Sabato, 23 Novembre 2024
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Intervista a Ettore Bassi: fra sogni, passioni e ricordi

Abbiamo incontrato Ettore Bassi al Teatro Roma, dove è in scena la brillante commedia Banda (Dis)Armata, nella quale recita il ruolo di Iaio. Davanti a noi non si è seduto un semplice attore ma un professionista che affronta con grande passione il suo mestiere e che con cordialità e umiltà ci ha raccontato un po’ di se stesso rivelandoci quelli che sono i suoi sogni, le sue passioni e i suoi ricordi. 

Se una persona vuole provare a capire chi sei facendo una piccola ricerca sul web può notare con facilità che Ettore Bassi è un uomo con dei valori “puliti” e che vuole inseguire quei sogni che spesso al giorno d’oggi vengono un po’ dimenticati. Volevo quindi sapere quali sono i tuoi sogni e quali consigli vorresti dare a quei giovani che spesso “smarriti” perdono questa fondamentale voglia di sognare che ci permette di emozionarci in maniera autentica.

 

 

 

Credo che il sogno più bello da potersi augurare sia quello di riuscire a esprimere pienamente, liberamente e con gioia i propri talenti, perché questo vuol dire dare ascolto pieno a chi sei veramente, a cosa sei dentro e alla missione per cui sei su questa terra. Ognuno di noi ha dei talenti qualunque essi siano, anche cucire a mano o fare il cameriere può essere un talento. Io ho incontrato delle persone che le vedevi fare i camerieri e dicevi “questo è proprio uno che fa questo mestiere con il fuoco” ed  è diverso dagli altri, lo vedi.

I talenti sono la reale matrice di ognuno di noi, il problema è che essendo i talenti infiniti ed essendocene appunto una serie infinita a disposizione degli esseri umani spesso si cade nell’errore di non ascoltare un proprio talento perché in qualche modo non corrisponde alle proprie convenzioni o alle convenzioni della società o non si ascoltano perché ci si vede costretti a rispondere alle aspettative di terzi, dalla famiglia, genitori, padri, parenti alla stessa società. In questo modo si costruisce una “sistemazione” che ti fa pensare di aver creato un aggiustamento per te ma che in realtà non ti fa vivere felice.

Questo purtroppo succede in tante persone e non è una cosa banale. Penso che ci stiamo avviando proprio verso un epoca dell’umanità dove è tempo di ascoltare queste cose e di non perdere le ricchezze che abbiamo dentro nascondendole dietro a una serie di costrizioni e di costruzioni che sono state create dall’essere umano stesso e che gli impediscono di ascoltare se stesso e di essere felice. 
Quindi il mio sogno è quello di riuscire ad ascoltare in pieno i miei talenti ed è quello che io auguro ai giovani. L’augurio che io faccio a tutti i ragazzi è quello di riuscire ad avere ancora quella forza fresca, anche un po’ spavalda e incosciente che ti spinge a inseguire quello che senti dentro sfacciatamente. Questa è la cosa più importante che si deve fare perché io mi rendo conto che quando l’ho fatto da ragazzo, a vent’anni, ho ottenuto quello che sognavo di ottenere. 
Qualche volta questo meccanismo si “inceppa” per vari motivi, faccio un esempio, arriva il successo e il mondo intorno a te cambia e quindi cambiando cambia la relazione che tu hai con il mondo e con gli altri e per questo motivo cominci a dare un nuova riflessione alla vita che può anche portarti su una strada sbagliata e quindi disorientarti. I ragazzi non devono farsi coinvolgere, farsi fregare da questo gioco al ribasso che vi è nel mondo di oggi.

