Domenica, 08 Settembre 2024
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L’imbroglietto: spettacolo teatrale della Compagnia Habitas

#intervista

Un anno fa ero al Teatro dell’Orologio a vedere l’Imbroglietto, spettacolo della Compagnia Habitas, e scrivevo ciò:

http://laplatea.it/teatro/recensioni/2336-teatro-dell-orologio-due-sintesi-di-collaborazioni-riuscite). Lo spettacolo è stato ora presentato al Teatro Studio Uno. Lo spazio di Torpignattara, che investe sulle realtà contemporanee emergenti, ha accolto la giovane e promettente compagnia e la replica dello spettacolo, decisamente cresciuto e arricchito. Un esercizio di stile che ci trasporta e mostra direttamente il modo di far teatro degli Habitas. Ne parlo con Niccolò Matcovich e Livia Antonelli, regista e attrice della compagnia.

 

Il nome della compagnia, partiamo da qui. Raccontateci di Habitas.

Habitas nasce a Roma esattamente un anno fa dall’incontro di Livia Antonelli, attrice, e Niccolò Matcovich, autore e regista. Da poche settimane, al duo si aggiunge in maniera stabile Chiara Aquaro, attrice anche lei. Il nome deriva dall’idea di co-abitare gli spazi teatrali, dalla sala prove (nel caso specifico lo Spazio Sociale Ex 51 di Valle Aurelia, le cui porte sono sempre aperte a chi volesse venire a curiosare il processo di lavoro) ai luoghi non prettamente teatrali ma che con poco possono diventare spazi di rappresentazione, fino ad approdare ai veri e propri palcoscenici. La scelta del latino è dovuta al desiderio di aderire al contemporaneo e i linguaggi che ad esso appartengono piantando però le radici nella tradizione. “L’imbroglietto” ne è un caso emblematico. La seconda persona, infine, vuole indicare il “tu” come soggetto protagonista, inteso come chi il teatro lo fa da creativo, chi come maestranza e chi, ultimo e fondamentale, lo fa da spettatore. 

 

Come nasce l’Imbroglietto, da quale intuizione? 

Il testo nasce nel 2013 quando, durante una torrida estate, Niccolò entrò nel foyer del Teatro Mancinelli di Orvieto. Il Teatro era deserto, grande, fresco. E in quella desolazione arrivò l’idea di raccontare, in forma breve, di “due ceffi, non per forza maschi. Vestiti di tutto punto, non per forza logori”, come recita la didascalia iniziale. Dal 2013, è rimasto a riposo dentro un hard disk per tre anni finché, a marzo del 2016, dopo il primo spettacolo che Habitas portava alla luce, bussò agli spigoli dell’hard disk chiedendo con forza di essere messo in scena. L’idea invece di rendere i due ceffi dei clown è nata in sala, in una fase già avanzata del lavoro con gli attori.

 

 Lo spettacolo ha seguito un suo percorso, è cresciuto e si è arricchito di spunti nuovi. Da quali influenze è attraversato questo lavoro?

 Dobbiamo riconoscere che il motore principale dello sviluppo del corto teatrale (forma originaria) in spettacolo integrale è merito del Concorso “Corto 5” a cura di “Sblocco 5” di Bologna, cui abbiamo partecipato lo scorso anno e che, grazie alla vittoria con la formula breve, ci ha permesso di pensarne una versione estesa, che porteremo lì a fine maggio. Ma altra spinta è stata la ricorrente espressione di molti spettatori che di Karl e Stadt, i protagonisti del corto, avrebbero voluto “vedere molto di più”. Anziché andare a mettere le mani su un testo che di per sé era compiuto e che avrebbe rischiato di sbrodolarsi e diluirsi perdendo l’efficacia della brevità, abbiamo preferito fantasticare sulle più spericolate variazioni sul tema, ispirandoci soprattutto agli “Esercizi di stile” di Queneau e al celebre spettacolo “La lettera” di Paolo Nani. Il primo esperimento è stato compiuto lo scorso giugno proprio a “Pillole” al Teatro Studio Uno, dove la clausola era presentare lavori per un massimo di 12 minuti; il corto ne durava 16, e dopo lunghe riflessioni e notti insonni, piuttosto che tagliarne una parte abbiamo deciso di presentarlo integrale ma velocizzato, molto velocizzato! Sfiorando lo sfinimento e l’afonia. La formula ha funzionato e abbiamo deciso di mantenerla anche nella versione definitiva. Altre influenze sono indubbiamente legate alla cinematografia, nello specifico alle intramontabili saghe di Star wars e de Il signore degli anelli e al genio di Stanley Kubrick.

 

 La creazione di un linguaggio specifico e caratteristico, quanto coesistono la predisposizione artistica all’invenzione e il lavoro nell’elaborazione?

