Il 25 e il 26 Febbraio, al Barnum Seminteatro di Roma, è andato in scena “Colloqui. Risate a tempo determinato”, uno spettacolo scritto da Marco Ceccotti, Fulvio Maura, Angelo Sateriale e Valerio Vestoso e interpretato da Angelo Sateriale e Fulvio Maura, che si racconta a La Platea.
Raccontami del vostro spettacolo?
“COLLOQUI. Risate a tempo determinato” è uno spettacolo fatto di sketch che rimbalzano tra due attori e che, in maniera ironica e divertente, rappresentano tante storie diverse, ciascuna delle quali converge, però, verso una sola traiettoria, ossia raccontare l’impossibilità che l’uomo del nostro tempo ha di sottrarsi alla macchina del giudizio incessante e implacabile.
Il gioco teatrale, quindi, parte da situazioni assurde ed immaginarie sino a sfociare in una realtà più agrodolce, che porta lo spettatore a chiudere gradualmente la risata in un sorriso più cauto e riflessivo. Il contesto di partenza è, quindi, quello di un vero e proprio colloquio di lavoro, mentre a variare sono piuttosto le “professioni” che, di volta in volta, si susseguono al banco di prova, dal kamikaze che invia il proprio curriculum all’ufficio di collocamento dell’Isis, per arrivare allo sposo timoroso che affronta il futuro suocero in un intenso botta e risposta.
Come nasce un vostro testo?
Questo, per me e Angelo Sateriale, non è il primo progetto. Scriviamo ed interpretiamo testi assieme da molti anni, infatti, e complessivamente siamo autori ed interpreti di tre spettacoli, nel corso dei quali ci siamo visti noi per primi soggetti ad un’evoluzione. “Tre Terrieri” è stata la nostra prima commedia allegorica. La formula dello sketch, invece, è arrivata dopo, sperimentandola nel nostro secondo testo, “L’importanza di non essere juventini”, e perfezionandola infine in quest’ultimo spettacolo. Gli spettacoli nascono quindi da esigenze sempre diverse, ma ognuno è figlio del precedente, perché da questo impara qualcosa di nuovo, del quale ogni volta fa tesoro. Quest’ultimo, in particolar modo, è uno spettacolo che ha preso forma e vita da un singolo sketch e, in seguito, è sorta in noi la volontà di corredarlo con un mondo più vasto e complesso, attorno al quale hanno iniziato a gravitare altre storie e altri racconti.
Puoi parlarci del tuo rapporto con l’improvvisazione teatrale e come questa ti aiuta sul palcoscenico?
Sono due sport diversi ma complementari. Dal mio punto di vista, l’improvvisazione offre un considerevole aiuto autoriale, è il training del cantastorie, perché consente, attraverso l’azione pratica, di elaborare mentalmente il testo da agire. Mi aiuta tantissimo ad esercitare la creatività, senza dimenticare anche quanto l’improvvisazione teatrale serva nell’approccio col pubblico.
Perché avete deciso di dare ai vostri spettacoli questa precisa linea stilistica?
Sia a me che ad Angelo piace molto la comicità. Gli sketch che elaboriamo, in questa prospettiva, sono la forma più funzionale per sprigionare il nostro lato autoriale, poiché, pur possedendo una struttura chiaramente comica, hanno un impianto teatrale, e non cabarettistico.
Il vostro spettacolo si intitola “Colloqui”, un titolo interessante visto invece il sempre più netto calo di interesse che si ha adesso per la comunicazione. Come pensi possa oggi il teatro tornare a comunicare e parlare alla gente.
Abbiamo cercato di fondere questa necessità all’inizio del nostro spettacolo. L’idea di teatro che sia io che Angelo condividiamo è quella di un potente ed efficacissimo strumento di comunicazione indiretta, capace cioè di trasmettere precisi contenuti senza risultare didattico e noioso. Per questa ragione abbiamo, dunque, pensato di cominciare lo spettacolo rivolgendoci, in primo luogo, al pubblico, il primo ad essere veramente sottoposto al grande colloquio teatrale. Questo espediente, assieme poi al grande scarico di tensione che la risata punta a provocare, ci ha permesso di rompere in maniera quasi immediata la quarta parete tra la scena e la platea. Anche in questo, del resto, ritorna la denuncia alla comunicazione attuale, quella erogata dai televisori o dai cellulari, che sembra rivolgersi proprio a noi ma che rimane invece irrimediabilmente distaccata e lontana con la sua insormontabile parete di vetro a cristalli liquidi. Il teatro, in tal senso, deve esistere per resistere a tutto questo.
Quali sono le difficoltà nel portare in scena spettacoli autoprodotti?
Sicuramente una prima difficoltà è quella di trovare teatri disposti a credere nel tuo progetto e ad investirci sopra. Quando, infatti, si entra nel vivo di una produzione teatrale, il rischio non è soltanto dalla parte di chi scrive, chi dirige o chi recita. Fortunatamente, negli anni, siamo riusciti ad individuare una rete di teatri off “amanti del pericolo” per così dire, aperti quindi alle nuove proposte e pronti ad incoraggiare artisti emergenti, come, ad esempio, il Teatro Kopò, il Barnum Seminteatro, il Teatro Primo di Reggio Calabria e il Teatro Dante di Firenze.
Se dovessi ritrovarti seduto davanti ad un foglio bianco, quale sarebbe il tema che ti spaventa di più o con il quale ti metteresti davvero in discussione?
Abbiamo elaborato uno sketch che affronta la tematica dell’eutanasia. Il testo non è stato ancora proposto ad un pubblico perché è ancora in fase di lavorazione e, considerando la drammaticità e la serietà dell’argomento, siamo molto cauti e abbiamo intenzione di documentarci ancora tanto prima di proporlo in forma ufficiale. La chiave, chiaramente, resta quella comica e surreale, ma l’ilarità dello sketch è completamente differente, è più sottile e stimolante perché mira ad affrontare un tema ben preciso, senza imporre la propria idea e senza giudicare ma vagliando tutte le voci in merito e spronando, perché no, anche la discussione costruttiva .
I tuoi prossimi appuntamenti a teatro?
Sarò con Angelo Sateriale al Teatro Kopò di Brindisi con “L’importanza di non essere juventini” il 18 e 19 Marzo e successivamente all’Auditorium Cilindro Nero di San Giorgio del Sannio l’8 Aprile con “COLLOQUI. Risate a tempo determinato”.
Giuditta Maselli
3 marzo 2017