Sabato, 19 Aprile 2025
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Teatro Nuovo ‘Giovanni da Udine’: BEJART E’ VIVO!

Recensione della serata del Bejart Ballet Lausanne al Teatro Nuovo ‘Giovanni da Udine’

 

Ritorna sui palcoscenici italiani la compagnia Bejart Ballet Lausanne.

Maurice Bejart è stato uno dei capisaldi della danza del ventesimo secolo.

Nato a Marsiglia, il 1° gennaio 1927, il ballerino e coreografo francese iniziò la carriera prestissimo: a diciannove anni, dopo qualche anno di gavetta in parti minime,  danzava a Vichy .

Era il primo dopoguerra e  da lì  fu un rapido turbinio di incontri : Roland Petit, prima amico e poi acerrimo avversario; Janine Charrat, che aveva danzato con Lifar ed era stimata molto da Stravinsky con cui Bejart ebbe successivamente  una fitta frequentazione; la rivoluzionaria  Birgit  Cullberg, che gli aprì le porte  all’espressionismo  coreografico; solo per citare i primi che vengono in mente.

Volò di successo in successo, tanto che a meno di trent’anni aveva già una sua compagnia,  profondamente innovativa.

Nel 1959 firmò una fondamentale pagina di storia della danza contemporanea: la coreografia per ‘Le Sacre du Printemps ‘.

Nel 1960 nasce a Bruxelles: ‘Le Ballet du XXe Siècle’, con il quale cesellò capolavori  come ‘Boléro’ (1961), ‘Messe pour le Temps présent’ (1967), ‘L’Oiseau de Feu’ (1970).

Nel 1987 una nuova compagnia:  ‘ Béjart Ballet Lausanne’ , che continuerà a proporre le coreografie  del Maestro anche dopo la sua morte, avvenuta nel 2007, prima sotto la direzione artistica di Gil Roman e poi, dal 2024, di Julien Favreau,  entrambi danzatori  del gruppo.

Una prima annotazione di merito va al teatro friulano che è riuscito a portare sul suo palcoscenico una compagnia  di livello mondiale, per un evento unico, non inserito in una tournée di giro, ma costruito appositamente per il ‘Giovanni da Udine’. 

Scelta importante, coraggiosa, resa ancora più rilevante dal fatto che per decenni il pubblico del Friuli Venezia Giulia, grazie alle scelte culturali  che allora caratterizzavano il Teatro Verdi di Trieste, che dava spazio alle compagnie più prestigiose e contava su un proprio corpo di ballo, con interpreti di rilievo come Rigano e Principini, aveva potuto assistere a diversi spettacoli firmati dal coreografo francese, sia con la sua compagnia , che presentò nel capoluogo giuliano,  in prima mondiale, nel  1998, ‘Mutations’, dedicato a Gianni Versace;   che con compagnie differenti, come il ‘Tokjo Ballett’ (1999)  od il Balletto  de la comunidad de Madrid Victor Ullate (2002).

Da decenni, però, le occasioni di assistere ad allestimenti di questo tipo si sono fatte sempre più rare e l’opportunità offerta dalla programmazione voluta dal soprano Fiorenza Cedolins nella cittadina friulana è decisamente ghiotta, premiata da un sold out significativo, con appassionati giunti anche dall’estero.

Certo il rischio  principale della serata era che la componente celebrativa assumesse toni quasi archeologici. La volontà di ricordare il lavoro del coreografo poteva diventare rigorismo, assumere un tono quasi asettico, nel quale la componente atletica ed i movimenti  sfioravano il dogmatismo.

Un rischio evitato  con grande intelligenza dalla direzione artistica della compagnia. Nel corso della interessante conferenza di presentazione, guidata da  Renato Zanella, coreografo dalla lunga carriera che danzò per Bejart,    l’attuale direttore artistico , il carismatico Julien Favreau, ha spiegato come  la finalità del gruppo sia di mantenere vivo lo spirito di Bejart, il suo senso della verità della e nella danza, di come, ferma restate la necessità di una  tecnica solidissima, per il Maestro fosse fondamentale  mettere in risalto le potenzialità del singolo interprete, la sua particolarità, l’individualità che andava scoperta, esaltata, sublimata.

Lo spettacolo, diciamolo subito, è stato un trionfo, con applausi copiosi alla fine di ogni coreografia ed autentici e lunghissimi boati da stadio alla fine.

Che per un pubblico caratterialmente piuttosto riservato e composto, è decisamente raro.

Il programma prevedeva una selezione di grandi pagine della danza del Secondo Novecento.