Rimanendo in tema, noi ti stiamo intervistando qui, al Teatro Roma, perché sei protagonista dello spettacolo “Banda (Dis)Armata”, volevo sapere se vedi il palco teatrale come uno strumento per veicolare questi messaggi e qual è la differenza che percepisci fra il mondo dello spettacolo del piccolo schermo e quello del teatro

Non ho la pretesa e penso che non sia il mio compito quello di dare dei messaggi o degli insegnamenti, di usare il palco o la televisione per questo scopo, però è certo che il lavoro che faccio mi mette in esposizione e per questo sento il dovere nei confronti del pubblico di essere onesto, perché il pubblico la tua onesta la percepisce. Essere onesto vuol dire fare le cose che fai amandole, rispettandole, credendoci, perché solo in quella maniera lì le puoi consegnare al pubblico in un modo pulito e sincero altrimenti questo meccanismo non funziona e il pubblico in qualche modo lo percepisce. 
Le differenze fra teatro e piccolo schermo poi sono tante, interessanti. Il fatto di esser davanti a un pubblico è diverso dal stare davanti ad una macchina da presa ma tutte e due sono situazioni ugualmente interessanti divertenti difficili e stimolanti quindi io le amo entrambe.

Qual è stato il personaggio che hai sentito più tuo o che comunque hai interpretato con più passione?

Diciamo che l’approccio iniziale è sempre uguale, poi però ogni volta succede qualcosa di diverso quando incontri un personaggio e cominci a viverlo. Succede per varie ragioni, ma anche perché ogni personaggio è come un essere umano e quindi possiede tutte quelle sfumature che possono essere più rispondenti a te o anche più attraenti.

Devo dire che  io ho due situazioni dove ho sentito proprio una forte simpatia, il primo è il personaggio che ho interpretato nella fiction “Giuseppe Moscati”, quella con Beppe Fiorello, dove vestivo i panni di Giorgio Piromallo. Un personaggio molto bello e secondo me molto interessante perché era un personaggio modulato, che aveva tutto un suo percorso ed era in grado di andare da un lato all’altro delle due facce dell’essere umano. Piromallo lo faceva in un modo motivato e in qualche modo volendolo io capire e quindi non condannandolo a priori mi è molto piaciuto.

L’altro personaggio a cui sono molto affezionato è Corrado Milani, il pediatra di “Nati ieri”, questa è una serie che è stata sfortunata perché nata sotto una cattiva stella per questioni politiche interne, per battaglie e guerrigliette tra produttore, rete etc. noi non c’entravamo niente ma ci siamo trovati in mezzo a questa cosa e quindi la serie è stata in qualche modo messa da parte. 
È una ferita aperta per me perché in quel personaggio ho veramente creduto ci ho veramente messo l’anima, l’ho veramente amato, l’ho interpretato con amore, mi ricordo che mi guardavo e mi riguardavo le scene, le leggevo, le riscrivevo. Ho portato anche al personaggio delle cose mie come i giochi di prestigio da fare ai bambini e una serie di cose che mi hanno indotto a volergli proprio bene.

Infatti era un personaggio amatissimo della serie, forse quello più amato, oso, però è finito lì, è durato una sola edizione e adesso devo dirti che sono molto legato ad un personaggio che ancora non avete conosciuto e che è quello del nuovo commissario Rex. Qui sono entrato in una fase nuova, che si manifesta per l’appunto con questo personaggio, perché è una fase più matura anche più di peso specifico frutto di un lavoro preciso fatto con il regista per creare un personaggio che avesse un suo spessore, che avesse una sua back story da portare dentro la serie anche se poi questa back story non viene raccontata ma abbiamo fatto in modo che facesse parte di lui e devo dire che il risultato è molto, molto soddisfacente. Adesso speriamo che la Rai si decida mandarlo in onda.

Difatti ho visto alcuni video che hai postato su You tube nei quali si vede che vengono anche affrontati temi molto forti come l’indagine all’interno di un gruppo neofascista

Si, in effetti è una serie interessante, ovviamente nell’ambito del tipo di serie che Rex è sempre stata, quindi senza mai andare oltre una certa aspettativa del pubblico che vede Rex come una serie comunque leggera e godibile. Però abbiamo cercato di mettere all’interno anche dei temi un po’ più di spessore, delle storie più forti, renderlo un poliziesco più moderno, più attuale, più dinamico.

