Venerdì, 18 Ottobre 2024
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DARIO GIORGELE’: UN COMPRIMARIO DI LUSSO

Intervista al bass baritone veneto che alterna con successo ruoli principali e parti da comprimario, in nome della passione per l’opera ed il canto.

 

Quando viene allestita un’opera lirica,  la principale visibilità viene data ai protagonisti, al regista, al direttore d’orchestra.

Ma perché uno spettacolo riesca è fondamentale il contributo dei comprimari, cantanti spesso di grande valore, chiamati ad interpretare ruoli brevi ma importanti per la narrazione, come Monterone  di ‘Rigoletto’; oppure camei comici, tipo  il  Sacrestano di ‘Tosca’.

Fare il comprimario significa studiare, lavorare sulla voce e sull’interpretazione, seguire tutte le prove, ma anche doversi assicurare un calendario fitto di repliche, per garantirsi le  adeguate risorse economiche.

Molti grandi cantanti del passato hanno iniziato come comprimari.

Forse il caso più clamoroso è Giulietta Simionato, che ha svolto una lunghissima  gavetta prima di accedere ai ruoli protagonistici.

Troppo spesso a questi cantanti così eclettici, pronti  passare  in poche settimane da Rossini a Stravinsky, da Gluck a Puccini, viene prestata pochissima attenzione, nonostante le grandi esperienze; gli incontri che possono vantare; gli spettacoli  cui hanno partecipato; i  capricci delle primedonne, tenori e soprano, che hanno dovuto sopportare; i successi e gli applausi.

Ci piaceva molto l’idea di raccontare questi talenti, che vivono d’arte e di passione, di coerenza e determinazione, che accettano una vita  faticosa pur di continuare ad inseguire i loro sogni.

Per questo abbiamo intervistato un apprezzato bass baritone : Dario Giorgolè, artista dalla lunga carriera, con una voce dal colore interessante, ricca di sfumature, con un centro solido, acuti potenti ed una capacità brillante di stare in scena. Effervescente e generoso, apprezzato dai colleghi e dal pubblico, alterna una carriera soprattutto da comprimario[anche se ci sono state eccellenti prove da protagonista], nelle grandi fondazioni,  ad una  da protagonista nei teatri di provincia e di tradizione.

Cominciamo quindi questa lunga intervista, che ci aiuterà a conoscere meglio questo cantante intelligente e preparato, simpaticissimo ed arguto, studioso e  responsabile,  molto autocritico, preciso, minuzioso,  mai compiaciuto e pronto a mettersi in discussione con l’obiettivo di migliorare sempre.

Iniziamo  dalle origini. Come è nata la passione per l’opera? La sua era una famiglia di appassionati d’opera?

La mia non era una famiglia di appassionati d'opera. O meglio, al nonno materno piaceva il canto, però i miei genitori non si occupavano molto di opera, anche se mio padre era un grande appassionato di musica classica strumentale. Il primo disco che  ho ascoltato, credo fosse un 78 giri, era il concerto per violino ed orchestra di Beethoven.  A mio padre piaceva andare ai concerti Martini e Rossi a Torino. 

In famiglia la vera musicista è mia  sorella, che , bravissima già da bambina,  è diventata insegnante di pianoforte in Conservatorio.

La passione dell'opera  per me è cominciata quasi per caso, nel senso che qua a Verona si usa molto che, durante l'estate, gli studenti vadano a fare le comparse durante la stagione d’opera. E allora anch'io che, finita la mia carriera sportiva e tornato da militare, facevo malamente Economia e Commercio all’Università, decisi di andare a lavorare in Arena per prendere qualche soldino. All’inizio ero una maschera esterna , però, da quella posizione non vedevo nulla. Ed allora, l'anno successivo, era il 1989, sono entrato come comparsa e ho detto:  ‘Però, mica male’. Ho cominciato così a studiare il canto e durante gli anni della comparsa mi sono diplomato al Conservatorio. Ho cominciato a Vicenza, ma poi ho concluso a Bolzano.

 

I suoi familiari l’hanno appoggiata oppure erano spaventati da una scelta professionale così faticosa?

I miei, il mio Babbo e la mia mamma, forse erano preoccupati perché diciamo che a 25 anni non ero ancora né carne né pesce:  facevo ancora judo, ad Economia un po’ arrancavo, quindi forse un po’ spaventati lo erano, ma non mi hanno mai assolutamente obbligato a nessuna scelta ed anzi sono stato appoggiato in tutto e per tutto. Quindi ho fatto i 5 anni di Conservatorio. A  trent'anni sono uscito che, però,  probabilmente cantavo anche peggio di come ero entrato. Ma loro mi hanno sempre appoggiato in tutto. Non ho mai avuto problemi, cari genitori miei.

 

Prima di dedicarsi alla musica lei è stato un brillante sportivo. Ci racconta qualcosa di quella fase della sua vita?

Per  quanto concerne la mia carriera sportiva, il Judo è stato il mio grande amore. Ho cominciato a 9 anni, l'ultima gara l'ho fatta a 27 ai Campionati italiani universitari.

È stato veramente il mio grande amore. Io mi allenavo tanto,  ogni giorno, già in giovane età. I primi tre anni sono stati più di gioco, ma poi è diventato molto importante per me. C’è stato un periodo in cui mi allenavo anche prima di andare a scuola, poi andavo a scuola, tornavo a casa, facevo i compiti e via ad allenarmi  dal  pomeriggio fino a sera tardi e questa era la mia vita. Insomma, mi è sempre piaciuto tanto. Con diverse soddisfazioni, anche se  forse non ho raccolto quanto mi sarebbe piaciuto, perché la mia idea da piccolino era di andare alle Olimpiadi. Non ci sono andato ma ho fatto parecchio. Non sono entrato nel  gruppo sportivo dell'esercito perché il mio Babbo non ha voluto, ma nel judo ho fatto veramente tanto e mi è molto piaciuto. 

