#intervista
Da stasera fino al 13 aprile, al Teatro della Pergola di Firenze, sarà possibile assistere allo spettacolo Istruzioni per non morire in pace di Paolo Di Paolo per la regia di Claudio Longhi. Si tratta dell'ultimo capitolo di un lunghissimo progetto (Carissimi Padri...Almanacchi della "Grande Pace" 1900-1915) che ha impegnato il regista e il suo gruppo di attori per oltre un anno e mezzo a Modena e provincia in laboratori teatrali, letture a puntate de La Montagna incantata di Thomas Mann, concerti, conferenze, edizione di riviste e bollettini e molto altro. Un lungo percorso di studi e incontri che ruota attorno al tema della Prima Guerra Mondiale, culminato con lo spettacolo in questione nato da un'idea del direttore di ERT (Emilia Romagna Teatro Fondazione – Fondazione Teatro della Toscana), Pietro Valenti, che ne firma la produzione.
Lo spettacolo, complessivamente, ha una durata di 9 ore distribuito in tre giorni in tre atti unici e suddiviso, a sua volta, in tre capitoli: Patrimoni, Rivoluzioni e Teatro, tre sguardi del tutto autonomi sul mondo della belle époque. Per l'occasione abbiamo intervistato Lino Guanciale che, nell'ambito del progetto, non solo è uno degli otto attori presenti in scena, ma ne è anche autore nonché il più stretto collaboratore di Longhi.
Lino ci parli un po' di questo spettacolo...
Si tratta di uno spettacolo monstre, indubbiamente. Otto attori ed una musicista sono chiamati a interpretare oltre cento personaggi per una durata complessiva di circa nove ore di spettacolo, fra numeri musicali, scene di famiglie borghesi sull'orlo di una crisi di nervi all'alba del conflitto mondiale, politici, artisti e scienziati dell'epoca messi di fronte alla propria completa impotenza nei confronti della più gigantesca macchina di morte mai costruita dall'uomo, torri praticabili, cannoni, passerelle e ribalte uso Cafè chantant, in un profluvio fregoliano di maschere e costumi cambiati alla velocità della luce. Detta così mi rendo conto che sembri una chiamata per il Guinness dei primati...
Sembra uno spettacolo abbastanza complesso: anzitutto per l'impegno richiesto all'intera compagnia che vi ha visti lavorare per quasi un anno e mezzo (a conclusione del progetto Carissimi Padri), per la durata della rappresentazione (è diviso in tre tempi: Patrimoni, Rivoluzioni, Teatro), e per il numero di attori (oltre alle scene e ai costumi). Come, ma soprattutto perché, è nata l'idea di mettere in scena questo spettacolo?
"Istruzioni" è nato come capitolo finale di "Carissimi padri", un progetto lungo un anno e mezzo e ricco di varie attività teatrali e culturali in senso più lato: letture, mise en espace, concerti, conferenze, laboratori di scrittura e di recitazione. Questa mole di impegni di natura eterogenea ha visto tutti noi attori della compagnia impegnati su molti fronti oltre a quello strettamente scenico, dalla didattica scolastica alla drammaturgia. L'obiettivo di tale complessa e articolata "proposta formativa" era fornire ai cittadini fiorentini coinvolti degli strumenti culturali utili a conoscere e comprendere meglio un periodo storico – quello del tramonto della Belle Époque e dell'insorgere della Grande guerra – le cui dinamiche sono decisamente, inquietantemente simili a quelle del nostro. Era dunque naturale, vista la natura dei temi trattati da "Carissimi padri", che ne risultasse uno spettacolo finale "esagerato", un'ambiziosa trilogia "trasformistica" capace di non tradirne la vastità e profondità.
Che tipo di lavoro c'è dietro, quali strumenti avete utilizzato per rendere più fruibile e appassionante il testo agli occhi del pubblico?
Abbiamo cercato di rendere il più agile possibile il trattamento del materiale storico da cui siamo partiti utilizzando le tecniche di alleggerimento del Varietà dell'epoca, in bilico fra disimpegnata levità musicale e primi esperimenti di satira teatrale. Le radici del grande Kabarett mitteleuropeo degli anni venti e trenta, da Valentin a Brecht, affondano proprio nel periodo cruciale del tramonto del "mondo di ieri", come lo definisce Stefan Zweig. Infatti, anche laddove nello spettacolo si ricostruiscono alcune delle complicatissime trame che hanno condotto allo scoppio della guerra, o alla configurazione problematicissima dell'intervento italiano, il registro interpretativo tenuto da noi attori e dall'allestimento è sempre "espressionisticamente" grottesco, per riuscire a tenere insieme delle note decisamente tragiche con una lucida ironia che consenta allo spettatore di comprendere le cause di certi eventi, mettendolo in condizione di prendere politicamente una posizione.
