#riflessioni
Dopo la chiusura coatta del Teatro Dell’Orologio e in trepidante attesa per i risultati conseguiti dal Roma Theatrum Mundi – Assemblea cittadina per il teatro, un’altra disgrazia pareva incombere sul già desolante panorama dell’offerta culturale romana. Le principali testate giornalistiche vengono allertate nottetempo: “a causa dell’inerzia delle Istituzioni e delle promesse eluse” chiude lo storico Teatro Eliseo. Per comunicarne i dettagli il direttore artistico, Luca Barbareschi, convoca tutti il giorno dopo - 15 marzo - per le 12:00.
Come un Cesare scampato alle Idi di Marzo, è un Barbareschi incontenibile quello che – di fatto – arringa la platea di giornalisti, addetti ai lavori e amici intervenuta. Con il solito piglio dissacrante non risparmia nessuno: dalle associazioni di categorie ai ministri, primo tra tutti Dario Franceschini, fino all’assessore alla crescita culturale di Roma capitale e vicesindaco Luca Bergamo. Il motivo principale? Un emendamento che avrebbe garantito ossigeno all’Eliseo - previsto dalla Finanziaria, passato alla Camera poi stralciato al Senato quindi destinato a finalità diverse – ma non solo.
Innanzitutto una doverosa precisazione, che in realtà tutti si aspettavano già: “L’Eliseo, se chiude, chiuderà a fine stagione. A costo di vendermi l’ultima casa rimasta, starò qui dentro, finirò la stagione e le compagnie verranno saldate.” Com’è ben noto, però, le stagioni teatrali vanno programmate con largo anticipo e a breve cadrà il centenario del celebre teatro romano: “Io a oggi devo sapere cosa fare. Ho già chiuso le stagioni 2017 – 2018 fino a gennaio prossimo. Perché per avere le star, i grandi autori, i grandi registi, io devo prenotarli prima”.
Barbareschi, inoltre, non vede l’ora liberarsi di tutti quei sassolini che paiono riempirgli le scarpe: specifica che gli sarebbe piaciuto fosse presente il ministro per avere un confronto e ricorda “Quando ho preso questo teatro mi son detto io metto 5 milioni di euro e li perdo. Ma non importa, perché ho avuto molto dalla vita, ho avuto successo, ma il maggiore entusiasmo l’ho provato nel creare un centro di eccellenza. E ce l’abbiamo fatta: l’anno prossimo arriveremo a 10 mila abbonati, una cosa mai vista. Ma l’Eliseo è un teatro pubblico e privato: uno strano accrocco, ma questa è la realtà. E senza l’apporto dello Stato non potrà mai stare in piedi.” Il direttore non si riferisce solo ai finanziamenti previsti dal Ministero dei Beni Culturali in quanto Tric (Teatro Di Rilevante Interesse Culturale) ma paragona la sua alle altre realtà nazionali: “Il Piccolo Teatro di Milano prende 5 milioni dal MiBACT, 5 milioni dal Comune, 1 milione e mezzo dalla Regione, 800.000 euro dalla Fondazione Cariplo e via dicendo, totale 13 milioni di euro e in più la struttura è pagata dal Comune. Al Teatro Di Roma il MiBACT ha dato 1 milione e 600 mila perché gli è girato così, Regione Lazio ha dato 1 milione e 190 mila, Roma Capitale 2 milioni e 750 mila eccetera fino ad arrivare a 8 milioni e 245 mila.”
E parlando di finanziamenti politici ricorda l’esperienza di Tor Bella Monaca: “arriva Tronca e mi dice ti do un progetto per le periferie. Così noi portiamo tutti i nostri spettacoli a Tor Bella Monaca da due anni: ho fatto riaprire io l’omonimo teatro perché l’avevano chiuso. Mi assegna dei soldi, li mettono a bilancio, poi arriva Bergamo e me li toglie. Perché? Perché mi stai sulle palle, ciao, arrivederci. Ed è così che va, lo giuro”. Poi si dilunga sulle sponsorizzazioni che si è procurato personalmente nonostante un’ulteriore problematica: “Franceschini dice che i privati devono fare la loro parte. Peccato che l’Eliseo non goda dell’Art bonus (la detrazione del 65% dalle donazioni che le singole persone e le imprese faranno in favore di musei, siti archeologici, archivi, biblioteche, teatri e fondazioni lirico sinfoniche NdR), riservato agli enti lirici che sono politici”. E aggiunge: “Il FUS (Fondo unico per lo spettacolo) prevede per il teatro 67 milioni di euro: triplicare questa cifra avrebbe un impatto ridicolo sul bilancio italiano. Se non lo si fa è per una precisa scelta politica e questo dipende anche dal fatto che noi non abbiamo delle associazioni di categoria degne di questo nome. Io pago 3 associazioni: Anica per il cinema che faccio, APT per la televisione che faccio, A.G.I.S. per il teatro che faccio. I tre presidenti sono rispettivamente Rutelli, Follini e Fontana: tre politici. Servirebbe che a capo di queste associazioni non vi fossero politici ma, piuttosto, colleghi che chiunque va al governo gli fanno un culo così se non rispetta le esigenze dell’associazione e della categoria. Andate a vedere nel Milleproroghe a quanti settori industriali sono andate le sovvenzioni: noi come categoria non esistiamo perché nessuno ci sa difendere.
Del resto non è facile fare associazione perché quello del teatro è un mondo parecchio diviso ed è molto difficile parlare bene dell’altro, in parte anche per l’egocentrismo tipico di questa professione.”
Tornando allo spazio da lui diretto, ribadisce: “L’Eliseo ha una mission molto alta e io me la son caricata sulle palle ma voi non troverete il mio nome da nessuna parte e spero che questo gesto di eleganze sia apprezzato: perché io ho il dovere, tra qualche anno, di passare il testimone a un altro direttore artistico che, come me, non appaia pubblicamente ma che sia al servizio di una istituzione. Perché questo è quello che deve accadere: l’Eliseo è storia, non è Barbareschi, è l’archivio meraviglioso che abbiamo messo in ordine e digitalizzato mentre prima era buttato nei cessi e nelle cantine. Qui sono state dette parole per 100 anni e le parole hanno un potere strepitoso, insieme alla forza e all’emozione che diamo. Questo è il teatro e io sono l’umile sacerdote di un tempio che teniamo aperto ogni giorno. Ecco perché voglio essere nutrito di talento e chi mi conosce sa che sono la persona più accessibile del mondo: ricevo chiunque, leggo i testi e vado a vedere personalmente gli spettacoli da proporre perché voglio essere sicuro di ciò che porto in scena. Ecco perché mi offende che mi si risponda “non ho la becchetta magica”: il ministro ha una disponibilità di spesa e può fare quello che vuole, altrimenti è un ministro senza portafoglio. Se a un ministro non interessa il teatro ma preferisce i beni archeologici, però, non posso che prenderne atto.
E conclude indomito: “io, da adesso fino al cominciare della prossima stagione, mi impegnerò per trovare tutti i finanziamenti privati possibili. Non godendo dell’Art bonus, però, se chiedo loro 100 gli faccio pagare 50 di tasse e questo è un problema. Ma vado avanti perché le chiese – e questa è una chiesa - non vanno sfrattate e io ci sto dentro finché non mi cacciano. Convocare la conferenza stampa è servito a raccontare delle cose che magari qualcuno non conosceva, con il contributo dei dati e la verità di ciò che accade.
Cristian Pandolfino
16 marzo 2017