Domenica, 22 Dicembre 2024
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UN DISCO ‘PUCCINIANO’ PER ANTONELLA RUGGIERO

E’ uscito il 29 novembre, giorno della celebrazione del centenario dalla morte di Puccini, il nuovo disco della Ruggiero: ‘Puccini?

 

Antonella Ruggiero da quando è uscita dal più pressante sistema discografico, che comporta inevitabilmente  necessità di vendita, compromessi commerciali , aggiustamenti legati al gusto popolare,  ha liberato una volontà di sperimentazione coraggiosa ed indomita, che la fa rimanere non solo una delle più belle voci italiane, ma anche una delle Artiste più interessanti ed innovative del nostro panorama.

In questo senso bisogna guardare a  ‘PUCCINI?’ , raccolta di reinterpretazioni  di alcune delle arie del musicista toscano, pubblicato proprio il giorno del centenario dalla morte del compositore.

Diciamo subito che è uno di quei lavori che potrebbe scontentare tutti: i fan della cantante genovese, che non trovano il repertorio che amano ed i melomani che potrebbero giudicare questa operazione una sorta di sacrilegio. Forse per questo il titolo termina con un educatissimo e modesto punto di domanda, quasi uno scusarsi preventivo dell’esperimento fatto.

In realtà siamo davanti ad una performance interessantissima, che si stacca completamente dall’opera lirica consueta, al punto che la Ruggiero  interpreta numerose  arie originariamente per voce maschile e finisce per sostituirsi al coro della ‘Butterfly’.

Nessuna intenzione di entrare in competizione con gli interpreti lirici , nessuna velleità filologica, ma solo il piacere di cantare, di rendere omaggio al genio ed al gusto di un poeta del pentagramma,  le cui composizioni vengono rielaborate per evocarne l’atmosfera, il racconto  emozionale. Una sorta di narrazione metamusicale, ardita, personale, per alcuni forzata ed irriverente, per altri sublime e raffinata.

Si caricano di suoni  alcuni arrangiamenti, in altri si punta all’essenzialità,  si lavora di elettronica, di strumentazione, non per raccontare Puccini, ma l’idea di Lui. 

Si scava per trovare quelle sfumature che fanno si che un brano smetta di essere la narrazione operata da un personaggio, per diventare la voce della collettività, vestendosi di valori universali, sempre attuale, così straordinariamente capace  di descrivere le nostre giornate, le passioni, le gioie e le paure di ogni giorno, a dimostrare l’immortalità del Maestro di Torre del Lago, capace di svelarci i nostri cuori senza averci mai incontrato.

La selezione dei brani si apre con due arie di Mario Cavaradossi, dalla ‘Tosca’: ‘Recondita armonia’ e ‘E Lucevan le stelle’.

Nel primo, l’arrangiamento elettronico è decisamente ardito, sia nelle sonorità che nei volumi e la voce, con la sua trasparenza luminosissima, sembra sezionare la nebbia dei suoni . Il lavoro sulla parola è esemplare. Il ‘Mia’ di ‘amante mia’ è accarezzato  con una voluttà da fuoriclasse della scena, ‘Tosca’ è detto cercando nella ricca tavolozza sfumature di ambra, intime e cariche di intesa.

‘E Lucevan le stesse’ è reso  in acustica, con chitarra e fisarmonica. Un addio alla vita essenziale e struggente. Anche la voce cerca di evitare virtuosismi ed agilità forzati: una vocalità quasi arcaica, con il canto che pare screziato di pianto e che  cede il passo agli strumenti  per salutare il mondo.

Ancora un’aria originariamente per tenore: ‘Ch’ella mi creda’ da ‘La Fanciulla del West’.

Si mescolano arrangiamenti acustici ed elettronici, con soluzioni che esaltano la componente esotica, verrebbe da dire orientale nonostante l’ambiente americano e che descrivono  atmosfere quasi astrali, completamente differenti dal canto aperto e generoso di Dick Johnson cui siamo abituati noi frequentatori assidui di teatri dell’opera.

