Recensione dello spettacolo Le Olimpiadi del 1936 al Sala Umberto di Roma dal 1 al 6 novembre 2016
Quando bisogna raccontare di sport, oggi non c’è miglior narratore di Federico Buffa, volto noto di Sky e icona vivente del new journalism sportivo, ecco perché nessuno meglio di lui poteva narrare a teatro le Olimpiadi più controverse della storia, ovvero quelle disputate a Berlino nel 1936.
Nel bel mezzo delle celebrazioni del regime nazionalsocialista, Hitler e il suo ministro della propaganda Goebbels non potevano che approfittare di questa occasione per mostrare la superiorità della Germania e della razza ariana alle altre nazioni. Il regime sfruttò quanto più possibile il richiamo delle olimpiadi soprattutto considerando che nessun’altra potenza contraria al regime, quale gli Stati Uniti, la Francia o l’Inghilterra, intese boicottare i giochi nonostante i diversi appelli lanciati data la violazione dei diritti umani perpetrata dal nazismo. Quindi, in quelle due settimane di sport, il tempo e la Storia si fermarono davvero e il regime fece di tutto per presentarsi al mondo nascondendo il suo vero volto.
Alle competizioni olimpiche, naturalmente presero parte uomini provenienti da tutto il mondo, che in quel momento non si resero conto di star scrivendo essi stessi la storia dell’umanità: è proprio di questi uomini che Buffa, nei panni di colui che fu il comandante del villaggio olimpico berlinese, Wolfgang Furstner, narra le gesta.
Per raccontare bene e far comprendere la portata e il significato delle Olimpiadi del ’36, è necessario partire proprio dall’antefatto: il capo supremo della Germania nazista intendeva promuovere l’immagine di un Paese rinato, unito e forte, attraverso i giochi che la Repubblica di Weimar si aggiudicò nel 1931. La macchina organizzativa del regime si mise in moto in un modo talmente massiccio che nemmeno ai nostri giorni possiamo immaginare: preparativi meticolosi furono dettati e progettati direttamente da Goebbels, che affidò all’architetto Adolf Speer la costruzione e organizzazione dell’enorme complesso sportivo in cui si svolsero i giochi, ma non solo. Queste del ’36 sono state anche le prime olimpiadi trasmesse in televisione, a dimostrazione del grande progresso tecnologico della Germania rispetto agli altri paesi europei, e le prime in cui un tedoforo portò da Atene la torcia olimpica, ma soprattutto furono i primi giochi durante i quali si girò un film. Hitler infatti affidò all’attrice e regista tedesca Leni Riefenstahl il compito di celebrare il regime attraverso la macchina da presa e Leni, dopo il grande successo de ‘Il trionfo della volontà’, decise di girare dal vivo il suo “Olympia”, supportata da un enorme apparato di operatori messi a disposizione dal Fuhrer.
Oltre a realizzare uno degli migliori film dedicati allo sport, la Riefenstahl dedicò gran parte del suo girato all’atleta afroamericano James ‘Jesse’ Owens, vincitore di quattro medaglie d’oro, ed è proprio sulla storia di Owens che si sofferma il racconto di Buffa. Figlio di un uomo che raccoglieva cotone nelle piantagioni, probabilmente Owens avrebbe fatto la stessa fine se non fosse diventato l’atleta di punta della corporazione statunitense aggiudicandosi ben 4 ori nelle gare di salto in lungo. Per lui, uomo nero cui era vietato mischiarsi ai bianchi, era davvero impossibile provare un senso di appartenenza per uno stato che lo vedeva ancora come uno schiavo. Ecco perché Buffa sceglie la sua storia quale simbolo di quel senso di solidarietà al genere umano e di uguaglianza che muoveva gli atleti del ’36. Proprio come Soon Kee Chung, l’altro protagonista della storia di Buffa. Coreano costretto a partecipare alle olimpiadi sotto bandiera nipponica con il nome di Son Kitei, Chung vinse la maratona per se stesso e per la sua Corea, tanto che nelle interviste tenne sempre a sottolineare le sue origini coreane e non giapponesi.
Questi e altri atleti del tempo che fu, sono ascesi alla notorietà per i loro meriti e come esseri umani che hanno dato tutto per lo sport, e la loro bravura non poteva che emergere grazie ai giochi olimpici che si sono rivelati un’utile vetrina con cui questi atleti hanno potuto mostrarsi all’umanità intera riuniti sotto un’unica vera bandiera, quella sportiva.
Proprio a dimostrazione della solidarietà umana che caratterizza le discipline sportive e, nello specifico, questa edizione dei giochi, Federico Buffa ritiene importante raccontare anche quell’aiuto fraterno che sia Jesse che Soon, hanno ricevuto dai loro ‘avversari’: Soon Kee Chung, infatti, riuscì ad affrontare la crisi che lo attanagliò durante le gare grazie all’intervento dell’inglese Ernest Harper, mentre il tedesco Luz Long suggerì a Owens il modo migliore di saltare e grazie al quale Jesse si aggiudicò l’oro.
L’excursus storico e sportivo che Federico Buffa racconta, è avvincente, esaltante, incredibile e a volte divertente: Buffa riesce a catturare completamente l’attenzione del pubblico e, nonostante non sia uomo di teatro, dimostra di aver fatto propri i tempi e i modi teatrali tanto che nulla gli vieterebbe di diventare uno storyteller anche teatrale oltre che televisivo. Prezioso dev’essere stato per lui il supporto del regista e coautore dello spettacolo Emilio Russo, così come la presenza sul palco del maestro Alessandro Nidi al pianoforte accompagnato dalla evocativa fisarmonica di Nadio Marenco. La loro musica, però, acquista sensualità e nostalgia grazie alla voce di Cecilia Gragnani, che stupisce per la facilità con cui passa dalle canzoni tedesche a quelle americane a quelle francesi.
Alla fine si esce dalla sala indotti a porsi qualche domanda: a confronto con quelle Olimpiadi così cariche di significato, le gare odierne risultano quasi insapori e scolorite, e gli atleti moderni, nonostante l’indiscussa bravura e l’impegno, escono sconfitti dall’umiltà e dalla genuinità che caratterizzavano uomini come Owens e Chung. Tali qualità oggi si riconoscono in pochi dei nostri sportivi, a dimostrazione di quanto l’uomo abbia trasformato anche lo sport in qualcosa di fittizio e di superficiale con l’unico scopo del guadagno economico.
Diana Della Mura
06/11/2016