Parlando ancora della fiction “Giuseppe Moscati”, da un piccolo sondaggio che avevamo fatto tra i nostri redattori il personaggio che a loro è più piaciuto è proprio quello di Giorgio Piromallo, quindi si vede che è una cosa che sei riuscito a far trasparire bene, complimenti.

Vedi in questo lavoro succede anche questo, che ci sono dei personaggi che nascono bene così come ci sono dei personaggi che nascono senza andare da nessuna parte. 
Quello di Piromallo è nato bene perché la storia lo permetteva, c’era lo spazio per raccontare l’evoluzione della persona, per raccontare ciò che ne derivava e quindi per raccontare dei passaggi che in qualche maniera giustificassero determinati comportamenti. Il pubblico si affeziona ai personaggi che hanno un’evoluzione umana interiore nella storia perché in questa evoluzione, in questo percorso, in questo cammino, in qualche modo il pubblico si rivede o si appassiona perché magari gli richiama qualcosa o perché c’è qualcosa del personaggio che lo tiene agganciato. Piromallo è stato un personaggio di questo tipo, nato sotto una stella positiva perché aveva lo spazio per affrontare un evoluzione o un involuzione e per raccontare un punto di partenza e un punto d’arrivo diverso.

La storia poi era ben confezionata ed io, soprattutto, ho avuto lo spazio per potermi gestire. In questo riconosco il merito e ringrazio Giacomo Campiotti, il regista, che mi ha dato molta fiducia. Mi ricordo i primi giorni quando ci siamo incontrati per parlare del personaggio, lui mi diceva come gli sarebbe piaciuto vederlo e allora io, lavorandoci su, poi gli portavo delle cose e lui mi diceva che andavano bene, che era bello, dava suggerimenti su come arricchirlo, lo vedevo pronto ad ascoltarmi mi dava fiducia e ad un certo punto mi ha proprio lasciato fare. E poi il pubblico queste cose le sente.

Volevo chiederti della tua passione per la prestigiazione. Nel corso degli anni è cambiato il rapporto che hai con la magia? Adesso ai tuoi figli come la spieghi?

Si, diciamo che quello è stato un gioco che mi ha accompagnato ed appassionato fino intorno ai ventidue, ventitré anni e che mi ha molto divertito perché mi ha messo nella condizione di sperimentarmi e di elaborare una chiave per potermi rapportare con il pubblico in maniera personalizzata, di mettermi alla prova. Quella della prestigiazione è un arte abbastanza intrigante perché se fatta in un certo modo ha delle chiavi interessanti e quindi ciò mi ha catturato per un po’. Poi però ho sentito che non era la mia strada, o meglio non quella con cui avrei voluto essere riconosciuto o almeno non era la mia ambizione, la ritenevo una strada limitante e quindi chiusa in una percezione un po’ ristretta da parte del pubblico e anche io mi percepivo un po’ limitato così ad un certo punto, naturalmente, sono andato alla ricerca di un ampliamento che mi ha portato subito, a diciannove anni, ad avvicinarmi ad un corso di recitazione a Torino, dove vivevo all’epoca, e quindi a misurarmi su questa cosa. Devo dire che il mio approccio alla recitazione è stato anche abbastanza timido perché, non so per quale motivo, in qualche modo l’ho percepita sempre come una cosa un po’ più grande di me e forse per un bel po’ di tempo l’ho pensata così. Questo probabilmente mi ha limitato in alcune cose perché le grandi occasioni non sono arrivate forse per questo motivo.
Anche adesso mi diverte usare la magia, piccole cose, nei lavori che faccio. Ad esempio in “Nati ieri” l’ho usata perché mi sembrava giusto per i bambini, era divertente. 
La magia ora la penso come un arricchimento in più, una cosa simpatica, un valore aggiunto da poter sfruttare qualche volta. Su Rex per esempio l’ho usata due o tre volte con il cane per creare un rapporto più forte. Abbiamo lavorato molto su questo ed ho pensato che poteva essere carino ogni tanto utilizzarla, l’ho fatto in un paio di puntate, ci sono ad esempio i momenti della “scommessa” in cui lui deve indovinare dove si trova una cosa oppure in un’altra situazione ho usato un gioco con le carte per descrivergli  un percorso d’indagine che dovevamo seguire. 
Diciamo che ho sfruttato questa mia conoscenza anche con le mie figlie nelle loro feste di compleanno dai primi anni ed anche adesso che sono più grandi, ma diciamo che ora ho un pochino esaurito il repertorio e  quindi non sono andato poi a rinverdirlo più di tanto anche perché non vorrei essere il padre che le  inchioda per fare i giochi di magia.

