Recensione dello spettacolo L’inquilina del piano di sopra in scena al Teatro Golden dal 27 settembre al 23 ottobre 2016
Mantenere fede ad una vecchia promessa nel giorno del proprio compleanno, con tanto di candeline, torta e champagne. È così che si alza il sipario su L’inquilina del piano di sopra: classico della commedia francese di fine Ottocento, inizio Novecento in scena al Teatro Golden di Roma fino al 23 ottobre. Ed è una promessa, un giuramento diverso e successivo al primo, fatto ad un’amica ad alimentare le vicissitudini di tre bizzarri personaggi, impegnati a condurre tre vite solo apparentemente inconciliabili fra loro.
Al piano di sopra c’è Sophie (Gaia de Laurentis), bella, istrionica, solare eppure incredibilmente sola, così attaccata alla vita da volerla fare finita, una volta spente le quaranta candeline.
Al piano di sotto c’è Bertrand (Ugo Dighero), un non più giovane professore universitario di storia, burbero, misogino, decisamente orso e affezionato più alle sue ricerche e al suo archivio che a qualsiasi altra forma vivente.
Tra un piano e l’altro c’è Suzanne (Laura Graziosi), l’amica “sesso, droga and rock’n’roll” di Sophie, sempre in viaggio e innamorata, il deus ex machina che, con il suo brio e la sua esuberanza, riesce ad impedirle di compiere il folle gesto.
Tutt’intorno c’è una Parigi desolata e deserta, ma anche afosa e criminale: la Parigi del giorno di Ferragosto.
A farli incontrare, al piano di sopra, ci pensa il destino o più semplicemente dell’acqua di troppo che dalla vasca traboccante e difettosa di Sophie scende e invade le stanze di Bertrand, dando inizio ad una guerra e ad un via vai, non poco impegnativo per i protagonisti, tra due piani diversi eppure maledettamente simili.
Aiutati da una scenografia ricca e particolarmente suggestiva, firmata Matteo Soltanto, e guidati dalla regia di Stefano Artissunch, i due scapoli si rincorrono da un piano all’altro, ora urlandosi addosso, ora provando a conoscersi meglio, senza mai smettere di scavare, a loro insaputa, in quella solitudine e in quel bisogno dell’altro che in quei giorni di agosto li allontana e al tempo stesso avvicina. Perché sì, ciò che apparentemente rende impossibile la comunicazione tra i due è solo un modo diverso di combattere l’assenza di qualcuno, uomo o donna che sia, da “rendere felice”. E se Sophie ha scelto di rifiutarla, insieme alla vita stessa (perché se l’ami troppo, la vita, non puoi viverla a metà); Bertrand ha fatto della solitudine la condizione necessaria di un’esistenza (in)felice.
Ed ecco che il testo esilarante, ironico e a tratti brillante di Pierre Chesnot nasconde dietro alla risata spontanea del pubblico e alle situazioni grottesche in cui si aggrovigliano i personaggi quei timori e drammi della vita quotidiana comuni a molti nella Parigi di un secolo fa, così come nella metropoli di oggi. La paura della solitudine, mista al terrore di non piacere all’altro e all’incubo del rifiuto, fa da sfondo all’intera vicenda e, ora celandosi, ora alternandosi a momenti di folle euforia, dà un ritmo, piuttosto frenetico, ai novanta minuti di spettacolo dal finale lieto e incerto allo stesso modo. Perché se Sophie e Bertrand riusciranno ad aprirsi l’uno all’altra, la sempre allegra Suzanne conoscerà proprio sulla chiusa il suo personale dramma: il solito vecchio spauracchio di sempre.
Concetta Prencipe
23/10/2016