Parla ai nostri microfoni Emilia Miscio, regista, insieme a Marco Petrino, dello spettacolo Porta Chiusa, di Jean –Paul Sartre, andato in scena al Teatro Le Salette, dal 18 al 22 marzo 2015.
Come nasce l’idea di Porta Chiusa?
Nasce dalla volontà di mettere in scena qualcosa sul teatro esistenzialista francese, dove la parola è protagonista. Volevamo un testo che riportasse in scena l’intimità fra pubblico e attore. Per questo motivo abbiamo scelto il teatro Le Salette, intimo già nel suo essere. Poi A Porte Chiuse, di Sartre, che è uno dei testi più rappresentativi del teatro esistenzialista francese, si prestava bene all'idea di regia doppia.
Regia doppia, in che senso?
Lo spettacolo, così come nell’opera di Sartre, è composto da due momenti differenti. A metà spettacolo quindi con un avvisatore luminoso posto sia sulla platea che sul palco si segnala il cambio di regia. C’è un distacco netto fra i due momenti, si cala nel buio per poi tornare alla luce sotto una diversa regia.
In che modo te e Marco Petrino avete affrontato questa doppia regia?
C’è da dire che siamo stati sempre a contatto, fin dall'inizio, dalla lettura del testo alla scelta degli attori, anche le nostre idee sono sempre state condivise. Il filo conduttore che ci ha unito è stato quello di mettere in scena uno spettacolo con una diversa visione ma con dei personaggi sempre uguali. Nel senso che i loro caratteri rimangono sempre gli stessi, anche se all'interno di una regia totalmente differente. Ad esempio, Marco ha creato una sorta di casa del Grande Fratello con un confessionale sullo sfondo e il cameriere che piazza telecamere e riprende le torture psicologiche dei protagonisti, mentre io ho dato più un’impronta anni ’70, con proiezioni video in bianco e nero che rappresentano il legame dei protagonisti con la terra.
Come ha reagito il pubblico a questo esperimento?
Devo dire veramente bene. Molte persone sono tornate anche la sera dopo, questo perché ogni sera cambiava l'ordine di regia, ed erano curiosi di vedere come uno affrontava la regia messa in scena la sera prima dall'altro.
Anche se non tutti possono essere appassionati di testi come questo di Sartre, lo spettacolo è stato apprezzato per due motivi. Il primo, come detto, la curiosità indotta dalla doppia regia, il secondo dalla bravura e il carisma degli attori, ci tengo a ricordare che Marco Petrino è anche attore in questo spettacolo.
Cosa significa per te fare regia? Pensi che questa idea della doppia regia possa avere un futuro con altre rappresentazioni?
Sono undici anni che faccio, provo, a fare questo lavoro, per me è una ragione di vita, dalla prima lettura del testo, alla scelta finale di ogni spettacolo, fino alla cura dei più piccoli dettagli. Per me è un pensiero costante.
L’idea della doppia regia è stata quella che ha reso interessante il lavoro, noi vorremo continuare insieme questo percorso, non so se con la doppia regia. Questo perché Porta Chiusa di Sartre si presta in maniera particolare alla nostra idea, con altri testi sarebbe più difficile.
Sperando di vederti presto di nuovo in scena con questo spettacolo, dacci un buon motivo per venire a vedere Porta Chiusa.
Si tratta di uno spettacolo che trasmette angoscia e allo stesso intimità, nel senso che sul palco si crea un vero e proprio inferno. Il pubblico assiste a quello che si potrebbe vivere se si trovasse improvvisamente al’Inferno, con torture psicologiche che fanno riflettere. C’è un frase di Sartre che fa pensare più delle altre: “l’Inferno sono gli altri”.
Il pubblico vedrà degli attori che sapranno mettere in scena le paure che noi tutti abbiamo quando ci relazioniamo con gli altri. Nello spettacolo difatti ogni personaggio è lo specchio dell’altro. Vale la pena vedere questo spettacolo perché trasmette tante sensazioni e, oltre all'intimità che si crea fra palco e platea, dà l’opportunità di riflettere su come ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri.
Enrico Ferdinandi
24 marzo 2015