Sabato, 23 Novembre 2024
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Trovare se stessi e gli altri: la fotografia di Bianca Burgo

Bianca Burgo, in compagnia del suo obiettivo, è alla ricerca di quello che definisce lo «straordinario prodigio della banalità». Forte delle sue origini siciliane, che grandemente influenzano la sua fotografia, il 18 giugno 2022 espone il suo progetto Terra all’interno dell’associazione culturale Progetto Hestia: un luogo nel cuore di Roma che ha come principale obiettivo la promozione delle artiste donne in un clima di autentica accoglienza, scambi di esperienze e valorizzazione del talento. Ecco la sua intervista.



Quando hai scoperto la passione per la fotografia e quando hai cominciato a considerarla un
mezzo per esprimerti?

L’ossessione per l’immagine, la necessità di catturare ciò che richiama il mio sguardo è presente da quando ho memoria. Negli anni delle elementari sono stata una bambina parecchio solitaria. A circa sette anni chiesi ai miei per Natale una videocamera, di quelle piccine con i mini dischetti da inserire per registrare. Conservo ancora a casa una dozzina di video diario da mezz’ora l’uno, composti da spezzoni di vita quotidiana di me bambina: fatti per tenermi compagnia e impegnare la mente in qualcosa che stimolasse la mia curiosità. La fotografia è arrivata in maniera del tutto naturale dopo essermi approcciata al mondo dell’immagine tramite quei video fatti per gioco. 

A circa 12 anni la prima macchina fotografica, una compattina digitale. Ennesimo regalo in occasione di non ricordo quale festività. L’immagine mi appassionava, da sempre amica, in tutto quel mio fare silenzioso: vi potevo riporre la mia fantasia. Non mi ha mai tradita, siamo cresciute insieme.
Ho costantemente avuto questa mania di rubare momenti, catturare più ricordi possibili perché tutti mi sembravano così distratti, almeno in casa, e in maniera inconscia credo di aver cercato di
riportare l’attenzione su di me. L’adolescenza poi, si sa, è fatta di anni tremendi di insicurezze, in quella spasmodica ricerca di sé. In quel periodo ho realizzato tanti autoscatti, tramite i quali riuscivo a dare un’immagine di me che al tempo mi rappresentava e mi faceva sentire come volevo. E così via negli anni, prima cercando me, poi cercando il mio spazio nel mondo dell’altro. Ringrazio di essere sempre stata estremamente curiosa.

 

Che tipo di studi hai fatto e attraverso quali esperienze ti sei formata come fotografa?
Ho frequentato il liceo classico, una bella scuola di vita in generale. Mi sono perennemente sentita in difetto in quegli anni, perché ho sempre avuto difficoltà a ricordare cose a livello scolastico. Ho studiato tanto, perché lo considero fondamentale, ma non sono mai stata la prima della classe. Non mi sono sentita molto capita ma ringrazio sia andata così. Non ho mai smesso di credere in me. Dopo il liceo, a diciotto anni mi sono trasferita a Milano per formarmi come graphic design e art direction. Nessuno studio prettamente legato alla fotografia perché ritenevo opportuno lasciarmi più margine di scelta per il futuro, avere un biglietto da visita più ampio: visti i tempi in cui viviamo mi sembrava la cosa giusta da fare.
La voglia di conoscere me stessa e superare i miei limiti mi ha spinta a fotografare. I primi anni del liceo ero ancora abbastanza timida e insicura: un lato di me che detestavo. Così mi sono forzata un po’ per cambiare: uscivo con la macchina fotografica e sentivo di avere una sorta di scudo, mi facevo coraggio e andavo dalle persone che mi incuriosivano di più e chiedevo se potevo fotografarle: sono attratta dalle persone, trovo che l’essere umano sia buffo e che sotto a questo modo buffo di stare al mondo ci siano tanti strati di vissuto. Mi piace legare la sofferenza all’ironia. Vedere la vita come una medaglia a due facce. Due dimensioni tanto diverse ma che coesistono senza lasciarsi mai. E poi adoro immaginare la vita delle persone che fotografo, in un certo modo mi sento attratta dalle loro esistente così lontane da me eppure tanto vicine.


La tua mostra, intitolata Terra, è inevitabilmente legata a quella di origine: Siracusa. Oltre
all’inevitabile influenza su questo progetto, quanta parte ha nel tuo immaginario espressivo la
Sicilia?

