Incontriamo Carlo Ragone al Globe Theatre, teatro che lo vede protagonista delle opere shakespeariane fin dalla sua apertura, ma dove il 28 settembre sarà in scena con il suo “Intestamé”.
Come e quando nasce Intestamé?
È nato qualche anno fa quando con Loredana Scaramella, regista e coautrice dello spettacolo, avevamo avuto l’opportunità di avere una serata dentro la stagione del Fontanone. Non avevamo ancora scritto nulla, sapevamo che avremmo dovuto fare uno spettacolo ma non eravamo pronti, avevamo solo il soggetto, per usare un termine cinematografico.
Avevamo detto di sì nonostante non ci fosse ancora uno spettacolo a tutti gli effetti, ma diciamo che quell’opportunità è stata il vero motore che ha permesso di trasformare quell’idea, che mi ronzava in testa da qualche anno, in realtà. Al Fontanone abbiamo avuto un discreto successo e così nel corso degli anni successivi abbiamo continuato a riproporlo, sempre autofinanziando lo spettacolo. Non solo io e Loredana Scaramella, tutti gli interpreti, come Stefano Fresi, in qualche modo lo hanno prodotto, purtroppo non abbiamo ancora una produzione vera e propria dietro le spalle. Ogni messa in scena è un debutto, una prima volta. Ciò da una parte fa stare sempre in tensione, dall’altra da una spinta in più.
Cosa significa essere in scena con questo spettacolo al Globe Theatre?
Portarlo in scena in questa splendida cornice shakespeariana è un qualcosa di magico, anche perché io sono qui dal primo anno, quando ci fu il gemellaggio con Parigi con l’allora sindaco Veltroni. Per puro caso mi trovai a fare dei provini, dopo che il laboratorio di Gigi Proietti era finito da tanti anni, e finii per interpretare un bel Tebaldo, proprio qui, nel 2003.
Di cosa tratta lo spettacolo.
Fondamentalmente di un'eredità, è uno spaccato su alcune tipologie di persone che purtroppo non ci sono più. Parla di un signore del 1933 che poteva essere mio padre, ed in effetti lo è, di una Napoli appena liberata da nazi-fascisti, dell’arrivo degli americani, del boom economico che arriverà dopo gli anni ’50, con la scoperta dell’amore e il tentativo di andare in un'altra terra, espatriare. Quest’ultimo è un argomento che ci riguarda molto anche oggi, ma lo vediamo dall’altra parte, dimenticando che, fino a pochi anni fa, i nostri nonni o genitori hanno fatto lo stesso. Siamo molto lesti a dimenticare e spesso prendere certe posizioni è un po’ da smemorati.
In che senso?
Con questo non voglio alzare una polemica ma solo far riflettere e dire che prima di dire qualcosa bisogna pensarci su. Ci troviamo davanti ad una società che pensa solo all’immagine immediata, alla percezione che si ha dell’altro a primo impatto, sono comportamenti questi che possono portarci a commettere errori che potremmo poi pagare per molto tempo. Meglio essere un po’ più lenti, se vogliamo tontarelli, ma riflessivi. In tal senso il teatro aiuta molto in questo, in quanto l’attore ci mette del suo ma se il pubblico non è con te diventa uno spettacolo diverso. Magari lo conquisti dopo o forse non lo conquisti mai, ma la risposta del pubblico fa la differenza.
Nello spettacolo c’è anche una riflessione sul bene materiale e immateriale, in quanto nel suo testamento il protagonista lascia al figlio tutto ciò che non ha mai fatto…
Questa è una cosa molto bella su cui riflettere perché spesso noi diciamo speriamo che lasci qualcosa, “na cosa di soldi” diciamo dalle mie parti. Ma alla fine queste cose finiscono molto presto. Con l’età ci si rende conto, con il maturare dei pensieri e affrontando le difficoltà, di quanto siano preziosi quei consigli che ci sono stati dati e lì per lì messi da parte perché non pensavi che quelle cose si sedimentassero così fortemente dentro di te. L’eredità che riceve il figlio del protagonista di questo spettacolo è fatta di opportunità: quelle sono infinite e se le cogli puoi provare a vivere una vita felice. Secondo me tutto ci è dato gratis, ma noi non ce ne accorgiamo.
Lunedì 28 tornerai a calcare il palco del Globe Theatre, ma per la prima volta con uno spettacolo non shakespeariano. Cosa rappresenta per te e visto il futuro instabile che si prospetta all’orizzonte per questo fantastico spazio teatrale, pensi possa essere questa un’opportunità per ragionare su un futuro più stabile fatto non solo di produzioni shakespeariane?
Quando Shakespeare fece conoscere la sua drammaturgia lo fece con una tipologia di teatro che all’epoca appariva nuova, nel senso che non aveva questa circolarità. Quindi lui è stato introdotto in uno spazio moderno con una drammaturgia moderna. Conservare oggi questo spazio antico per proporre spettacoli moderni potrebbe essere interessante perché penso che anche la collocazione del pubblico, in maniera così circolare possa aiutare non solo a migliorare la comprensione dello spettacolo ma anche la collaborazione reciproca che a volte nei teatri canonici manca. Questo circolo magico, lo chiamerei io, ci infonde delle cose che abbiamo dimenticato.
Aprire quindi a drammaturgie diverse potrebbe essere un bene. Ci fu in passato un tentativo goldoniano, con una compagnia di attori per altro bravissima, ma l’esperimento non riscosse grande successo, immeritatamente a mio avviso. Forse però i tempi non erano ancora maturi, ma adesso che il Globe ha avuto questa consacrazione data dal pubblico, in particolar modo dai giovani, che è la cosa più bella, l’idea di poter fare anche un’altra stagione, magari con due o tre spettacoli nella stessa giornata, non sarebbe cattiva. Anche perché uno spazio così fruitivo, se si può usare questo termine, non è così comune da trovare in questo Paese. Ci tengo a dire che è merito di Gigi Proietti e della sua organizzazione se questo teatro è ancora in piedi.
Enrico Ferdinandi
25 settembre 2015
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