 

Quali  sono stati gli esordi con il canto?

Come ho raccontato, facevo la comparsa e cantavo in un coro polifonico, dove andavo soprattutto a fare confusione (Giorgelè accompagna la frase con una risata). Un giorno, il Maestro, ci avvisa che un gruppo di cantanti argentini, che facevano parte del coro dell’Arena, sta allestendo un ‘Don Pasquale’ al pianoforte, diretto da un Maestro bravissimo, Angelo Soliman, contrabbassista di grande esperienza che era il direttore dell’orchestra di palcoscenico dell’Arena. A quel punto decido di andare ad assistere alle prove dello spettacolo. Stavo frequentando il secondo o terzo anno del conservatorio. Solliman  stava provando  lo spettacolo e tutto procedeva, finché si arriva al momento dell’entrata in scena del  Notaro. Il Maestro si guarda intorno e dice: ‘Ma qui ci manca il Notaro!’ A quel punto, con grande imbarazzo mi faccio avanti timidamente e dico: ‘Se volete lo faccio io’. Mi presero e ricordo che quando andammo in scena, in una scuola di Verona, ero così emozionato, che  dentro sentivo un calore pazzesco, ma tutti mi guardavano e dicevano: ‘Dario, stai male ?  sei bianco come una strassa ( frase in veneto che potremmo tradurre come: sei pallido come un cencio). Questo il mio esordio. Poi  è arrivato un Alcindoro nel mantovano, ma l’esordio è stato  come Notaro, ruolo che rifarò l’anno prossimo a Catania

 

Che ricordi ha del suo primo  insegnante? 

Agli inizi  sarei dovuto andato in una piccola scuola di musica di Verona con un mio amico judoca con il quale, dopo le gare, avevamo l’abitudine di cantare insieme, in modo giocoso. Lui era un vero appassionato e dopo un paio di  boccali di birra, era in grado di tirare acuti incredibili, ma alla fine in quella scuola andai solo io e per un anno studiai con una jazzista. Non era una esperta di lirica, ma è stata la mia prima insegnante. Dopo questa esperienza iniziai a studiare privatamente con Cristina Mantese, un’insegnante suggeritami da Cristina Pastorello, un bravo soprano che conosceva  mia sorella

 

Dopo  gli studi come sono proseguiti? Quali Maestri ricorda con più piacere?

Iniziai, come raccontavo, con  la Signora Mantese, che mi suggerì di fare l’esame di ammissione a Vicenza. Nel frattempo, però, lei entrò in ruolo a Verona ed io non potei cambiare e feci il primo anno  al conservatorio ‘Arrigo Pedrollo’. Studiai con Carmen Lavani e Romana Righetti, ma il primo anno fu complesso. Facevo fatica, probabilmente perché non avevo le conoscenze  di base e così decisi, sentite anche alcune amicizie di mia sorella, di rivolgermi al Maestro Vito Maria Brunetti, che insegnava Bolzano, dove mi trasferii l’anno dopo  per completare gli studi al Conservatorio. In realtà non è stata una esperienza felice, perché non c’era, a mio parere, un metodo  che mi fosse chiaro ed alla fine non capivo nulla.  Mi sono diplomato con Brunetti, ma in contemporanea studiavo a Verona con Danilo Cestari, tenore dalla carriera importante, per cercare di capire meglio metodo e tecnica , ma francamente era ancora abbastanza nebuloso un po’ tutto.  Dopo il diploma,  ho seguito stage e partecipato a concorsi. Per esempio ho frequentato l’Accademia della Ricciarelli a Desenzano, ma la vera svolta è avvenuta con i corsi del Maestro Desderi, che per me era un ottimo didatta, in particolare nel  repertorio  di Rossini, Donizetti, Mozart, che lui  aveva tanto frequentato e conosceva benissimo. Il primo corso fu a Duino, vicino a Trieste, poi a Fiesole e poi facemmo tutte le farse rossiniane in quel di Cento, vicino a Ferrara. Quindi se dovessi dire quale considero il mio Maestro per quel che riguarda la formazione, sicuramente il Maestro Claudio Desderi.

Ma ci sono stati anche tanti incontri. Per esempio Bianca Maria Casoni, conosciuta durante gli stage con la Ricciarelli; Paride Venturi, insegnante pieno di allievi, che insegnava a Bologna; ho studiato con Malcolm King, il Masetto del ‘Don Giovanni ‘ di Losey, nel periodo in cui abitava a Vicenza. Adesso studio con un tenore di origine portoghese, che vive a  Bologna, Fernando Cordeiro Opa, con cui ho anche cantato, che  mi ha aiutato ad uscire da un momento di crisi professionale e con il quale mi trovo molto bene.

 

Ha qualche incontro che considera determinante nella decisione di  intraprendere questa complessa carriera?

In realtà direi di no, nel senso che sono partito con grande entusiasmo, correndo di qua e di là per fare tutto quello di cui venivo a sapere. Fra gli altri, finito il Conservatorio partecipai ad un corso di tre mesi organizzato dalla Fondazione Toscanini a Modena. Eravamo ospitati in un convitto Universitario, il San Carlo e di fatto eravamo sempre in teatro, con tantissime materie e tantissimi grandi cantanti: per fare qualche nome Pavarotti, la Freni, Ghiaurov, la Valentini Terrani, la Kabaivanska, che si dimostrò gentilissima e probabilmente fu quella che ci aiutò di più. Eravamo dodici ragazzi che tentavano di capire come funzionava l’ambiente e fu un periodo bellissimo.

Ho cantato anche con Rolando Panerai, in un ‘Gianni Schicchi’ di cui faceva anche la regia, al Carlo Felice di  Genova. Era il primo ad arrivare, l’ultimo ad andare vie e non bastasse cantava anche la parte del protagonista, con una voce notevolissima, all’età di ottantasette anni.

Un fenomeno, che mi è rimasto nel cuore.