Si inizia con una coreografia  del 1965, realizzata per il  Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles: Variations pour une porte et un soupir , sulla musica rivoluzionaria di Pierre Henry, che spesso pare  utilizzare rumori come suoni strumentali.

Struttura complessa, una sorta di oulipo,  creazione fantastica ed imprevedibile fra matematica e letteratura, che prevede che i ballerini   sorteggino la loro parte all’inizio della coreografia, che da subito appare molto articolata e complessa tecnicamente. Passi, posizioni, movimenti, sono ebbri di tecnica classica, pur in una soluzione di modernità, viene da dire di ardita contemporaneità, nonostante si tratti di una creazione che ha sessant’anni.

Come viene spiegato all’inizio della scena, purtroppo in francese senza traduzione, ci sono 49 possibili combinazioni , un dedalo di varianti  coraggiose  che coinvolgono i sette bravissimi interpreti: Solène Burel, Jasmine Cammarota, Kwinten Guilliams, Dorian Browne, Elisabet Ros, Denovane Victoire, Kathleen Thielhelm

Balacement vede esibirsi una danzatrice con ai piedi delle scarpe dal tacco alto. I movimenti, in perfetta sintonia con l’apparato sonoro, sono volutamente rigidi, legnosi e costruiscono raffinate geometrie che paiono rimandare tanto a delle marionette che alle figure dei vasi greci.

Chant I è l’occasione per il solista di esibire  una grande plasticità, che gli consente di rispondere alla narrazione musicale con la costruzione di atmosfere rarefatte ed intense.

Eveil  segna la rinuncia alla musica tradizionale  per optare per un ipotetico rumore, che i tre danzatori trasformano in ritmo, racconto, sensazione. Grande la resa dinamica, il gioco delle forme che i corpi costruiscono davanti ai nostri occhi, il dispiego di passi classici declinati in movenze contemporanee

Chant II è un duetto fra un uomo ed una donna che limano un dialogo sofisticato fra stereotipi e stilizzazioni, che si  concretizza  in geometrie di corpi di grande raffinatezza, sia tecnica che visiva.

Etirement è un pezzo a tre, sofisticato  nell’esecuzione ed assolutamente imprevedibile, tanto da essere sviluppato allo stesso tempo in una coreografia verticale ed in una orizzontale, a terra, con le posizioni dei corpi ritmati  dalla presenza di alcune sedie, cesure e leganti al tempo stesso

Geste è un passo a due, caratterizzato da linee di grandissima purezza ed una profondissima rispondenza fra suoni e movimento. La gestualità è marcata, esibita, ma mai eccessiva, mai forzata. Un prodigioso gioco di equilibri coreutici che incanta, fra classico e sperimentazione, sempre alla ricerca  del brivido di una emozione. 

Comptine è una narrazione potente: tre donne  aggrediscono un uomo, hanno il sopravvento su un machismo di maniera, dominante negli anni dell’esordio del lavoro, su un bullismo che è sopraffazione, violenza gratuita.  Il racconto prende forma nei movimenti ma anche nella mimica facciale, bene messa in risalto dalle luci, che fanno parte della messa in scena ideata dallo stesso Bejart.

Tutti i  danzatori entrano in gioco in Fievre, destabilizzante invenzione, nella quale l’immobilità si fa danza, l’osservatore viene osservato, in una fissità che, alla fine, esplode nella sublimazione del gesto, in una concitazione che non è mai perdita del controllo e che per certi aspetti introduce al successivo e collettivo Chant III.

Gimnastique vede un terzetto di interpreti mettersi in  gioco con l’aspetto atletico della danza, costruendo linee di metafisica bellezza, giocando con l’elasticità che si fa ritmo narrativo, montando e smontando continuamente figure plasmate dai corpi che si compenetrano  e si lasciano, con la rapidità di un soffio di vento.

Bratements è un passo a due su una base musicale dalle sonorità complesse, che permettono di costruire, sempre a partire da una solida  base tecnica, situazioni narrative potenti, molto articolate nei movimenti e raffinatissime nelle linee.

Respirations è un pezzo d’insieme di grande presa, che permette di esaltare sia le performance solistiche , realmente magnetiche, che i momenti di insieme, nei quali l’ensemble si fa collettività senza diventare gruppo.

Ronflement mostra il gruppo suddiviso in tre coppie ed un solista. Diventa una storia modernissima di bullismo ed umiliazione, con una continua oscillazione fra linguaggio quotidiano e grande scuola classica, che riesce a cesellare momenti di marcata drammaticità ed attimi si apparente sollievo.

Chant IV è un intenso assolo , nel quale una danzatrice  riesce a narrare una  situazione dai toni espressionisti utilizzando movenze classiche .

