Sempre più spesso, nell’attesa che si alzi il sipario che decreta l’inizio dello spettacolo, ci si trova ad avere di fronte, o accanto, la signora intenta a farsi un selfie con l’iPhone, a truccarsi in poltrona, a scorrere le foto sul cellulare o a chattare su whatsapp. A nulla valgono le raccomandazioni della voce al microfono che avvisa gli spettatori in sala di spegnere i telefonini per non disturbare chi è seduto vicino e il divieto di riprese video e audio della rappresentazione. Per non parlare di coloro che prendono posto a spettacolo già cominciato.
Qual è il pubblico che va a teatro?
È importante fare una premessa. Il teatro, a differenza di tutte le altre attività artistiche, è un’arte che non esiste se non attraverso il pubblico (dal greco théatron, che significa spettacolo e dal verbo theàomai, ossia vedo). La scelta dei contenuti, del linguaggio adoperato e del tipo di spettacolo che si rappresenta è importante per capire che tipo di spettatore va a teatro. Prendiamo ad esempio il teatro di prosa e il teatro d’opera. Le differenze di approccio nella comunicazione di un teatro d’opera e di uno di prosa sono molteplici: il prodotto artistico, il contesto culturale, l’idioma, le immagini; diversamente, un teatro di prosa ha una programmazione più diversificata e accessibile – sia da un punto di vista culturale che da un punto di vista economico – ad un pubblico più vasto. Il target del teatro d’opera è anagraficamente più vecchio rispetto a quello del teatro di prosa: il linguaggio operistico è molto meno attuale, poco moderno e contemporaneo, senza contare il costo del biglietto che è molto elevato.
C’è poi da affrontare un’altra spinosa questione: cos’è che rientra nel concetto di cultura? Come è cambiata nel tempo e che idea abbiamo della stessa?
Un fattore che ha inciso in maniera esponenziale sul modo di fare e concepire la cultura è costituito dalle innovazioni tecnologiche (computer, smartphone, tablet ecc.) che hanno avuto e continuano ad avere riflessi antropologici e comportamentali.
Le pratiche di lettura o di consumo della musica, ad esempio, sono state cambiate profondamente dall’uso del computer. Ciò si riversa sul sistema generale della cultura e della così detta «cultura alta». Tanto per intenderci, al primo genere di cultura appartengono Donato Carrisi, Ken Follett, Zero Calcare, ecc.; al secondo Dante, Petrarca, Shakespeare, Molière e così via. Coloro che amano leggere (ed è già tanto se leggono) Carlos Ruiz Zafòn o Harry Potter hanno una visione più estesa ed antropologica del concetto di cultura che comprende la televisione, il cinema, la musica; diversamente chi preferisce Pirandello, Manzoni, Machiavelli o Tasso ha una visione più ristretta, che rientra in quella che più comunemente viene definita “cultura d’élite”.
In passato i frequentatori assidui del teatro erano persone che facevano parte di un ceto sociale elevato, oggi le cose non stanno più come allora. Se consideriamo che un biglietto a teatro costa mediamente venti euro non stiamo parlando di un prezzo spropositato, tenendo anche conto del fatto che gli italiani di oggi spendono il proprio denaro acquistando beni non di prima necessità e spesso anche inutili e ingombranti (v. articolo di Enrico Ferdinandi a questo link).
Le ultime statistiche del 2018 (Doxa) parlano chiaro: è il teatro il settore più in crescita. I teatri italiani, dopo un arresto subito nel 2011, sono tornati in auge a partire dal 2015, e fonti SIAE confermano che questo trend si è consolidato nell’anno seguente, per poi rimanere stabilmente positivo. Tuttavia, nonostante l’aumento di spettatori, l’età media è ancora piuttosto alta.
La fascia d’età compresa fra i 55 e i 65 anni detiene il record (il 44%); l’anno scorso un terzo degli over 60 ha preso parte a un concerto di musica classica o a uno spettacolo di opera lirica (la media nazionale è considerevolmente più bassa: 20%). I giovani, invece, preferiscono i concerti pop e rock: dal 52% della fascia d’età fra i 25 e i 29 anni, si scende al 30% circa degli over 55.
Sempre secondo un’indagine della Fondazione Symbola Unioncamere più del 66% dei giovani - fascia d’età compresa tra i 18 e 24 anni – partecipa ad almeno una mostra d’arte o una rassegna nel corso dell’anno, ma snobba il teatro. Perché? Colpa delle nuove tecnologie che distolgono l’attenzione e la concentrazione, o dello scarso web marketing?
Altro dato non poco rilevante: a seguire il teatro è soprattutto il pubblico femminile, sempre meno uomini siedono nelle file del teatro e quasi sempre, quando ciò avviene, sono lì a controllare le partite sul telefonino o poco interessati a quel che avviene sul palcoscenico.
Alla base di tutti questi dati ci siamo chiesti cos’è che il teatro può fare di più per avvicinare i giovani (maschi e non solo), intendendo anche il pubblico compreso nella fascia dei 35-44 anni. Una maggiore diffusione/promozione degli spettacoli sui social network? Una formula innovativa che vada ad incidere sulle sceneggiature teatrali? Stimolare il pubblico con nuovi messaggi, o tutto deve sempre ridursi a “vado a teatro perché c’è quell’attore famoso" ?.
Molti artisti e critici concentrano la propria attenzione su chi fa teatro e come lo fa come se fosse l’aspetto principale; così il teatro finisce per trovarsi perdente in una competizione basata sulle abilità e la fama degli attori, sulla colta sapienza delle regie, sulla spettacolarità e sui costi degli apparati, dove cinema e televisione stravincono da decenni (si pensi alla tv spazzatura che contribuisce ad allontanare una gran fetta di pubblico a teatro).
Il teatro potrebbe nascere sempre nuovo, dalla compresenza di chi lo fa e di che ne fruisce. Bisogna che il teatro vada concepito come una forma d’arte in continuo movimento, che ampli i generi e si concentri su contenuti più estesi, che sia un’opportunità di partecipazione e confronto, un evento costituito da una variegata e pluralità di presenze e linguaggi per comprendere, ricordare e progettare collettivamente. Creare, insomma, una vera e propria scienza e coscienza dello spettatore teatrale.
Costanza Carla Iannacone
10 marzo 2019