In ogni caso, se dovessi indicare una persona per me importante,  riconfermo il nome del Maestro Desderi.

 

Cosa ricorda degli esordi? In cosa ha debuttato?

Come ho detto prima il debutto è stato come Notaro nel ‘Don Pasquale’. Poi mentre facevo la comparsa in Arena vengo a sapere che servono  Benoit ed Alcindoro per una ‘Boheme’ organizzata a Mantova dai ragazzi del coro. Andai e mi ricordo che in quella ‘Boheme’, che si faceva con l’accompagnamento del pianoforte, cantavano anche Alberto Gazale, che è diventato un bravissimo baritono e  la sua compagna di allora, Sarah ‘Mpunga, che adesso è mezzosoprano, ma che al tempo faceva Musetta.

Lo spettacolo andò in scena al Sociale di Mantova.

 

Nel  corso della  già lunga carriera c’è stato qualche episodio divertente, od un incontro che l’ha colpita particolarmente?

Quando si va nei grandi teatri e nelle Fondazioni c’è sempre un clima di grande professionalità. Certo l’atmosfera è piacevole, interessante, ma ricordo pochi momenti di vero divertimento. Diversi momento critici, di tensione, ma non divertenti. Forse le occasioni di maggior divertimento si ingenerano, mantenendo comunque una estrema professionalità, quando ci incontriamo per spettacoli ‘volanti’, al di fuori dei grandi circuiti istituzionali. Ricordo ‘Barbieri’, ‘Elisir’, ‘Boheme’ di grande piacevolezza. In particolare, con uno dei miei più cari colleghi, il tenore Filippo Pina Castiglioni,  abbiamo avuto momenti di grasse risate.

Addirittura una volta, ricordo, eravamo sotto un Palatenda a Malcesine e la recita si è fermata perché ridevamo tutti: rideva il pubblico, ridevamo noi sul palco, perché era partita per sbaglio l’elsa di una spada e Filippo su questo aveva inscenato, da grande attore, delle gag  che erano di una comicità irrefrenabile. Veramente un grande.

 

Lei non è solo un cantante lirico, ma un artista che sa destreggiarsi su più campi. Ci racconta qualcosa delle  sue incursioni artistiche fuori dall’opera?

Da giovane ero uno sportivo. Superata quella fase, mi  sono appassionato al teatro in ogni sua forma. Il teatro mi piace in toto: dalla prosa,  che ogni tanto ho fatto, al cabaret, al circo. Quest’ultimo mi ha sempre attratto, come mi attrae moltissimo la magia, quella di Silvan e dei prestigiatori. Chissà, tornando indietro forse mi piacerebbe fare il Mago. Sono un po’ giocoliere, so fare qualche trucco di prestidigitazione ed ho un mio spettacolo, che si chiama ‘Il grande George’, che  è soprattutto costituito da arie liriche, ma in mezzo ci sono queste mie passioni, che sono la giocoleria e la magia, fatte in maniera più appassionata che professionale.

 

Per essere un artista a 360 gradi ha senza dubbio dovuto prepararsi a lungo. Ci racconta qualcosa della  sua articolate preparazione? 

Per me è stata fondamentatale l’esperienza dello sportivo: uno sportivo si allena ogni giorno. Così devo fare come cantante, anche perché non ho una natura che mi permetta di fare tutto e quindi  per me lo studio è lo strumento per raggiungere  i vari obiettivi. Alcuni son stati ottenuti, su altri devo ancora lavorare. Per me è importante allenarmi, provare, studiare ogni giorno, cercare  sempre il miglior equilibro fisico per trovare la giusta vocalità. Questo lo faccio da anni, da quando ho cominciato a cantare, mi dedico ogni giorno allo studio.  Per me questa pratica giornaliera è irrinunciabile, sperando, peraltro, di aver individuato la giusta modalità, perché alle volte si prendono strade diverse. Proprio per questo è importante avere sempre un insegnante di cui ci fidiamo e che ci controlli la giusta vocalità.

 

Ha  cantato con moltissimi colleghi, alcuni dei quali veri miti del palcoscenico. A quali si sente più legato?

Di primo acchito mi viene da dire Leo Nucci, perché con lui ho cantato tante volte, soprattutto in ‘Rigoletto’ ed è sempre stato un grande personaggio. L’ultima volta che abbiamo lavorato insieme erano due anni fa, ancora una volta per ‘Rigoletto’, a Taormina, dove, ad ottant’anni, faceva la regia, era il più arzillo di  tutti e cantava in modo sempre notevole. Certo ci sono stati tanti incontri, da Domingo a Carreras, ma Leo Nucci rimane persona speciale. 

 

Fra   i grandi del passato c’è qualche  interprete che apprezza in modo particolare e perché?

Qui è necessario un distinguo. Se per opera  intendiamo delle persone che ci raccontano  una storia cantando, il numero uno è sicuramente Dietrich Fischer-Dieskau, perché secondo me è colui che quando dice una parola, in qualsiasi lingua canti, ti fa capire il senso di quello che canta. Non so se sia dote naturale o grandissimo studio, o forse se sia la somma di entrambe le cose, ma lui ti racconta la storia in modo sempre coinvolgente, che si tratti di opera lirica o di lieder, che è il campo in cui eccelleva. Personalmente  penso che questa sia la più giusta delle visioni dell’opera. Quando ascolto cantanti musicalmente bravissimi, ma che esprimono poco, apprezzo l’aspetto musicale, ma credo che comunque l’opera sia altro.

Se per opera lirica intendiamo la mera performance vocale,  allora i cantanti del passato, che magari ho ascoltato solo in disco, sono tantissimi. Penso, per esempio, alla bellissima voce di Cesare Siepi, ma in realtà gli esempi sono moltissimi.

 

La  vita del cantante lirico è sicuramente complessa e molto più faticosa di quanto possa sembrare. 

Che cosa la affascina di questo mestiere e che cosa invece la affatica?

