Venerdì, 22 Novembre 2024
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Danzatori in movimento: Marco Chenevier

La rubrica “Danzatori in movimento” esplorerà la vita e la carriera di danzatori e coreografi che, per un breve o un lungo periodo hanno scelto di vivere e lavorare al di fuori dei confini italiani.

Un appuntamento mensile, in cui incontreremo personaggi noti e meno noti del panorama della danza italiana, che ci racconteranno la loro esperienza all'estero e come questa ha influito sulla loro crescita personale e professionale. Scopriremo come il loro percorso artistico si sia arricchito e ci darà un'idea delle opportunità che il mondo offre ai talenti della danza. Siamo entusiasti di condividere con voi queste storie emozionanti e ispiratrici, e di scoprire insieme come l'espressione artistica possa superare i confini geografici.

 

Marco Chenevier

Marco Augusto Chenevier vive e lavora tra Francia e Italia.

Coreografo, danzatore, regista e attore, sviluppa, in qualità di autore, una ricerca che attraversa i codici linguistici, ne esplora i limiti e mette in discussione forma e struttura, creando originali ibridi nati dalla fusione tra danza, teatro, circo, cabaret, giochi di società e tecnologia.

Il suo lavoro vuole muovere e stimolare allo stesso tempo pensiero, sorpresa e piacere, rifuggendo l'elitismo culturale tanto quanto l'entertainment, lo spettacolo ed il consumo. La ricerca estetica e la riflessione politica sono strettamente legate, in un'analisi impietosa dei rapporti di potere. I processi di ricerca e creazione, frutto di pratiche rigorose, hanno costituito un percorso caratterizzato dal recupero di archetipi e dalla loro dissacrazione nella contemporaneità, e portato negli anni a risultati estetici eterogenei, alternando umorismo, lirismo, poesia e iconoclastìa. 

Diplomato all'Accademia Internazionale di Teatro a Roma, ha studiato presso la scuola di danza contemporanea Filomarino e con Annapaola Bacalov a Roma. Per sette anni è stato studente e poi assistente di Isaac Alvarez (primo assistente di J. Lecoq) in Francia, presso il Théâtre du Moulinage.

Ha collaborato in qualità di danzatore con diverse compagnie tra Italia e Francia (Romeo Castellucci e Cindy Van Acker, Cie CFB451 in seno al CCN di Roubaix - Carolyn Carlson, Cie Lolita Espin Anadon...). Ha firmato oltre quindici produzioni ed è stato direttore artistico di diversi eventi, tra cui il Festival "Morg-Ex Machina", il “Roma Street Art Festival”, la rassegna itinerante “Le marmotte non dormono”. Attualmente è co-direttore del Festival T*Danse - Danse & Technologie – Festival Internazionale della Nuova Danza di Aosta.

 

 

Quando hai lasciato l'Italia per trasferirti in Francia? Da cosa è nata questa tua decisione?

Ho lasciato l’Italia nel 2010, continuando a mantenere la mia compagnia di produzione “Cie Les 3 Plumes” in Italia fino al 2017, e dall’anno successivo ho spostato la stessa compagnia in Francia, poiché non vedevo una sostenibilità economica nel mio Paese per il mio mestiere di coreografo. Devo dire che la scelta della Francia è stata un salto nel buio, che poi si è rivelata fortunatamente positiva.

Come ti sei trovato inizialmente in una città così diversa da quelle italiane e come ti trovi adesso? 

È stato molto facile inizialmente ambientarmi in Francia per la lingua, poiché essendo vissuto in una regione bilingue come la Val D’Aosta, conoscevo il francese molto bene. D’altra parte, invece è stata dura ambientarmi poiché trasferirsi vuol dire iniziare da capo in un territorio nuovo, dove non conosci nessuno, dove non hai un passato di formazione e non conosci il sistema, e quindi è faticoso. Ci sono stati dei momenti di solitudine e difficolta, poi però le occasioni lavorative si sono moltiplicate, sono state favorevoli e sono riuscito a creare rapidamente una rete sociale che mi ha permesso di integrarmi in una nuova società così lontana, diversa e dove non avevo un passato. Ad oggi posso dire di stare molto bene e non sono intenzionato a ritrasferirmi.

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Puoi raccontarci il tuo esordio all'estero e uno spettacolo che ti è particolarmente a cuore, oppure un progetto a cui stai lavorando?

L’esordio all’estero ci fu tanti anni fa, nel 2005, prima che la mia compagnia diventasse ministeriale, quando non avevamo nessun tipo di finanziamento e ci autoproducevamo. Riuscimmo ad avere dei contratti in India, in Corea, in Europa (in Francia e in Spagna), e poi, dopo questi spettacoli all'estero, iniziammo a lavorare anche nei circuiti più ufficiali in Italia.

Poi nel 2010-2011, quando mi sono trasferito in Francia e la compagnia era già ministeriale presso Teatro Instabile di Aosta, ho cominciato a lavorare molto di più all’estero.

Il mio primo contratto importante da danzatore, invece, fu con la coreografa Marion Bati, che dirigeva la Biennale della danza di La Rochelle). Successivamente entrai in un progetto al CCN di Roubaix, diretto all’epoca da Carolyn Carlson, con un progetto dei Fratelli BenAim durato tre anni.

