Intervista a Renato Chiocca, regista di Processo per stupro in scena all’Eliseo Off dal 2 al 26 marzo e Clara Galante
Processo per stupro è uno spettacolo anomalo perché si ha l’impressione di non assistere ad uno spettacolo ma ad un processo. Nelle note di regia si legge che l’intento è quello di diventare testimone di un linguaggio adoperato quarant’anni fa in un processo penale e di reinventarlo attraverso la parola recitata. Ho come l’impressione però che non sia solo questo…sbaglio, o c’è dell’altro?
C: Sicuramente oltre al linguaggio l’intento è continuare a provocare rispetto all’argomento, perché tanti passi avanti sono stati fatti anche se non abbastanza. Innanzitutto si parla di femminismo perché questo processo, quarant’anni fa, fu aperto per la prima volta alle telecamere e fu clamoroso perché parteciparono associazioni di donne che volevano essere considerate parte civile. Allora io farei un distinguo tra la femminista e il maschilista: la femminista è colei che si batte per avere eguali diritti, il maschilista è colui che invece vuole prevaricare. Ecco su questi due principi si batte l’esercizio del potere, non solo dal punto di vista umano della donna, ma anche dei diritti. Quindi è una provocazione a tutto tondo.
R: Ѐ qualcos’altro nella misura in cui chi accetta l’evocazione del teatro come una realtà. La presenza del teatro sta nella sua attualità, e succede/accade davanti allo spettatore. Miracolosamente la testimonianza può spogliarsi, diventa ancor più viva grazie al teatro. Il documentario è stato importantissimo ed è una testimonianza di un tempo irripetibile, così come tutti i documenti restituiscono la verità di quel tempo (in questo caso il documentario fu in bianco e nero). Il teatro dà la possibilità di annullare questa distanza, ridare attraverso gli attori, i loro occhi, la loro voce, la loro umanità, la loro sensibilità, una nuova vita a quelle parole. E, quindi, toglierle dalla distanza storica e portarle a una attualità che non è solo politica, ma è fondamentalmente umana, ed ecco quel qualcosa in più. Cercare di condurre lo spettatore all’interno di una realtà concreta che possa mettere in discussione, in maniera straniante, la percezione che ha della realtà fuori.
C: Ci sono temi che sembrano passati, superati e invece non lo sono per niente. In questo c’è la modernità di questo “spettacolo” che punta all’essenziale, senza tanti effetti speciali.
Che cosa si prova a mettere in scena questo tipo di “spettacolo”?
R: Ci si augura di raccogliere un turbamento che possa cercare, dopo il disorientamento, di rendere lo sguardo sulla realtà ancora più lucido. Allo stesso tempo con l’essenzialità di questo spettacolo, perché comunque di spettacolo si tratta perché è una costruzione, abbiamo cercato di lavorare con gli attori, con la sua messa in scena. Non c’è musica, ci si può immergere grazie alla spettacolarità e immaginativa dello spettatore, cercare di creare una realtà puntando su elementi minimi oltre che puntare a dare un’importanza scenica agli elementi: il tono della voce, la fisicità, il corpo, i movimenti, il rapporto coi personaggi in scena e, in particolare qui con l’Eliseo Off, con lo spettatore che non ha una posizione “spettatoriale”, ma una posizione partecipe, immersiva. Si tenta di lavorare sull’immaginazione dello spettatore per fargli guardare la realtà in maniera diversa: più critica, più lucida, più consapevole.
C: Prendere per mano lo spettatore e portarlo dentro in ciò che è necessario e per niente datato.
La legge è uguale per tutti, si legge nelle aule di giustizia. È veramente così o è una presa in giro? Che cos’è la giustizia? Cosa si può definire giusto o sbagliato?
C: Mi astengo perché è una domanda talmente importante che ci vorrebbe tanto tempo per rispondere. L’andamento dei tempi ci fa capire che non è affatto uguale per tutti ed è indubbio che ci sia, cioè che venga attuata realmente.
R: La legge è uguale per tutti ma non la sua interpretazione. La giurisprudenza ha il margine di arbitrarietà nella sua declinazione per fattispecie, soggettiva. Quindi, se è vero che la legge è uguale per tutti, l’interpretazione della legge non è uguale per tutti. Io, assieme alla compagnia degli attori, crediamo che ricreare un’interpretazione della legge come un processo, all’interno di un teatro, possa consentire di restituire questa uguaglianza non nella sua interpretazione giuridica ma nell’interpretazione del pubblico, ovverosia restituire quell’uguaglianza alla posizione del pubblico. La legge è uguale per tutti quindi ritorna come domanda allo spettatore, e riteniamo che è una delle possibilità che il teatro possa offrire.
Come si fa ad essere testimoni passivi di ciò che accade e che sta continuando ad accadere alla donna?
C: Penso che nel mio piccolo, col mio lavoro, di dedicarmi il più possibile all’argomento sulla violenza contro le donne; sono anni che porto avanti questo discorso con una serie di spettacoli, convegni, incontri. Nelle Marche, ad esempio, sto portando in scena uno spettacolo su Francesca Baleani, una donna del maceratese che nel 2008 fu pestata e gettata in un cassonetto dal marito poi fortunatamente ritrovata viva, per far conoscere, per sensibilizzare la gente sull’argomento. È un modo per rendermi utile ecco, altrimenti il mio lavoro non avrebbe senso. Certo ci sono ancora tante cose da fare, ci vorrebbe il supporto delle istituzioni, nuove interpretazioni di legge… si lavora affinché qualcosa possa cambiare.
Nel 2018 è la donna ad avere paura dell’uomo o è l’uomo ad avere paura della donna?
R: Nel 2018 credo ci sia paura della società. La parcellizzazione della comunicazione, la tecnologia può, anzi, crea allontanamento dalla società. Ha portato a questo quadro che rischia di essere estremamente individuale, quindi c’è una percezione dei media di allontanamento. Credo che proprio il teatro, l’arte, il cinema, la letteratura, la musica, il fumetto ci consentono di poter far sì che si possa superare la paura guardando negli occhi le persone.
C: In questo senso tra uomo e donna si parla proprio di relazione. La comunicazione è molto importante oltre che difficile oggigiorno, se manca la comunicazione decadono i principi di relazione, convivenza, comunità.
La disparità tra uomo e donna sarà sempre un’utopia o dobbiamo continuare a credere che domani ci sveglieremo in un mondo migliore?
C: Credo di aver in parte già risposto prima a questa domanda. Ѐ tosta eh… (fa una smorfia, n.d.r.). Ѐ tosta.
R: Nel formulare questa domanda c’è una declinazione al futuro del verbo, c’è anche la parola utopia. Credo che la necessità, e anche l’opportunità, che il teatro ci offre è quella della verità presente, e quindi il nostro lavoro va innestato sul presente. Penso che questo spettacolo è fatto di uomini e donne, gli spettatori sono uomini e donne. Penso che io e te Carla siamo un uomo e una donna che stanno parlando, quindi io penso che uomo e donna siano due esseri umani e che non ci siano disparità nella mia formazione e nella mia contemporaneità, e naturalmente voglio continuare a raccontarlo questo contributo mettendomi nella dialettica del contrasto. Ma, evidentemente, è proprio in questa dialettica che è importante raccontarlo.
Costanza Carla Iannacone
12 marzo 2018