Passiamo da una vecchia passione ad un nuova, quella per l’automobilismo e per le corse. Ho visto che dal 2004 hai cominciato questa nuova avventura, volevo sapere per te cosa rappresenta e poi se vuoi raccontarci anche di come hai affrontato l’incidente che hai avuto nel 2011.

Diciamo che le corse in qualche modo rappresentano ancora una sfida a cui voglio dare una risposta,   perché mio padre è stato un pilota, non professionista, però è stato uno che più o meno all’età che io ho adesso, ma anche prima, ha corso nelle stesse specialità che faccio io, in qualche maniera essendo io il figlio maggiore mi ha trasmesso sempre questa sua passione, quest’afflato di partecipazione sul tema dell’automobilismo, della guida però senza mai avvicinarci a quel mondo. Quindi mi è rimasto un pochino il pallino di dover rispondere alla domanda: sono in grado? Sono capace?
È un po’ una sfida questa che rientra nel mondo della relazione con mio padre, probabilmente però in qualche maniera riguarda anche un senso di sfida personale e quindi un senso di misura della mia capacità di rispondere a una sfida del genere e di mettermi alla prova e tra l’altro ho avuto delle risposte anche soddisfacenti.

Poi è chiaro che quello è un ambito che presenta delle “contro indicazioni” e quindi può capitare. In realtà mi è capitato due volte, nello stesso anno, l’anno scorso, è stato un anno un po’ sfortunato. Cosa devo dire, succede, ci pensi, poi pensi anche “avrei potuto farmi male” ma non è successo, allora provi a fare dei discorsi fatalisti, poi li fai e li rifai ma è difficile capire esattamente se ci sono dei messaggi in qualche modo, e quali sono, dietro a queste cose anche perché comunque succedono perché sei tu che le fai succedere. E quindi io mi sono reso conto che in entrambe le occasioni ho evidentemente esagerato. La cosa che mi resta da fare è cercare di capire onestamente perché ho esagerato, perché mi sono spinto ad esagerare.

E la ricerca di adrenalina che c’è nelle corse automobilistiche è differente da quella che si ritrova sul palco?

Si è differente, ha una qualità diversa, perché nell’automobilismo c’è anche una sorta di scommessa proprio legata quasi all’obbligo della buona riuscita mentre nello spettacolo la scommessa la gestisci nel tempo e quindi hai tutto il tempo per prepararla, per entrarci dentro, ragionarci, hai più spazio per trovare dentro di te le strade, mentre nelle corse devi esser più conciso, concentrato, pronto e rispondere in maniera più immediata.

Un ultima domanda, per non smettere di sognare quali sono gli obiettivi che Ettore Bassi si da per il futuro?

Ritrovare un po’ di quella sana carica, un po’ incosciente, di fare le cose che con il tempo si perde. Sai comunque la maturità cambia, non sono più un ragazzino di 25 che si butta e cerca di fare e poi quello che viene viene. Ho quarantadue anni, ho una famiglia, dei figli, ho una carriera avviata e quindi è inevitabile che fai i conti con dei ragionamenti pseudo strategici, pseudo tattici. Alle volte questo un po’ ti risucchia in una rete di giudizio, di attesa, di aspettativa, di risposta. È roba pesante, che ti appesantisce: ecco io ho voglia, bisogno, desiderio, di ritrovare un po’ di leggerezza che mi aiuti a darmi in maniera più gioiosa verso le cose che amo.

 

 

Enrico Ferdinandi

23 aprile 2012

(Fonte: www.2duerighe.com)

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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