Si chiude con Mort, pezzo d’insieme  nel quale le sedie, presenti dall’inizio sul palcoscenico, si fanno corazza, rifugio, arma, metafora e strumento.

Questo ultimo  frammento coreutico certamente all’epoca della prima  segnò una pietra miliare della storia del teatro, perché ha aperto in modo determinante alla danza contemporanea con gli oggetti ed ha regalato i semi che qualche anno dopo prenderanno forma nel terreno fecondissimo di Pina Bausch.

Fortissima la sintonia fra interpreti, movimento, espressioni, musica, che porta alla costruzione di un pathos  che rapisce.

La morte, figura con cui Bejart dialogherà nel corso di tutta la sua carriera di coreografo, diviene sollievo al martellamento della violenza, tanto da essere accolta, da uno dei ballerini, con il sorriso con cui si riceve un regalo.

La prima parte della serata viene salutata da un applauso che esplode, dopo il silenzio quasi mistico che ha sacralizzato la mezz’ora intensissima di danza, con infinite chiamate al proscenio per i bravissimi interpreti.

La seconda parte è divisa in due blocchi.

Il primo vede la proposta di  quattro passi a due, ideati in tempi differenti per teatri diversi, ma accomunati dalla presenza di   interpreti dalla presenza scenica carismatica, a sottolineare come per Bejart fossero imprescindibili le rigidissime basi tecniche, ma poi risultasse determinante lo spessore umano ed interpretativo dell’artista, che doveva vestire la parte trovandovi se’ stesso, non interpretando un ruolo a lui alieno.

Duo è un estratto  dal balletto Pyramide – El Nour, composto nel 1990 per la Cairo Opera House, su musica tradizionale islamica.

Valerija Frank entra in scena , eterea,  mescolando piquet e fluide movenze orientali sulle punte. Una situazione inaspettata, coraggiosamente inusuale, che è un abbraccio fra popoli, tecniche, tradizioni, che da sola vale più di mille parole. Potente l’idea di superare, con una scelta stilistica ardita, barriere storiche e culturali, abbattere pregiudizi e generare immagini di struggente poesia, alle quali concorre la presenza elegante di Oscar Frame, che con una serie di balance fuori asse di grande suggestione realizza figurazioni geometriche che rimandano a Klee ed alla lezione dell’astrazione visiva.

Danse Grecque , nato nel 1983 , è ormai una pagina del grande repertorio del balletto del Novecento, grazie anche alla popolarità delle musiche di Mikis Theodorakis.

Kwinten Guilliams  e Konosuke Takeoka fanno del brano una continua e coinvolgente alternanza fra  danza di coppia e momenti solistici.

 Grazie ad una potenza tecnica rilevantissima , una elasticità notevole ed una fluidità sapiente, riescono a mescolare folklore greco e scuola classica con una naturalezza affascinante.

È un sirtaki  ricco di pirouettes,  di balancè, di passaggi del grande repertorio, resi con un gusto ed una misura da farli sembrare autenticamente tradizionali, a dimostrazione di come la poesia abbatta barriere temporali e geografiche.

Il Tango dal balletto ‘Notre Faust’ ( Teatre Royal de la Monnaie di Bruxelles, 1975) è un pezzo di bravura, danzato da Alessandro Cavallo ed Angelo Perfido, che costruiscono immagini di struggente bellezza, intensi parallelismi, alternando momenti di affascinante morbidezza ad altri di rigoroso atletismo. Un opulento gioco di dèveloppé, di doppie piroette, di brisè, per cesellare una coreografia di fortissima resa interpretativa.

Dibouk è un pezzo ideato per Gerusalemme nel 1988, su musica tradizionale ebraica .

La scena ed i costumi  sono di Thierry Bosquet , che gioca con le ombre, ideando un suggestivo quadro iniziale, pervaso di angoscia e tensione, che vengono ampliate nella danza dalla cesura fra il racconto svolto dalla parte superiore del corpo e quello della parte inferiore. Mondi differenti che convivono, in qualche momento loro malgrado. Metafora profetica della situazione attuale,  con il sacrificio dell’individualità, soffocata dal gesto rituale, dal rigorismo delle braccia, cui le gambe sembrano cercare di opporsi, dalla postura forzata della schiena.

Un dirompente conflitto, prima di tutto interiore, poi di coppia, poi di popoli, nel quale i sogni del singolo diventano oggetto sacrificale, in un racconto che trova le sue radici nella ‘Sacre de Printemps’, nella scuola Russa di inizio secolo, nelle sperimentazioni delle avanguardie  Novecentesche.

Coreografia oltremodo complessa, magnificamente interpretata da Jasmine Cammarota e Dorian Browne.

