Il teatro, l’arte più direttamente comunicativa ma anche più effimera. L’arte che esiste nel qui e ora del palco, e un attimo dopo la chiusura del sipario non esiste più. Esattamente come la vita, che accade a ciascuno di noi in questo preciso momento e non è mai uguale a se stessa.
A teatro noi assistiamo allo svolgersi di esistenze in cui spesso troviamo frammenti che ci appartengono. Gli attori entrano in scena, e sono talmente vicini a noi che potremmo fare pochi passi e toccarli. Camminano, parlano, gesticolano, esprimono emozioni, intessono relazioni, restano vittime di dinamiche irrisolte o fraintendimenti.
Esattamente come avviene a ciascuno di noi nella realtà.
Il teatro per esistere ha dunque bisogno non solo degli stessi elementi di cui è fatta la vita reale, ma di maneggiare gli stessi codici linguistici, a volte perfino le identiche forme dialettali, i modi di dire, i neologismi, quelle tipologie di gestualità che inequivocabilmente veicolano un certo tipo di messaggio e non un altro.
Il teatro si nutre imprescindibilmente della vita. Il teatro per esistere ha bisogno della vita.
E se fosse vero anche il contrario?
Se fosse vero, allora l’esistenza di ciascuno, non solo di chi ha fatto del teatro la propria professione e/o ragione di vita, potrebbe diventare migliore grazie all’utilizzo dell’arte scenica.
Questa è la grande intuizione e missione della teatroterapia. Dal dopoguerra in poi, molteplici sono le esperienze e le metodologie utilizzate nei cinque continenti in cui le tecniche teatrali vengono utilizzate nei più vari contesti, con il solo scopo di migliorare o, laddove sia possibile, superare un iniziale stato di disagio o sofferenza. L’arte scenica dunque si mette al servizio dell’essere umano, andandolo a scovare nei posti più impensati: in carcere, in comunità di recupero, nei centri d’ascolto e d’accoglienza, nelle case famiglia e così via, permettendo a ciascuno di esperire parti dimenticate di sé, di rispecchiarsi nell’altro, di elaborare traumi o vissuti particolarmente complicati.
Ma non è finita qui.
Negli ultimi vent’anni ho avuto la possibilità di far confluire nell’esperienza del teatro educativo e del teatro ragazzi, la teatroterapia, la comicoterapia e il Metodo Verbo Tonale, ponendo il tutto al servizio di bambini, ragazzi e adulti affetti da disabilità della comunicazione. Questa incredibile, potente, meravigliosa esperienza ha poi preso il nome di Logoteatroterapia.
La Logoteatroterapia utilizza i giochi e le attività proprie del laboratorio teatrale per migliorare le capacità comunicative, verbali e non verbali, di ciascuno. Immaginate un individuo affetto da sordità, oppure da disabilità intellettiva o anche da iperattività e disturbo dell’attenzione (giusto per fare qualche esempio: le disabilità dell’area del linguaggio e della comunicazione sono molteplici). È per lui/lei estremamente complicato comprendere il messaggio che gli/le viene rivolto, guardare negli occhi l’interlocutore, ascoltare per tutto il tempo necessario, gestire opportunamente il proprio corpo nello spazio tanto da fornire la risposta adeguata. Ma ecco che il gioco del teatro ci viene in aiuto! Innumerevoli sono le attività che esercitano le più varie competenze, dall’essere pienamente presenti dentro il proprio corpo al rivolgersi all’altro in maniera armoniosa; dall’articolare correttamente per migliorare la voce e la pronuncia al migliorare l’attenzione e la memoria; dal trovare il proprio spazio sia fisico che verbale, al concederlo all’altro, e così via. Inoltre grazie alle più varie improvvisazioni, ciascuno ha la possibilità di “allenarsi” alla vita vera, al rapporto con gli amici o i compagni di classe, gli adulti o i familiari, riflettendo e introiettando il significato di determinate posture o atteggiamenti corporali, comprendendo l’aspetto emotivo sempre presente nel contenuto linguistico, afferrando le relazioni o dinamiche che si instaurano fra i vari personaggi.
Tutto questo avviene giocando, ridendo, divertendosi. Ciascun partecipante al laboratorio di Logoteatroterapia trova il coraggio di mettersi in gioco, di affrontare le proprie piccole o grandi difficoltà. Sperimenta come fare leva sui punti di forza e prende consapevolezza di possedere molteplici talenti. Pian piano aumenta la propria autostima, e acquista il coraggio necessario a rompere il ghiaccio per costruire relazioni al di fuori dello spazio protetto, riesce a farsi qualche amico in più. Comprende quella professoressa che prima suscitava solo la sua antipatia. Prova a mettersi nei panni della nuova compagna del padre, iniziando a cogliere anche il suo punto di vista. Migliorando il suo linguaggio e le capacità relazionali, inevitabilmente migliora tutta la sua vita.
Cecilia Moreschi
10 novembre 2020