 L’aspetto più bello di questa importante “zona” del lavoro è che il linguaggio che utilizziamo (una sorta di italiano reinventato ad hoc, che scherzosamente chiamiamo imbrogliettese) nasce durante il lavoro in sala. Come detto sopra rispetto all’intuizione dei clown, anche il lavoro sulla lingua è stato sviluppato nel tempo. Inizialmente il testo si presentava infatti in italiano corrente. Dopo alcuni giorni dall’inizio delle prove, il regista ha lanciato una provocazione ai due attori: provare a giocare con alcune parole del testo, dilatandole, storpiandole, “mostruosizzandole”. La provocazione è stata accolta in pieno e da lì, convinti che la cosa potesse funzionare, si è deciso di portarla fino in fondo fino a scrivere un vero e proprio dizionario italiano-imbrogliettese, che gli spettatori trovano sotto il proprio sedere al posto del foglio di sala.

 

Dietro l’ironia una riflessione ben precisa, una satira di denuncia sulla crisi del teatro. Di che crisi si tratta secondo voi?

 Di piccole, gigantesche crisi il Teatro italiano ne vive molte e in maniera costante, a partire dal disinteresse da parte della politica e delle istituzioni. Ma la crisi reale resta una e soltanto una: la mancanza (privazione?) di una cultura teatrale. E quindi la mancanza di spettatori. A Roma, non esiste l’abitudine dell’andare a Teatro. E non staremo qui a fare la paternale sul perché e per come, anche perché poi gira che ti rigira diciamo tutti le stesse cose e la pensiamo tutti allo stesso modo. E tutto resta uguale. Fatto sta che, a parte alcune eccezioni di direzioni artistiche illuminate, i teatri off continuano ad essere vuoti e, come recita il nostro prologo, a riempirli sono l’amico dell’attrice, l’amante dell’attore, il parente dell’autore. Oppure i fantasmagorici addetti ai lavori. Forse durante gli anni della scuola dell’obbligo ci portano a vedere gli spettacoli sbagliati? Forse si dovrebbe scegliere con maggior responsabilità a chi affidare i matinée per le scuole? Forse bisognerebbe istituire una materia scolastica obbligatoria inerente il Teatro, o addirittura un indirizzo teatrale al Liceo, come da tempo in Francia? Sicuramente una grande, pacifica rivoluzione sarebbe quella di far sì che il teatro e la scuola parlino la stessa lingua e inizino a frequentarsi di più.

 

Livia, tu hai studiato recitazione anche in Germania. Quali differenze nell’ambito teatrale rintracci?

 La Germania offre sicuramente più opportunità, soprattutto di spiccare o farsi vedere. Da come l’ho vissuta io, è un paese pieno di contraddizioni: tanta libertà agli studenti che vengono chiamati “artisti”, sistema teatrale e di lavoro molto, forse esageratamente volto al bene degli studenti dando loro troppi spazi, coccolandoli come degli impiegati Google della Silicon Valley, ma facendoli lavorare 12 ore al giorno, sabato e domenica incluse, con 10 pause caffè. E’ sicuramente un luogo interessante e abituato a vedere in scena attori stranieri senza per questo considerarli esotici. Un paese dalla lingua da giocare e meravigliosa, a tratti con una cultura troppo concettuale che si rispecchia anche nel teatro (Ostermeier), a tratti geniali, puliti, incisivi e con un’estetica scura e molto peculiare, come le messe in scena di Thalheimer.

 

Nuovi progetti in cantiere?

 Mentre la sera andavano in scena le Variazioni sul tema, di giorno eravamo sempre allo Studio Uno per un progetto di residenza vinto, anche questo, grazie al Bando “Pillole” della scorsa estate. E’ un progetto di drammaturgia scenica con quattro attori, un regista, una dramaturg, un aiuto regia, due scenografi di supporto. Detto così sembra un kolossal e si chiama “Surgèlami”. Debutterà nella (nostra meravigliosa) casa del Teatro indipendente, lo Studio Uno appunto, il 9 febbraio e, con la folle scommessa di Alessandro e Eleonora di una tenitura lunga, resterà in scena fino al 26 dello stesso mese. In contemporanea con le ultime quattro date di Surgèlami, Habitas si sdoppierà e dal 23 al 26 febbraio sarà anche al Teatro Tor Bella Monaca con “Chatters”, primissima produzione della Compagnia, risalente esattamente a un anno fa, che finora ha visto la luce soltanto allo sfortunato Roma Fringe Festival 2016. Il 13-14 marzo saremo invece al Teatro Marconi con “Quel noioso giorno d’estate”, ripresa di uno spettacolo del 2013 all’interno della rassegna “Quinta armata”. Surgèlami sarà poi alla Fucina culturale Machiavelli di Verona ad aprile e L’imbroglietto a Sblocco 5 di Bologna. Ben custoditi dentro un altro hard disk, ci sono un progetto sull’ex Presidente dell’Uruguay Pepe Mujica e un’idea di “teatro-documentario” su una giovane comunità di omosessuali cattolici. Dopodiché, non ci starebbe male una piccola vacanza!

 

 

Erika Cofone

22 gennaio 2017 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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