Tutti i passi a due sono stati  vivacemente applauditi , nonostante pensiamo che l’idea originaria fosse di un continuum narrativo, ma alla fine della sequenza il teatro  era diventato un vero stadio, con moltissime  chiamate in scena e vere acclamazioni per tutti gli interpreti.

A chiudere la serata, che non esitiamo a definire un evento per la storia del teatro udinese,  la celeberrima coreografia di ‘L’Uccello di Fuoco’,  che Bejart ideò nel 1970 a Parigi.

Erano anni difficili per il mondo ed il coreografo pensò a dei riferimenti alla cultura maoista, affiancando  all’Uccello un esercito di partigiani (Solène Burel, Konosuke Takeoka, Kwinten Guilliams, Kateryna Chebykina, Kathleen Thielhelm,Angelo Perfido, Jeronimas Krivickas, Denovane Victoire) , con divise azzurro cielo, ma anche di rimandare a Baskt per  il costume del protagonista, in questo caso un atletico Hideo Kishimoto, certamente all’altezza del difficile ruolo, anche se forse troppo giovane per essere autenticamente carismatico. Incanta la platea con la  leggerezza con cui affronta i passi tecnicamente più arditi, l’apparente tranquillità con cui esegue le ruote ed i gran jetè che lo fanno volare e presagire una futura luminosa carriera.

La struttura è raffinatissima, con una sorta di leit motive visivo, che si concretizza nella struttura del cerchio, che appare in situazioni e modalità differenti nel corso della vicenda. 

Ci sono momenti  realmente magici, come quando il movimento delle braccia  del protagonista simula il volo di una Paradisea, alla quale i partigiani forniscono per alcuni attimi una straordinaria coda di corpi.

Oppure nel momento in cui le mani sembrano cercare di stringere il fuoco, di catturare la poesia della libertà, il senso ultimo del vivere.

Intensa l’apparizione della Fenice, l’affidabile Oscar Frame.

Grandissime pagine di storia dello spettacolo, che il pubblico ha acclamato e per le quali è doveroso riconoscere al teatro udinese il grosso merito di aver saputo investire in una proposta di qualità altissima, che da un lato fa conoscere a livello internazionale, visto anche la significativa presenza di pubblico straniero, il capoluogo friulano; dall’altro dimostra che il pubblico è pronto a recepire gli stimoli autenticamente importanti che gli vengono proposti.

In conclusione, non abbiamo dubbi che quando la Signora Fracci disse che ‘con Bejart è morto il Dio della Danza’, si sbagliava: grazie alla dedizione del Bejart Ballet Lausanne, non ci sono dubbi che Bejart è vivo, eterno ed al tempo stesso coraggiosamente attuale.

Il successo dello spettacolo, infatti , è stato nel non puntare   a ricordare quando grande sia stato quel coreografo, ma a dimostrare  quanto la sua lezione palpiti di passione ancora oggi e sappia essere sempre un passo avanti, ostinatamente e vivificamente dirompente.

 

 

Gianluca Macovez

15 aprile 2025

 

informazioni

 

Udine, Teatro Nuovo Giovanni Da Udine , 13 aprile 2025 

 

BÉJART BALLET LAUSANNE

Direzione artistica: Julien Favreau 

VARIATIONS POUR UNE PORTE ET UN SOUPIR 

Coreografia ed allestimento: Maurice Béjart 

Musica : Pierre Henry 

con:Solène Burel, Jasmine Cammarota, Kwinten Guilliams, Dorian Browne, Elisabet Ros, Denovane Victoire, Kathleen Thielhelm 

 

DUO 

Coreografia: Maurice Béjart 

Musica: tradizionale islamica

con:  Valerija Frank, Oscar Frame 

 

DANZA GRECA

Coreografia: Maurice Béjart 

Musica: Mikis Theodorakis 

con:Kwinten Guilliams, Konosuke Takeoka 

 

FAUST 

Coreografia: Maurice Béjart 

Musica: Gerardo H. Matos Rodriguez 

con:Alessandro Cavallo, Angelo Perfido 

 

DIBOUK 

Coreografia: Maurice Béjart 

Musica: tradizionale ebraica 

con: Jasmine Cammarota, Dorian Browne 

L’UCCELLO DI FUOCO

Coreografia: Maurice Béjart 

Musica: Igor Stravinsky 

 

L’Uccello di Fuoco : Hideo Kishimoto

La Fenice: Oscar Frame

I Partigiani: Solène Burel, Konosuke Takeoka, Kwinten Guilliams, Kateryna Chebykina, 

Kathleen Thielhelm, Angelo Perfido, Jeronimas Krivickas, Denovane Victoire 

 

 

 

 

 

 

 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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