ad azzuffarsi a botte per dimostrare di essere i migliori. L’ambizione sfrenata di Jourdain di essere considerato aristocratico lo porta ad una cecità che lo rende ridicolo agli occhi sia dei servitori, sia della moglie e della figlia, oltre che dei vari personaggi che gli ruotano attorno. Tra questi ultimi uno spiantato conte che sfrutta le sue ricchezze a proprio vantaggio solleticando le sue velleità aristocratiche. Alla fine i suoi tentativi falliranno, la figlia che lui voleva dare in moglie ad un aristocratico, sposerà il borghese Cléonte che ama e la marchesa che lui corteggiava sposerà il conte di cui era l’amante. Lui resterà solo a continuare a sognare di poter ancora comprare col denaro quei titoli e quella rispettabilità di cui è storicamente privo.
L’intramontabile opera di Molière, inizialmente fu rappresentata per suscitare il divertimento e l’ilarità del pubblico nei confronti di un borghese che si stava permettendo di diventare gentiluomo. In una società rigidamente gerarchica come quella dell’Antico Regime era inconcepibile, sia da parte delle classi sociali elevate che di quelle più povere, un simile tentativo. Il borghese è ridicolo in tutte le sue ambizioni perché vuole scimmiottare una nobiltà a cui lui non ha il diritto di accedere, per cui lo stesso Molière lo deride per un’ambizione considerata insana. Filippo Dini, regista ed interprete principale, reinterpreta in chiave contemporanea la commedia con una serie di scelte registiche che attualizzano il messaggio della commedia. A noi contemporanei colpisce la goffaggine del grottesco Monsieur Jourdain per il ridicolo della classe sociale aristocratica a cui lui vuole a tutti i costi appartenere. Lungi dalla nostra sensibilità accettare passivamente quell’immobilità sociale, siamo colpiti e irritati da una serie di convinzioni che animavano la nobiltà del tempo, come quella di essere gli unici detentori della “vera cultura” da usare come strumento di supremazia sociale.
A noi uomini di oggi fa pena il povero protagonista che pensa di acquisire valore e dignità imitando costumi ai nostri occhi assolutamente vuoti e privi di senso. In questo intento Filippo Dini riesce molto bene, causando divertimento nel pubblico a giudicare dalle risate suscitata in sala, ma allo stesso tempo suscitando rabbia. La scelta di fare una commistione dei costumi del ‘600 con quelli contemporanei, di un linguaggio più libero rispetto a quello dell’opera, dell’aggiunta di situazioni nuove, ne fanno uno spettacolo tranquillamente fruibile anche ai giorni nostri. Eccellente la performance interpretativa di tutto il cast che vede la presenza di attori come Orietta Notari nei panni della moglie di Jourdain, di Sara Bertelà nelle vesti della marchesa corteggiata dal protagonista, di Davide Lorino nel ruolo del conte amante della marchesa, dell’istrionico e divertentissimo Ivan Zerbinati che presta il volto al servitore di Jourdin, a Cléonte, l’uomo che vuole sposare sua figlia e al maestro di scherma dimostrando in tutti i casi una non comune vis comica che trasfonde nei suoi personaggi. Non è stata da meno l’interpretazione comica di Ilaria Falini nei panni della serva Nicole, di Roberto Serpi nel triplice ruolo di Covielle, del maestro di ballo e del servitore di Cléonte e infine di Marco Zanutto come maestro di filosofia. Buono il risultato finale.
Mena Zarrelli
23 ottobre 2017