Perché Patrimoni, Rivoluzioni, Teatro?
Per riuscire a dare il più ampio respiro teatrale possibile alle tre grandi aree storico-sociologiche in cui abbiamo creduto, assieme a Paolo Di Paolo, di poter organizzare l'enorme quantità di materiale raccolto durante il progetto "Carissimi padri". Patrimoni gioca sulla radice lemmatica "pater", affrontando sia il grande tema degli enormi movimenti di capitale e interessi innescati dall'insorgere della guerra, sia il cruentissimo conflitto generazionale determinato dal conflitto fra i giovani buttati sul fronte più crudele e disumano mai esistito e i vecchi chiusi nella loro stolida incapacità di comprendere i cambiamenti di un mondo al definitivo collasso. Rivoluzioni pone l'accento sul fallimento delle grandi utopie che animarono il passaggio dal diciannovesimo al ventesimo secolo, in primis quella dell'Internazionale socialista, tentando di individuare lacerti ancora "spendibili" di quella enorme eredità culturale. Teatro è invece la parte in cui si ha un po' la summa del discorso sulla satira espressionista cui accennavo sopra: i fili della trama familiare sottesa a tutta la trilogia si dipanano in questo capitolo finale, chiarendo quale sia infine il destino desolante dei giovani protagonisti, mentre si assiste al tremendo spettacolo dell'ignavia, della superficialità o dell'idiozia politica che portò il mondo a oltrepassare la tragica soglia della guerra, in un insieme di quadri divertenti e crudeli alla maniera di Grosz o Otto Dix.
E la scelta di utilizzare le maschere? L'effetto sarebbe stato lo stesso senza?
Le maschere sono state fondamentali: senza di esse non si sarebbe riusciti ad esplicitare così bene il forte coté metateatrale dell'operazione. Si è trattato di un caso di riuscita traduzione in chiave registica di una cogenza scenica reale, ovvero "come riuscire a far fare 120 personaggi a 8 attori"... a volte in palcoscenico succede: sei costretto a fare una cosa e poi questa costrizione invece di un limite diventa una risorsa, un motore semantico.
Lei che è un attore sa distinguere quando una persona finge o sta dicendo la verità?
Sono diventato abbastanza bravo, in questo. Non sono ugualmente bravo a mentire, giacché nella vita è tutto molto diverso dal palcoscenico, ma diciamo che se in un talk politico televisivo o in un comizio osservo bene chi parla, riesco a decifrare quali sono i momenti in cui è più convinto di quello che dice o e semplicemente più sincero... non sono bravo ai livelli del personaggio di Tim Roth in Lie to me, insomma, ma posso dire che la deformazione professionale a volte può aiutare, sì!
Quanto c'è di vero e di finto sul palcoscenico? Che differenza c'è col cinema e la televisione?
A teatro tutto deve essere vero per forza, altrimenti la corda tesa con gli spettatori non si tende. Il cinema e la televisione, invece, sono dei grandi e divertentissimi giochi in cui tutto è finto, e della verità resta solo l'impressione. Integrare i due percorsi mi ha portato a comprendere meglio quanto il palcoscenico abbia bisogno di tutta la sincerità, la generosità, la spudoratezza possibile.
Cos'è il teatro per lei? Cosa rappresenta?
Cerco di dirlo in una parola: conoscenza. Di me stesso, prima di tutto.
I suoi prossimi progetti teatrali?
Proseguono i lavori del nostro gruppo, raccolto attorno a Claudio Longhi e a Ert, sia nella città di Modena che a Bologna e Cesena. Siamo già partiti con un nuovo progetto di questa nostra serie di "Teatro partecipato" il cui titolo è Un bel dì saremo, un bellissimo lavoro su progresso, industrializzazione ed evoluzione urbanistica e culturale della città fra Ottocento e Novecento, con particolare attenzione all'attuale prassi di recupero degli spazi archeologico-industriali. Inoltre, a parte il lavoro con il gruppo, sarò impegnato nella ripresa di un fortunatissimo spettacolo prodotto dal Teatro di Roma e andato in scena quest'anno al Teatro Argentina, Ragazzi di vita, per la regia di Popolizio: un lavoro a cui tengo moltissimo e che ha marcato un segno cruciale nel mio percorso teatrale recente.
Costanza Carla Iannacone
7 aprile 2017