Mi affascina lo studio, la continua ricerca e mi piace moltissimo salire sul palcoscenico. Mi ricorda quando da giovanissimo facevo judo e mi chiamavano per andare sul tatami; in quel momento si mescolavano paura ed entusiasmo, mal di pancia e grinta.  Qualcosa del genere lo rivivo ogni volta che salgo sul palcoscenico: quella paura che ti prende dietro le quinte e che scompare quando entri in scena e cominci a cantare. Mi piace molto anche l’idea di partire a conoscere posti nuovi, visitare cose che ignoro, incontrare persone. Certo ogni tanto sono un po’ stanco. Adesso sono rientrato da un lungo periodo al Maggio Musicale Fiorentino, esperienza interessante, ma faticosa perché prolungata nel tempo. Poi sono andato a Gorizia per il Piccolo Opera Festival e lì mi sono sentito in vacanza. Esperienza molto positiva.

 

Come  si conciliano famiglia, affetti e tournee e prove?

Ho la mamma, ho una sorella, il babbo non c’è più e vivo con la mia compagna, che è anche lei una cantante lirica e che proprio per questo mi capisce. Se uno deve partire per un lavoro, non c’è problema: ci si intende e non ci sono difficoltà. Questa è la vita del cantante, che è un po’ zingaro, ma tutti i miei cari capiscono e non pongono ostacoli.

 

I  cantanti lirici sono noti per scaramanzie e superstizioni. Ha un gesto scaramantico prima di andare in scena o qualche portafortuna?

Qualcosa di particolare no. Cerco di rilassarmi, come facevo prima di un incontro di judo, richiamando alla mente le cose importanti di cui tener conto in scena: il fiato, il fisico, la scioltezza del collo, l’apertura della bocca. Non ho gesti scaramantici, ma se trovo un chiodo piegato in palcoscenico lo  prendo. Non amo i cappelli sul letto, ma questa è una abitudine familiare e naturalmente prima di entrare ci sono i vari ‘In bocca al lupo’, ‘Merda’, ‘Toi, toi toi’

 

Il suo repertorio spazia da Mozart a Puccini, dal Settecento al contemporaneo a Verdi. A quale compositore si sente più  legato e perché?

Ogni cantante ha un suo repertorio di riferimento, dove si trova meglio. Io per qualità fisica e vocale mi trovo molto bene con Mozart, Rossini, Donizetti e tutto il Settecento. Per me è più complesso affrontare Puccini, anche se spesso lo ho cantato in ruoli da caratterista, tipo Benoit, Alcindoro, Sacrestano. Qualche volta affronto Verdi. Per esempio ‘La Traviata’, anche come Germont.

Il compositore cui mi sento più legato, comunque, è Mozart, perché il mio personaggio preferito è Papageno, che credo mi riesca piuttosto bene, tanto che esiste un video che ogni tanto viene trasmesso su Rai 5, con ‘Il Flauto  Magico’ registrato nel 2011 al Carlo Felice  a Genova, nel quale interpreto proprio questo ruolo. Dopo tanta fatica, quella è stata una grande soddisfazione.  Ma in realtà a me piace un po’ tutta la musica classica. Recentemente ho cantato Strauss, ma non dimentichiamo anche la liederistica che mi attrae molto ed alla quale mi piacerebbe dedicarmi in futuro.  Fermo restando : ‘Viva Papageno!’

 

Viceversa  c’è qualche compositore che sente lontano dalla sua voce o che non crede adatto alla sua personalità? 

Ci sono compositori che vengono meglio ed altri meno. Come dicevo prima mi sono più facili Mozart, Rossini, Donizetti rispetto a Verdi e Puccini. Mi piace moltissimo anche Wagner, che ho studiato ed ogni tanto canto l’aria del ‘Tannhäuser’ in concerto. Non credo ci siano compositori lontani da noi. Ci sono ruoli adatti alla nostra voce ed altri meno.

 

A quale ruolo del suo vasto repertorio è più legato e quale personaggio vorrebbe non interpretare più?

Esiste un ruolo rossiniano che , mannaggia, non mi viene mai come vorrei: Figaro, che a differenza di Bartolo che mi riesce  decisamente bene,  ha una serie di SOL che evidentemente mi sono ostici e non vengono come vorrei. Non è che non lo voglia interpretare: ci provo, ci riprovo, ma ci casco sempre, non viene mai come vorrei venisse.

Per il resto non ho ruoli che non voglio portare in scena per partito preso, anche se, essendo io un basse- baritone, nei ruoli più francamente baritonali  mi trovo in difficoltà in alcuni acuti e quindi affronto la parte solo se ho la consapevolezza di poterla portare in scena correttamente. 

 

Accanto  alla carriera propriamente teatrale, lei si distingue anche  nel campo concertistico.  Quali sono gli autori che predilige e perché? 

Quando sento un’aria che mi attira e che posso cantare, ci provo subito. Ultimamente sono andato alla Fenice a sentire ‘Mefistofele’ e mi hanno colpito le arie più famose, come quella del fischio ed ‘ecco il mondo’, e le ho inserite nel prossimo concerto, il 24 agosto, in zona bresciana, anche se non le avevo mai cantate prima. Quando sento qualcosa che mi piace, la studio, verifico se posso farla in  modo accettabile e cerco di proporla.

Come ho detto prima, mi piacciono molto Mozart, Rossini, Donizetti, ma non escludo nulla,  neanche i contemporanei, come Nino Rota del quale canto spesso l’aria de ‘Il Cappello di Paglia di Firenze’.

 

Che  differenze sente fra un concerto   ed una rappresentazione scenica? Essere da solo, senza scene e costumi, per lei è una difficoltà o piuttosto un modo di sentirsi più protagonista?

