Lunedì, 25 Novembre 2024
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La fabbrica dell'Assoluto. E se Dio fosse un sottoprodotto del Capitalismo?

Recensione de “La fabbrica dell'Assoluto” di Carel Čapek edito da Voland edizioni. Casa editrice italiana fondata da Daniela Di Sora nel 1994, specializzata in libri di narrativa straniera, in particolare di origine slava.

 

La storia che mi sono divertito di più a realizzare. Non posso dire che sia la migliore in assoluto, anche se è quella che mi ha procurato i maggiori consensi. Ray Bradbury mi ha detto di averla letta nel 1937, e si è meravigliato per la conoscenza che già a quel tempo mostravamo dell'energia atomica. In realtà non ne sapevamo nulla, ci eravamo inventati tutto quanto. 

                                       (Floyd Gottfredson, parlando di “Topolino e il mistero dell'uomo nuvola")

 

La fabbrica dell'Assoluto, primo romanzo di Karel Čapek, è una narrazione fantautopistica molto particolare che attinge a piene mani da autori ed opere che l'hanno preceduto, prima tra tutte La ricerca dell'Assoluto di Honoré de Balzac, dal quale, sembra, prenda le mosse proprio dall'ultima pagina, nonché da Il dottor Oss di Jules Verne, la Nube Purpurea di M. P. Shiel e da diversi testi di H. G. Wells, sovvertendone i luoghi comuni positivisti con uno stile letterario che oscilla tra il giornalismo semiserio e la satira, come solo Jaroslav Hašek sapeva fare, rivolta alla Chiesa, all'industrializzazione e al Taylorismo in piena ascesa.

Marek, un ingenuo ingegnere, inventa un carburatore atomico che disintegra completamente la materia trasformandola in energia. Prodotto di scarto di questa conversione è un gas, l'Assoluto, che genera in chi lo respira stimoli religiosi e irrefrenabili attacchi di bontà. G. H Bondy, industriale con davvero pochi scrupoli, compra il brevetto e da avvio a  una produzione su scala mondiale, senza tener conto della catastrofe che sta per scatenare liberando Dio in forma gassosa. Eppure era stato messo in guardia. Uomo avvisato, mezzo salvato? A quanto pare no.

Siamo, al principio di questa grottesca cronistoria, nel gennaio del 1943 e da questo momento in poi sarà di ora in ora, di giorno in giorno, di anno in anno un crescendo di situazioni sempre più al limite dell'assurdo che al culmine deflagreranno nella “Guerra più grande” che finirà, dieci anni dopo, nell'ottobre del 1953, sulla scia di profezie senza capo né coda, tra gli ultimi superstiti, di molteplici schieramenti, all'osteria Alla rosa a causa della cameriera Hilda...ma anche in questo futuro anteriore alternativo gli storici non saranno d'accordo, tanto per cambiare.

L'Autore ci racconta le vicissitudini di un Assoluto che, una vota liberato, si diffonde tra tutti gli strati della popolazione in modo virulento. Scrive il cronichista “La religione, come una pestilenza, è esplosa a livello epidemico” e ancora parla della minaccia del “bolscevichismo religioso” tanto è vero che a un certo punto la “guerra religiosa” dilagherà ovunque, anche nei campi di calcio. 

Come in una slapstick di Charlie Chaplin il Perfect Carburator, l'apparente conclusione di ogni problema per il Capitalismo (la crisi carbonifera sembra già solo un brutto ricordo del passato), finirà, col suo sottoprodotto, “Dio in una forma chimicamente pura”, per diventarne il mausoleo.  Infatti l'Assoluto dopo aver agito sulle persone, inizierà a possedere, come un demone stacanovista, i grandi macchinari delle fabbriche dando il via a una bulimica produzione/creazione senza fine che genererà un'inutile eccedenze di ogni cosa esistente portando ben presto al collasso del sistema economico stesso. 

Čapek non si cita addosso, come in alcuni passaggi potrebbe sembrare, ma dimostra, con lungimiranza, di saperla davvero molto lunga mettendo nero su bianco un racconto (sur)realista dove l'Umanità sembra muoversi alla ribalta del Mondo come i burattini di Sergey Vladimirovich Obraztsov sul palcoscenico dello studio 2 del Teatro d'arte di Mosca. Infatti se da una parte si fa cronista dall'altra diventa profeta di due catastrofi, la prima religiosa la seconda economica, fin dal principio annunciate.

Un'opera satirica, questa dello Scrittore ceco che, contestualizzata al periodo storico, per stile e forma, letto col senno di poi, sembra essere un vero è proprio trattamento per l'improbabile sceneggiatura di un mockumentary ante litteram mai realizzato.

Concludendo, non possiamo che ringraziare Voland, per questo importante recupero avvenuto nel luglio 2020, a distanza di trentasei anni (era il 1984) dalla precedente edizione ad opera di Theoria, che ha ridato linfa vitale, grazie a una nuova e accurata traduzione di Giuseppe Dierna, a un testo seminale della letteratura mitteleuropea di inizio '900.

Karel Čapek (1890-1938) il più importante scrittore ceco della prima metà del ’900. Tra le sue opere: Racconti da una e dall’altra tasca, La vita e l’opera del compositore Foltýn, il dramma R.U.R. e, sempre per il teatro, L’affare Makropulos. Pubblicato nel 1922, La fabbrica dell’Assoluto è il suo primo romanzo e darà l’avvio a un’avvincente trilogia fantautopistica che proseguirà con La cracatite (1924) e La guerra con le salamandre (1936).

 

 

Fabio Montemurro

14 febbraio 2022

 

Informazioni

La fabbrica dell'Assoluto
di Karel Čapek
a cura di Giuseppe  Dierna 

Ill. di Josef Čape
Voland edizioni
Pagine 256
Cartaceo  € 16,00
ePub € 7,49

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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