Tantissima, credo che essere nata in Sicilia sia una delle mie più grandi ricchezze. La nostra terra è così piena di contraddizioni e di storia: tanto da segnarci e formarci in maniera molto forte, nel bene e nel male. Ovunque vada ho sempre la necessità di ricercare un pezzo delle mie origini che ho dovuto lasciare per seguire la mia passione. Ma la mia terra mi atterrisce anche, con la sua lentezza, i giochi per strada e il grottesco che si mischia al bello in ogni dove. Ed è per questo che la amo. La Sicilia mi ha portata a provare tanta empatia. È una terra così aperta, sia per il modo che abbiamo di parlare, quelle vocali aperte per cui tanto ci sfottono, sia per la maniera di rapportarci alle persone. È una terra che accoglie, che si apre all’altro. Ciò mi ha portato in maniera naturale a provare un’incredibile voglia di conoscere, catturare e raccontare il mondo che mi appartiene e di cui faccio parte.


Le foto in mostra in qualche modo mi riportano in mente il controverso scatto che Rocco Laspata and Charles DeCaro fecero a Savoca, convincendo delle donne a posare insieme a Linda Evangelista dicendo loro che si trattava di una campagna per contrastare la diffusione dell’AIDS mentre in realtà l’obiettivo era realizzare un servizio di moda per la Kenar Enterprises Ltd. Ma anche certe immagini di conterranei come Ferdinando Scianna e Letizia Battaglia. Chi sono i tuoi riferimenti in questo senso?
Io penso sicuramente che Ferdinando Scianna e Letizia Battaglia, visto che li hai citati, siano artisti ma soprattutto persone eccezionali, che hanno fatto della loro vita un diario al servizio degli altri e della memoria. Io spero nel mio piccolo, prendendo ispirazione da chi mi ha preceduta, di riuscire a portare avanti questa sorta di missione collettiva che non riguarda me come fotografa ma più la pluralità. Conservare un immaginario del mio presente che un domani sarà passato, con un occhio alle volte ironico, per cercare di sdrammatizzare anche le cose brutte che ormai siamo abituati a vedere, mettendo in luce gli aspetti positivi di questo secolo.
La cosa strana della quale mi sono resa conto è che mi sono ritrovata in una sorta di comunità di fotografi: la fotografia accomuna persone che non c’entrano niente tra loro, che appartengono a diverse epoche, estrazioni sociali, culture ma anche paesi. Eppure mi capita spesso di sentirmi così vicina ad alcuni di loro, li considero quasi degli amici. Il riuscire a ritrovarsi nell’altro è la cosa che mi affascina di più di questo mondo. Ci sarà sempre qualcuno che nel tuo modo di vedere il mondo si sente capito. Io stessa mi emoziono ritrovando me stessa nelle foto di altri. Mi è capitato, ad esempio, quando ho scoperto dell’esistenza di Vivian Maier. Non avevo idea di chi fosse ed è stato bellissimo ritrovarmi nella storia di una donna che racconta una vita che non mi appartiene, ma che avrebbe potuta essere la mia, per il modo di guardare le cose. Ciò che mi ha impressionata di più è stato vedere una somiglianza reale, tangibile, tra i suoi scatti e i miei. Anche nei video, anzi, soprattutto nei video: il guardare con una sorta di malinconia e ironia il mondo. Spesso la gente crede che la produzione di immagini di ogni fotografo sia solo frutto di un condizionamento dei modelli che uno ha. Per carità, esistono ed è proprio attraverso l’imitazione che, all’inizio, si apprende. È il metodo più semplice e naturale che esista. Però poi più che modelli da imitare diventano esempi in cui ritrovarsi.


Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Continuare a scattare, raccontare la mia nuova realtà romana, mi sto prendendo del tempo per
conoscerla meglio, per capire quale lato di questa meravigliosa città io voglia cercare di raccontare. Continuerò a documentare la Sicilia, credo non smetterò mai di farlo. È un modo per tenerla vicina a me, ovunque io sia. E poi chi lo sa, non amo fare troppi progetti. Ho deciso di lasciarmi stupire dal corso naturale delle cose.

 

Cristian Pandolfino

18 giugno 2022

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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