La prima delle arie da soprano è la celebre ‘ O mio babbino caro’ dal ‘Gianni Schicchi’. Pezzo popolarissimo, interpretato da diverse star internazionali in versione pop, spesso viene giudicato più per la piacevolezza vocale che per la ruvidità della narrazione. Lauretta chiede al padre il permesso per il matrimonio, ma lancia anche la minaccia del suicidio. È una fanciulla determinata, che non teme il confronto. L’amenità compositiva è strumento di convincimento, non fine del brano.

L’arrangiamento regala tinte oniriche ed il canto coniuga escursioni vocali e cesello della parola,  senza rinunciare né alla bellezza musicale, né alla profondità del racconto. ‘Vorrei morire’ viene sottolineato da un fiato lunghissimo, quasi filato,  al quale segue una sorta di vuoto di parole, un baratto, che viene  poi riempito da una vera  supplica, una preghiera al babbo, rigata di dramma e paura.

‘Sogno d’or’, suggestiva ninna- nanna , concede alla Ruggiero di farsi strumento musicale, in quello che pare quasi un epigramma, un diamante poco noto  incastonato in un diadema di pezzi celebri.

Di amplissimo respiro  l’arrangiamento elettronico dell’aria  da ‘La Rondine’: ‘Chi il bel sogno di Doretta’.

Questo brano già nell’opera originale appare come una sorta di inciso musicale nella storia di Magda e questo probabilmente da’ campo libero all’interprete  di giocare con la sua estensione amplissima,  rincorrendo suoni pregni di colori ed altissime note, riuscendo a trasportare l’ascoltatore in un’atmosfera astratta, di abbagliante nitore e dai riflessi metafisici.

Qualche giro di chitarra acustica apre una inimmaginabile versione di  ‘Nessun dorma’.

Mancano l’irruenza tenorile, la baldanza un po’ tracotante del Principe Ignoto, ma ci sono le sfumature della notte, il rincorrersi delle stelle, la presa di coscienza dell’Amore, il passato che pare parlare nel vento,  fino all’acuto finale, che diventa dardo purissimo, che si perde nella notte di Pechino.

Sicuramente l’arrangiamento più antitradizionale  che si potesse pensare. Francamente, crediamo che sia  molto più rispettoso della volontà di Puccini di troppi atleti del pentagramma, che per arrivare, con il fiato necessario all’acuto finale, esibito ed abusato senza ritegno, dimenticano parole, tagliano frasi, rendono incomprensibile il canto d’amore per farlo diventare una palestra sonora sbruffona ed egoreferenziale.

Ancora dalla ‘Turandot’: ‘Signore, ascolta’, nuovamente con chitarra ed armonica iniziale. Struggente, fortissimo, con una gamma espressiva molto ampia, fino ad una  nota finale altissima, che sembra far salire in cielo la schiava già dalla prima delle sue due arie.

Il disco si chiude con un ‘Coro a bocca chiusa’, da ‘Madama Butterfly’, cantato dalla Ruggiero con ricchezza di colori, che evocano atmosfere lunari alternate a  suoni volutamente sporcati di vita.

Anche qui siamo nella sperimentazione più ardita, con momenti di rilettura magici, che ci fanno immaginare  quante fossero le attese che la povera Cio-Cio-San affidava a quella notte, che lei sperava  preannunciasse l’amore e che avrebbe portato la morte.

Lascia senza fiato l’inciso drammatico di ‘Turandot’ di un carillon che interviene dopo una lunga pausa, a chiudere  un omaggio coraggioso che testimonia come per gli artisti veri non esistano divisioni, barriere, distanze.

Alla fine, secondo noi, se il titolo era una domanda, la risposta è assolutamente: ‘PUCCINI!’

 

Gianluca Macovez

11 dicembre 2024

 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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