Non ho mai avuto problemi con un pubblico davanti. Anche quando sono in concerto, cerco di concentrarmi sul ruolo e di esprimere, al di là degli abiti, quello che  il personaggio ha da dire, perché altrimenti si perde d’interesse per il pubblico

 

Lei ha varcato le porte di moltissimi teatri , in Italia e nel mondo. Ci sono dei luoghi cui lei si sente particolarmente legato? 

Devo ammettere che l’Arena, dove ho cominciato come comparsa, mi piace molto, anche se quest’anno, purtroppo, non ci sono.

Ho cantato tanto a Genova ed a Trieste ed a questi due luoghi sono molto legato sia per i teatri che per le città, nelle quali amo ritornare perché sono meravigliose. Certo ho cantato quasi dappertutto: in Cina, in Giappone, in Germania, in Francia. Tutto è bello

 

Ci sono stati, invece, contesti ai quali ha fatto particolarmente fatica ad adattarsi? 

Diciamo che quando c’è tensione, dettata da mille variabili, non è poi così bello, ma per il resto a me piace moltissimo far parte di una produzione ed in effetti, alla fine, non ho mai avuto difficoltà gravi, mi sono sempre saputo adattare.

 

Nella  sua lunga carriera ci sono stati episodi divertenti che vuole condividere con noi?

Divertenti tanti, ma l’episodio cui ho già accennato è stato il massimo. Filippo Pina Castiglioni interpretava la parte del Conte d’Almaviva. Sguaina con fare aristocratico la spada e gli parte la lama, che attraversa tutto il palcoscenico. Ci fermiamo tutti e restiamo attoniti, a parte il pianista, che non vedeva la scena e quindi non  aveva idea di cosa fosse successo. Non bastasse, noi ci mettiamo a ridere perché Filippo Pina Castiglioni, con il mozzicone della spada imita una specie di toro ed io gli faccio da torero. Il pianista a quel punto si ferma, anche perché il pubblico rideva, noi sghignazzavamo ed era impossibile proseguire.  Superato il momento ci siamo ripresi e lo spettacolo è ripartito come nulla fosse accaduto.

 

Viceversa : ha vissuto momenti difficili sul palcoscenico e come  ha fatto a venirne fuori?

Momenti difficili ne ho avuti. Non si  capisce perché, se non sei un superdivo, certi direttori o dei registi ti prendono di punta. Mi è successo, con registi con cui avevo già lavorato e con i quali mi ero trovato benissimo in altre occasioni,  che sono stati tosti. Io da parte mia ho cercato sempre di prepararmi al meglio, di studiare, di provare le scena a parte. Alla fine, per venirne fuori sia vocalmente che scenicamente, la risposta è ogni volta lo studio, che  paga sempre.

 

Lei  è un intenso interprete, sicuramente conscio del carisma che ha in scena. Come si prepara ad un ruolo?

Come ci sono cantanti che aprono la bocca e cantano benissimo da subito, a me invece è venuto abbastanza facile stare in scena ed interpretare un personaggio. Però  accanto alla parte ‘naturale’ ci deve essere un grande studio. La mia preparazione ai ruoli dipende anche dal panorama di esperienze che ho, che non è solo legata all’opera lirica ma anche a molti altri settori,  come il cinema ed il teatro, di cui sono un appassionato già da bambino.

La  mia nonna mi portava a vedere tutti i film di Chaplin, di Stanlio ed Ollio, fino alla commedia all’italiana di Sordi e spesso nel mio modo di proporre i personaggi ci sono riferimenti di questi grandi del passato, oppure a qualche attore che ho visto portare a teatro qualche ruolo simile. In ogni caso, più il ventaglio delle esperienze e delle conoscenze è ampio, meglio va.

 

Lei  ha una figura decisamente atletica e prestante. Quanto  queste doti possono aiutare nella carriera di un cantante d’opera di oggi? 

Ho fatto tanto sport, ancora lo pratico anche se in modo più ‘sciolto’ e sicuramente questo aiuta dal punto di vista scenico, pur con delle difficoltà perché fare tanti anni di gare di Judo ti fa assumere posizioni un po’ scimmiesche che bisogna mitigare.

Per il canto, invece, l’esperienza sportiva all’inizio non mi ha aiutato perché a livello di addominali e di diaframma ero bloccato ed invece il canto deve essere una pompa elastica. Dopo diciotto anni di gare ero in difficoltà: all’inizio non riuscivo neanche a dire una battuta senza prendere fiato, ma con lo studio ne sono venuto a capo. Adesso che c’è una visione nella quale l’immagine ha un grosso peso, per me spesso esagerato, certamente l’aspetto ha la sua importanza, ma non bisogna credere che conti solo quello che si vede.

Ricordo una mia amica tedesca, che venne chiamata per la regia di ‘Madama Butterfly’ e si trovò davanti una cantante nera di oltre cento chili.

La regista ha pensato:’ ed adesso cosa faccio?’ invece la cantante era bravissima, in grado di essere credibile anche come fanciullina giapponese, perché aveva capito perfettamente il personaggio, l’aveva saputo fare suo. Perché quello che conta è come si raccontano le sensazioni, come ci si sa immedesimare. Certo ci sono figure più adatte a certi ruoli, ma ancora una volta dico che quello che conta non è come uno è, ma come fa, come si presenta. Anche se oggi siamo dominati, attraverso social e simili, da una recitazione approssimativa, brutta. Bisognerebbe studiare di più, guardare al passato, cercare di imparare. Invece siamo davanti ad un progressivo degrado culturale che non va bene.

 

La  sua carriera ha vissuto il fermo legato al Covid. Come ha vissuto quella fase, così difficile per gli operatori dello spettacolo? 

Francamente a me non è andata così male, nel senso che ho avuto tanto tempo per studiare, poi mi sono dedicato al mio ‘bieco bricolage’ ed ho costruito un po’ di leggii e cose per la scena. Lo Stato mi ha dato dei sussidi, importanti e questo va ricordato. In estate, poi, ho fatto delle cose all’aperto: ci sono state due serate in Arena, sei/sette concerti con il teatro Grande di Brescia. Poi  dovevo registrare una  ‘Traviata’ per il Regio di Torino ma la data è caduta nel il periodo in cui hanno riaperto al cinquanta per cento e così invece che quell’unica recita, gli spettacoli sono diventati cinque.

