#libristregati primo appuntamento con la rassegna de La Platea che analizza i dodici finalisti del premio Strega, oggi vi parliamo del libro "Almarina" di Valeria Parrella
Molti di voi sicuramente conosceranno il Premio Strega, ma sapete da chi e quando è stato ideato? Tale premio è stato promosso, e continua ad esserlo, dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e Liquore Strega. La prima edizione si svolse il 17 febbraio del 1947 e il nome si deve al mecenate dell’evento Guido Alberti che produceva nell’azienda di famiglia il liquore strega.
I libri premiati sin dall’inizio sono sempre stati lo specchio del clima culturale, dei cambiamenti che avvenivano nella lingua e nei gusti letterari. Ancora oggi questo avviene e i libri che quest’anno sono stati selezionati ne sono un perfetto esempio.
Noi vi proporremo un paio alla volta i dodici libri che sono stati scelti quest’anno iniziando però da Almarina di Valeria Parrella. Un libro che ciè piaciuto molto infatti lo avevamo recensito l’anno scorso e vi riproponiamo la recensione.
Almarina è un romanzo intenso e toccante che parla di dolore, di profonde sofferenze e di come sia difficile risollevarsi. Nel momento stesso in cui si decide di risollevarsi le difficoltà aumentano, la salita si fa irta, ma è proprio lì che non bisogna mollare. Ma non c’è solo sofferenza in quest’opera c’è anche la nascita di un grande amore tra un insegnante e la sua allieva. Un amore che non conosce autorità!
“Perché c’è una cosa che continua ad essere sfuggente, e non ve la dirà nessuno ad alta voce, così adesso ve la dico io; l’amore non conosce autorità.”
Può una prigione rendere libero chi vi entra? Elisabetta insegna matematica nel carcere minorile di Nisida. Ogni mattina la sbarra si alza, la borsa finisce in un armadietto chiuso a chiave insieme a tutti i pensieri e inizia un tempo sospeso, un’isola nell’isola dove le colpe possono finalmente sciogliersi e sparire. Almarina è un’allieva nuova, ce la mette tutta ma i conti non le tornano??: in quell’aula, se alzi gli occhi vedi l’orizzonte ma dalla porta non ti lasciano uscire.
Nisida è un'isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. poichè è un carcere sull'acqua, ed è lì che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant'anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l'altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze».
All’interno del carcere di Nisida, un isolotto del promontorio di Posillipo, due donne si incontrano, ognuna con le proprie sofferenze alle spalle. Elisabetta Maiorano, insegnante di matematica, vedova di un uomo che non riesce a lasciare andare e Almarina una giovane rumena con un passato di sofferenza e violenze alle spalle. Nasce così un amore che donerà speranza e farà tornare a sorridere al futuro entrambe.
Sullo sfondo di Napoli e del carcere minorile si dipanano le vicende di queste due donne in un racconto ricco di flashback che aiuta a capire e definire bene i personaggi.
È un romanzo che parla di riscatto e dell’insegnamento come strumento per il reinserimento in società.
Nel carcere i ragazzi vivono sospesi tra presente e passato, in una realtà rigida che però offre occasioni di riscatto. Il carcere viene descritto come effettivamente dovrebbe essere, un luogo in cui riabilitarsi, ritrovare se stessi e ottenere gli strumenti per tornare nella società. Una volta usciti, si può tornare da dove si è venuti oppure essere liberi, allontanarsi da tutto e ricominciare da capo.
Usciti da Nisida però non c’è certezza ed è per questo che Elisabetta farà l’impossibile per offrire ad Almarina un futuro sereno.
La società però non rende facile il reinserimento, i tempi biblici della giustizia rendono quasi impossibile l’adozione ma non bisogna arrendersi. Occorre continuare a combattere e superare le avversità. È proprio questo che fa Elisabetta Maiorano combattendo fino alla fine per prendersi cura e riuscire ad offrire un’opportunità ad Almarina.
Nel romanzo c’è un continuo susseguirsi di un dentro e un fuori; un dentro non inteso semplicemente come interno del carcere, ma come interiorità dei personaggi. La vita dentro e fuori dal carcere delle due protagoniste e la loro interiorità, le loro sofferenze che emergono dai flashback sul loro passato.
Il libro è scritto con frasi brevi e crude, le parole sono precise, accurate per rendere più efficaci le crude descrizioni del racconto. Nei momenti però di maggiore sentimento l’autrice varia, le frasi si fanno più auliche e ricercate per meglio descrivere le emozioni. Valeria Parrella è schietta, autentica e così è anche la sua scrittura. La realtà non è edulcorata ma presentata così come si presenta ai nostri occhi.
Lo stile è molto colto, introspettivo e ciò permette di coinvolgere il lettore che si sente catturato dal racconto senza riuscire a staccarsi fino all’ultima parola.
Almarina è quindi un romanzo ben scritto e coinvolgente che inspirerà e farà riflettere il lettore. Un romanzo che merita di essere letto.
Vi aspettimao al prossimo appuntamento! Buona lettura!
Debora Fusco
15 maggio 2020