A teatro capita spesso, aspettando che il sipario si apra, di ascoltare le conversazioni altrui o di instaurarle. Mi è capitato anche la scorsa settimana. Come al solito ero in largo anticipo, mi sono accomodato ed ho cominciato ad aspettare consapevole che i ritardatari di turno avrebbero diluito ulteriormente l’inizio dello spettacolo.
Per fortuna però affianco a me era seduta una giovane coppia che ben presto ha cominciato a parlare della spesa che avrebbero dovuto fare l’indomani. Yogurt, pane, carta igienica, tovaglioli… tutto molto noioso, finché il dialogo, di colpo, ha accesso il mio interesse. Lei, occhi sbarrati, ha detto: “No! Ci siamo dimenticati di prendere il dispositivo anti-abbandono”.
Lui molto meno preoccupato ha cominciato a cercare una serie di negozi sul telefonino per prenderlo il prima possibile. Poi hanno cominciato a discutere “e se ci fermano senza?”, “se ci fanno la multa?”. A quel punto sono entrato nella discussione per diretto interesse. La vera domanda che ci siamo posti, alla fine è stata: serve veramente un dispositivo anti-abbandono per ricordarci dei nostri figli?
È vero i casi di cronaca degli ultimi anni fanno stringere il cuore e fanno capire che qualcosa va fatto. Ma non credo che un dispositivo sia la soluzione, anzi. Se un genitore, accerchiato da orari di lavoro opprimenti, da una routine soffocante e dal costante tentativo di arrivare a fine mese arriva a dimenticarsi il figlio in macchina la colpa non è di certo della mancanza di un dispositivo anti-abbandono. Quello dell’obbligo (a partire dal 7 novembre) di averlo in tutte le auto che trasportano minori di quattro anni è solo un palliativo che lascia lo status quo inalterato in attesa che i sintomi si manifestino in maniera ancora più grave.
Agire sul tessuto sociale, sulla qualità della vita delle persone, di questo si dovrebbe discutere e non di dispositivi in grado di ricordarci l’ovvio. Se una persona arriva a dimenticarlo, l’ovvio, allora vuol dire che la direzione verso la quale ci stiamo muovendo non è quella giusta. Mi aspetto allora nei prossimi anni dispositivi in grado di allertare i genitori ogni qualvolta i figli si avvicinino troppo ai bordi del marciapiedi o dei balconi. Applicazioni in grado di dirci quanto farli mangiare in base all’effettivo consumo calorico previsto per la giornata, o quando farli smettere di giocare perché troppo sudati rispetto all’umidità percepita nell’ambiente.
Spesso compagnie e attori e addetti al settore mi chiedono cosa mi piacerebbe vedere di nuovo a teatro. Rispondo sempre: spettacoli che siano in grado di parlare dei problemi del presente e che non si limitino (come accade per la maggior parte dei casi) a variazioni dei grandi classici. Ecco quello dei dispositivi anti-abbandono è uno di quei temi che mi piacerebbe venisse affrontato a teatro, chissà magari potrebbe essere di sprone per alimentare il dibattito pubblico.
Enrico Ferdinandi
14 novembre 2019