Lo spettacolo che mi sta più a cuore tra quelli di cui sono coreografo è sicuramente Quintetto per molteplici motivi, non ultimo il fatto che è stato lo spettacolo che, dall'esordio fino a quando poi non vinse il Be Festival di Birmingham nel 2015, fu massacrato dalla critica e dagli operatori perché usciva fuori dalle categorie, dagli schemi. Solamente chi lo vedeva e partecipava lo apprezzava. Io ho sempre sentito che era uno spettacolo con una base teoretica differente, poiché come diceva Bene “lo spettacolo di teatro è come una partita di pallone, dove sappiamo tutti come andrà a finire”, invece in un lavoro come Quintetto l'interazione e la connessione con il pubblico sono fondamentali e non sappiamo come andrà a finire.

Sto lavorando anche a diversi progetti che mi stanno a cuore e che vedono al centro il ruolo dello spettatore e la sua interazione con lo spettacolo; il primo che presenterò sarà Bach à la carte!, in cui il pubblico deciderà cosa vuole vedere e sentire intorno a un concerto di Bach. 

 


Come viene vista la danza in Francia, anche a livello di educazione scolare (se ne sei a conoscenza)?

Parigi sicuramente ha un’enorme presenza di teatri e di proposte artistiche e culturali. Quando si parla di danza contemporanea, resta comunque un ambiente di nicchia ma, proporzionalmente, credo che ci sia molta più partecipazione rispetto all’Italia.

Nell’educazione scolare, ovvero quella che in Francia chiamano éducation nationale, la danza ha un posto abbastanza limitato, anche se ciò che emerge a differenza dell’Italia è che le strutture di diffusione dello spettacolo hanno molti più soldi, sono tante e diverse, con commissioni differenti, che costituiscono un mosaico più complesso, con uffici preposti all’educazione artistica, che si occupano di stipulare convenzioni con le scuole. Se ci si reca a Parigi ad assistere ad uno spettacolo è facile imbattersi in scolaresche coinvolte nella visione dello stesso.

Quello che veramente cambia a livello di educazione tra il sistema francese e il sistema italiano sono i Conservatori. Se in Italia abbiamo solo i Conservatori musicali, in Francia i Conservatori sono anche per il teatro e la danza e sono circa 3000. È proprio questa enorme costellazione di centri che crea una cultura artistica differente di danza contemporanea, di danza classica, di danza jazz, di teatro e di musical. Questa enorme quantità di centri di formazione fa immediatamente capire come l’obiettivo non sia solamente quello di formare artisti, ma sia anche formare il pubblico.

Avendo lavorato in alcuni Conservatori, devo dire che ho toccato con mano quanto la danza faccia parte del percorso formativo dei giovani, si possono incontrare adolescenti che puntano a diplomarsi in danza contemporanea, senza alcuna velleità di diventare danzatori, ma magari aspirano a diventare ingegneri.

Sicuramente è da mettere in evidenza anche come in generale il teatro in Francia sia molto più frequentato che in Italia, anche in territori molto periferici; ad esempio, a Lyre, in Normandia, luogo paragonabile ad un piccolo comune dell’Abruzzo, c’è la presenza di un centro drammaturgico nazionale che serve un territorio rurale abbastanza ampio, ed io l’ho sempre visto colmo di persone che vi si recano per vedere spettacoli di altissimo livello. 


Pensi mai di tornare in Italia in pianta stabile? E quando torni da ospite cosa provi?


No, non ci ha mai pensato perché continuo a lavorare in Italia, con il Festival e il Teatro di Aosta e ho lì la mia la famiglia. Mi piace molto lavorare in Italia ma ritornarci a viverci stabilmente no, proprio perché non ci sono le possibilità di sostegni economici che ci sono invece qui in Francia. 

 

Come hai vissuto il periodo di pandemia? Dove ti trovavi, e come hai gestito la situazione a livello lavorativo e personale?

Per gli artisti in Francia il periodo della pandemia è stato più tutelante di altri Paesi, poiché c’è il sistema dell’intermittenza.  È un sistema di sostegno al reddito per i lavoratori dello spettacolo che hanno un lavoro intermittente, della durata di un anno: è necessario nei dodici mesi precedenti aver fatto almeno 507 ore. È un sistema che va a ore e non a giornata lavorativa e quindi è adattato agli artisti che in Francia possono avere dei contratti anche di ripetizione da tre, quattro, cinque, sei, sette, otto ore al giorno. Ovviamente, nel momento in cui è iniziata la pandemia, chi era già intermittente ha avuto un sostegno molto importante ed è stato tutelato. Sicuramente ci sono state delle grosse storture, perché magari chi stava cercando di diventare intermittente, proprio nel momento della pandemia non è riuscito a diventarlo e ha avuto degli anni molto, molto difficili. Sicuramente ci sono state delle asimmetrie. Personalmente sono stato uno dei tanti fortunati.


Ti senti di dare un consiglio da dare a giovani danzatori che vivono in Italia e guardano all'estero come possibilità lavorativa?

Come consiglio, direi di non farlo troppo tardi, perché comunque richiede un'energia enorme, tantissima proiezione verso l'altro, tanta curiosità e tanta umiltà, perché spesso bisogna ricominciare da zero completamente, quindi conviene non farlo troppo tardi se si vuole tentare il salto. L’estero non è certo la panacea di tutti i mali, né l'obiettivo ultimo, è una possibilità come tante possono essercene in Italia, anche perché sono tantissimi gli artisti che lavorano e vivono benissimo in Italia. È chiaro che si tratta sempre di una visione ed un’esigenza estremamente personali. 

Tutto è possibile, ma penso che non si debba aver paura di perdere delle chance o di uscire dalla propria comfort zone, perché tante volte si possono scoprire delle cose con un pizzico di coraggio.

 

 

Alessia Fortuna 

27 febbraio 2023

 

 

informazioni 

foto di Alex Brenner

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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