Di fatto non è stato un periodo così negativo, grazie ai sostegni statali e mi ha aiutato a riscoprire tante cose belle ed a fare belle passeggiate in montagna.

Certo ho fatto tanti tamponi, perché nessuno di noi doveva essere infetto, ma alla fine è stato tutto superato senza troppi disagi.

 

Lei  ha conosciuto moltissimi registi importanti. Con quali si è sentito in particolare sintonia ed in occasione di quali spettacoli?

Ho conosciuto tanti registi famosi. Certamente per me è stato molto importante Hugo de Ana, che mi ha chiamato anche in Arena per ‘Il Barbiere di Siviglia’. Facevo Fiorello ed Ambrogio. Per me lui è molto, molto bravo e l’ho incontrato nuovamente tante volte. Molto spesso in ‘La Vedova Allegra’, nella quale cantavo a fianco di Max Renè Cosotti; in tante ‘Tosca’, sia come Sciarrone, in Arena’, che come Sacrestano a Trieste.

Un altro molto bravo, per me, è Gilbert Deflo, che ho conosciuto quando aveva già una certa età, belga. Conosceva benissimo lo spartito  ed  era bravissimo nel farti vedere e nel farti capire che ad ogni parola corrispondeva un atteggiamento corporeo. Boris Stefka, assistente di  Abbado è stato bravissimo ne ‘Il Flauto magico’ a Genova. Ho lavorato anche con tanti uomini di cinema e teatro. Per esempio Maurizio Nichetti, che ha messo in scena un bellissimo ‘Barbiere’; Michele Placido che all’inizio non sapeva nemmeno la storia dello spettacolo di Donizetti di cui doveva fare la regia, ma era pronto a cogliere ogni spunto , ad adattarsi, a capire le caratteristiche di chi aveva davanti; recentemente ho fatto con Massimo Popolizio ‘Tosca’ al Maggio Musicale, ed anche lui è stato molto bravo.  

I cineasti  sono liberi dalla tradizione lirica, dalle consuetudini e questo permette loro di affrontare gli spettacoli con una ottica nuova, che però spesso  entra in conflitto con i cantanti che vorrebbero  invece ritornare al terreno sicuro della tradizione.

 

Una curiosità: come si pone di fronte alle regie moderne? Crede che realmente  danneggino lo spettacolo, come sostiene il pubblico più tradizionalista, oppure crede che certe trovate, come Don Giovanni che conclude a Salisburgo l’opera cantando nudo, possano offrire degli spunti interpretativi interessanti? Lei entrerebbe in scena senza abiti?

Per quel che concerne le regie moderne, per me se c’è coerenza, va bene. E’ quando non c’è coerenza con la storia, che non funziona. Secondo me ci sono regie belle o regie brutte, di là di moderno o classico. Certo, una regia classica fatta molto bene ha un costo spesso elevato. Mi piacerebbero regie che costassero poco ed avessero il guizzo della genialità. Il problema è che i registi devono avere due caratteristiche: una fantastica, ovvero le grandi idee ed una logistica, ovvero la capacità di mettere in scena quello che hanno ideato. Generalmente i registi hanno od una o l’altra componente. Alcuni nessuna delle due. Pochi entrambe.

Non condivido l’avversità alle regie moderne: ho visto lavori di Vick o di Carsen che erano di una incredibile intelligenza e che si adattavano perfettamente al libretto.

Per quel che riguarda l’ipotesi di entrare in scena senza abiti, non credo che  sarebbe un grande spettacolo, ma lo farei senza problemi, se ci fosse una ragione, una coerenza, un’idea.

 

Quale è la cosa più imbarazzante che ha dovuto fare in scena?

Non ci sono cose imbarazzanti che ho dovuto fare in scena, ma per me si può fare tutto , nei limiti della decenza.  Ma cos’è la decenza? Quale il limite’. Forse la cosa più imbarazzante che mi è accaduta è stata cantare al fianco di colleghi non troppo bravi, o con regie fatte male. Questo è imbarazzante. Bisogna cercare di fare le cose bene, sempre. Possono non esserci i soldi, ma non devono mancare mai le idee, l’impegno.

 

Qualche  tempo fa alcuni grandi musicisti classici sono scesi in campo contro le star nostrane del rock. Cosa pensa di queste polemiche? Esistono realmente delle fratture fra i generi musicali?

Ovviamente  ci sono tanti generi, ma la musica, se fatta bene, va bene qualsiasi sia il genere. E’ quando è fatta male che è brutta. Ci  sono delle grandissimi star del rock che cantano benissimo ed io non  ho nulla contro di loro, anzi.

Ho l’impressione, però, che la musica, proprio in quanto tale, ultimamente sia sempre meno protagonista. Sembra che contino di più, nei concerti rock,  l'immagine, l'effetto scenico piuttosto che la musica . Questo  è un peccato, perché è  un indebolimento di quest'arte e perché, se si parla di concerti, di performance dei grandi gruppi rock, la musica deve rimanere centrale. 

Io però mi occupo fondamentalmente della musica classica, che mi piace molto e che è così vasta che comunque ho ancora moltissimo da conoscere.

 

Che  musica ascolta nel tempo libero? Sempre e solo classica, od esiste anche una play list decisamente meno accademica?

Generalmente la musica classica mi piace tanto. Mi piace proprio alzarmi alla mattina, mettere su un bel disco di Lieder con Fischer-Dieskau e ascoltarmelo.

In realtà  non solo Lieder,  proprio la classica strumentale, bellissima, mi piace molto.

Ma mi piace anche ascoltare la musica leggera, le canzoni, e ce ne sono certe che mi sono sempre tanto piaciute. Le  prime che mi vengono in mente sono quelle degli  chansonnier francesi. Da Edith Piaf, Charles Trenet,  Ives Montand, Claude Brasser. Ma anche altri, per esempio  i Beatles mi piacciono molto, i Queen anche.  Mi piacciono in tanti, meno i rapper. Non sono neanche un grande amante del Jazz, devo essere sincero, perché penso siano dei bravissimi musicisti, ma dopo un po’ mi stanca. Mi sembra che facciano musica per sé stessi e non rivolti  ad  un pubblico. 

 

A noi pare che lei sia uno di quegli artisti che è in credito con la carriera, nel senso che sicuramente avrebbe  meritato maggiori occasioni  da protagonista ed una differente attenzione da parte di teatri e riviste. Questo  essere spesso chiamato per ruoli di comprimariato è frustrante o permette  di regalare un peso ed una importanza a parti che altrimenti rischierebbero di apparire irrilevanti?

Non so se sono in debito con la carriera,  comunque è andata così. Io ho cominciato un po’ tardi: la vera attività in teatro a 35 anni, ma qui in Italia, non si capisce come mai, vogliono sempre i giovani. Io ,alle Olimpiadi, se ci fosse un  ventenne che corre più lento di un ottantenne, ci mando l'ottantenne: insomma prenderei i migliori. 

Ma nel teatro, come in tutti i luoghi di lavoro, non funziona  sempre così.

C'è una parte del nostro lavoro, per esempio, le public relation, che a me, devo essere sincero, hanno sempre stancato.

Esiste  gente bravissima,  che invece di studiare preferisce andare a cena con le persone giuste. E quindi dopo ne trae vantaggio, ma questo in tutti i lavori. Devo essere sincero, a me pesa, se non c'è una persona che veramente mi interessa, dover uscire a cena, fare il sorrisetto per ottenere qualcosa. Quindi non posso recriminare nulla. È andata così. Avrei dovuto darmi un po’ più da fare anche in questa parte del lavoro, che è una parte molto importante. Ma io godo di più a studiare e magari andare giù in garage e fare il mio bieco bricolage. E allora dopo non posso recriminare, se mi fanno fare il comprimario.

C'è  un mio amico, Stefano Consolini, che dice che il livello delle opere si vede veramente dai comprimari, cioè se il comprimariato è buono, l’opera acquista valore. Non bastano 2  o  3 protagonisti bravi se gli altri cantanti non lo sono.

Quindi il comprimariato, se fatto bene non è frustrante. Può esserlo per certe parti come Sciarrone, non certo se si canta il Sacrestano della ‘Tosca’ o ‘Ping’, parte decisamente rilevante.

È certo che ognuno di noi vorrebbe cantare le parti principali nei grandi teatri. 

Ma questa possibilità è legata a tantissime cose, oltre alla bravura . 

E io , devo essere sincero, non sono mai completamente contento di come risolvo vocalmente le mie parti, quindi  ci vuole anche un senso critico, senza autodistruggersi. Bisogna  essere onesti con sé stessi. Insomma, certe volte ci si sente super e altre volte meno, senza buttarsi giù ma neanche esaltandosi troppo. 

Certo  che è più bello fare un bel ruolo piuttosto che uno brutto. 

Mi sono molto goduto ‘Il giocatore’ di Cherubini [lo spettacolo portato in scena al Piccolo Opera Festival], perché in questo lavoro canto tanto.

Ma è bello alle volte essere anche in  contesti importanti e magari fare un ruolo piccolino, ma cercare di farlo al massimo delle proprie  possibilità.

 

Ha mai la sensazione che  essere uno specialista delle parti di carattere  le abbia precluso delle occasioni di primeggiare, un po’ come accadde a Mariotti, straordinario sacrestano, per esempio, ma  raramente  chiamato per ruoli di primo piano che avrebbe potuto svolgere con grande  bravura?

Beh, il grande Mariotti,  era una voce incredibile, ha fatto dei grandissimi Bartoli e dei grandissimi Dulcamara, quindi ruoli assolutamente principali. Super poi nel nell'ultima parte di carriera, quando faceva Sagrestani strepitosi. 

Non so se specializzarsi nelle parti di carattere precluda delle altre occasioni. Sì, no, boh. Non so. Dipende dalle varie circostanze che vengono a definirsi. Non è detto, non è detto. Certo che per fare i primi ruoli nell'ambito della lirica, bisogna essere quasi infallibili a livello vocale. E poi, forse, non è per tutti. E io sicuramente per certi ruoli posso essere veramente di  alto livello, ma per altri ruoli magari no, perché non sono sempre inappuntabile . Insomma, la storia è andata così. Ma io  penso sempre che a 80 anni debutterò un primo ruolo alla Scala.  Non succederà mai, però la molla ed il fuoco che mi fanno andare avanti, cercando sempre e studiando costantemente.

 

Quanto è difficile vivere facendo il cantante lirico?

Anche  qua non è uguale per tutti. Ci sono i cantanti famosi  che cantano dappertutto. Hanno le grandi agenzie, sono spinti, quindi sono ovviamente sempre sotto pressione perché devono stare attenti, non devono mai sgarrare, devono essere presenti e fare belle figure. Insomma è difficile, perché sono sempre sotto osservazione. 

Poi ci sono vari livelli: alcuni che sopravvivono; altri, come me,  che riescono a vivere; altri ancora che magari sono a casa che aspettano che qualcuno li chiami e corrono il rischio che nessuno li cerchi. Quindi durissima. 

È  una professione un po’ difficile. Se uno è un fuoriclasse riesce a vivere senza problemi. Gli  altri, è un po’ più difficile. Bisogna darsi da fare, e man mano che l’età avanza è sempre un po’ più difficile. Comincio a essere vecchiotto, ma mi sento molto più giovane di molti altri giovani. Sicuramente in scena lo sono.

 

Un cantante lirico deve sottostare a delle regole per tutelare la voce? Si racconta di tenori che tacevano per giorni prima dello spettacolo, di cantanti che andavano ‘in ritiro’ nelle serate precedenti al debutto evitando mogli e fidanzate, di altri che vivono con la sciarpa oppure evitano il sole e l’aria aperta. Sono solo leggende o c’è qualcosa di vero? Lei a quale ‘tortura’ si sottopone?

Direi che non mi sottopongo a nessuna tortura, però bisogna stare attenti. Insomma, anche quando facevo judo ed il giorno dopo avevo le gare, io alle festine dei miei coetanei non partecipavo. Andavo ad allenarmi e poi a letto presto. Il giorno dopo c'era la gara, ma mi piaceva così, perché dava valore a quello che facevo.

Bisogna essere un po’ prudenti. A me non piace l'aria condizionata, quindi magari ci sto attento nei treni , mi porto sempre dietro qualcosa da coprirmi anche negli aerei. 

Ci sono racconti di cantanti che tacevano per giorni: per esempio  Del Monaco stava zitto prima di cantare non so quanti giorni, ma va detto che lui cantava parti molto molto pesanti ed in quel caso stare zitto andava bene per poi essere al top nella performance. 

Qualcuno  magari è più paranoico, altri un po’ meno, alcuni sono tranquilli. Il  cantante lirico è un po’ come uno sportivo: non penso che uno, prima della gara delle Olimpiadi, vada a festeggiare ed ad ubriacarsi. Sta  bene attento, controlla l'alimentazione, il peso, perché tutto è volto a quello. Così anche nell'opera lirica tutto è mirato a cercare di fare una bella performance, che se è riuscita ne può portare delle altre, mentre se è brutta rimane sempre nella mente di chi ti ha ascoltato, purtroppo. Poi certe volte succede anche che uno canta bene e c'è qualcuno a cui non piace e ti segna la vita. Succede, ma purtroppo fa parte del mestiere.

 

Qual è il suo rapporto con le recensioni: le legge o, come faceva la Simionato, le evita ?

Poco. Come   dicevo frequento pochissimo i  social, praticamente zero, se non quello irrinunciabile. Non  ho Facebook, non ho Instagram, mi piace passare il tempo in altra maniera. Le recensioni ogni tanto le leggo, ogni tanto no. Non sono di quelli che vanno a scartabellare, a guardare tutte le recensioni, leggo in maniera molto limitata. Poi ovviamente quelle belle fanno sempre piacere, ma alle volte da quelle non buone si può anche imparare qualcosa, perché se  le critiche  si  ripetono, allora dici : ‘beh, ma forse c'è effettivamente qualcosa’  e quindi uno si rimette in gioco e questo può essere utile. Quindi ogni tanto sì, ogni tanto no, senza farsi troppo male e perchè già ce ne facciamo tanto.

 

Cosa le piacerebbe leggere  di lei ? Invece cosa le dà più fastidio? 

Mi piacerebbe leggere proprio una bella recensione sulla vocalità, perché io sono sempre stato molto lodato per la mia presenza scenica, ma mi piacerebbe anche sentire che la vocalità è buona. Alle  volte me l'hanno detto, alle volte no. Come in realtà è normale che sia. 

Invece cosa mi dà più fastidio? Ma non lo so, alle volte si leggono delle recensioni che sembra mettano tutto allo stesso livello, mentre ci sono spettacoli un po’ più importanti e belli ed altri un po’ meno.

Naturalmente, anche questa è una cosa molto soggettiva, che dipende da come le persone vedono le cose.

Mi dà fastidio anche che  volte si vedano inneggiati dei cantanti che a mio avviso magari non sono tanto bravi, ma sono sostenuti dai critici, dalle agenzie, per questioni di marketing e  di 1000 cose. Questo   non è piacevolissimo.

Mi piacerebbe leggere  la verità, ma anche la verità è sempre molto, molto, molto soggettiva e per questo forse non univoca.

 

Quali sono i prossimi impegni?

 Fra i prossimi impegni, tanto per cambiare, un ‘Barbiere di Siviglia’ a  San Donà del Piave, nel quale farò Bartolo. Poi di Barbieri ne faccio tantissimi, perché canto anche nei palazzi a Venezia. Ho in programma un paio di concerti, un ‘Le nozze di Figaro’, sempre in forma di concerto, nel bresciano, nel quale invece che il solito  Figaro, che ho sempre fatto, mi hanno chiesto di interpretare il Conte. Poi ci sarà ‘Il Campanello’ di Donizetti nei teatri. Poi a novembre ci sarà ‘Werther’ al comunale di Bologna. È un ruolo piccolino che ho già fatto una volta a Trieste: Joan. Devo ammettere devo ancora riguardarlo, ma adesso sto studiando altre cose. Questa è la situazione al momento, poi magari viene fuori dell’altro.

 

Infine, ringraziando per la disponibilità e la cortesia, quali i suoi sogni?

Il sogno è cercare di cantare sempre meglio vocalmente, quindi una continua ricerca del suono per arrivare un giorno a dire: ‘Beh…. Oggi sono soddisfatto di quello che ho fatto!’. Questa per me è la cosa più importante. E poi, naturalmente, mi piacerebbe cantare dei bei ruoli nei teatri importanti, ma  francamente per me è bello anche quando vado a fare un concerto per i miei amici.  Insomma cantare bene è  bello,  Il mio sogno è cantare bene e questa è la molla che mi spinge a studiare, questo è il mio lavoro ed è bellissimo. Se dovesse venire meno la voglia di studiare, quello sarà un campanello d’allarme. Il sogno è continuare la ricerca sulla voce e come in ogni arte non si finisce mai di  imparare. Se poi con una bella voce arriveranno dei bei ruoli, si  aprirà qualche sogno in più

 

 

 

Gianluca Macovez

8 agosto 2024

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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