La rubrica “Danzatori in movimento” esplorerà la vita e la carriera di danzatori e coreografi che, per un breve o un lungo periodo hanno scelto di vivere e lavorare al di fuori dei confini italiani.
Un appuntamento mensile, in cui incontreremo personaggi noti e meno noti del panorama della danza italiana, che ci racconteranno la loro esperienza all'estero e come questa ha influito sulla loro crescita personale e professionale. Scopriremo come il loro percorso artistico si sia arricchito e ci darà un'idea delle opportunità che il mondo offre ai talenti della danza. Siamo entusiasti di condividere con voi queste storie emozionanti e ispiratrici, e di scoprire insieme come l'espressione artistica possa superare i confini geografici.
Lorenzo Mattia Pontiggia
Lorenzo Mattia Pontiggia è nato a Milano e ha iniziato la sua formazione a L’omino danzante. Ha continuato a studiare ad Aosta all’Institut de Danse Du Val d’Aoste e al ForDance Institute. Nel 2014 è entrato all’Accademia Teatro alla Scala, dove ha avuto la fortuna di esibirsi sullo storico palco milanese, e nel 2015 si è trasferito a Professione Danza Parma. Nell’ottobre 2015 ha ricevuto una borsa di studio per l’Orlando Ballet School dove è stato trainee per un anno e poi promosso alla seconda compagnia dove ha ballato per due anni.
Nel 2018 ha vinto il 2° premio nella divisione classica e il 3° premio nella divisione contemporanea al Youth America Grand Prix di Boston. Nello stesso anno è stato selezionato da Roberto Bolle per far parte di OnDance dove è stato insignito dall’étoile il premio come talento emergente dopo aver ballato nel Gala Roberto Bolle and Friends. Nel 2019 Lorenzo ha vinto il 2° premio nella divisione classica e gli è stato chiesto di esibirsi al gala Stars of today meet the stars of tomorrow allo YAGP Tampa. È stato uno dei 60 ballerini selezionati da tutto il mondo a competere all’International Ballet Competition di Helsinki, uno dei concorsi di danza più prestigiosi e storici del mondo. È entrato a far parte del Cleveland Ballet ed è tuttora parte della compagnia.
Quando hai lasciato l'Italia per trasferirti in America? Da cosa è nata questa tua decisione?
Ho lasciato l’Italia a 15 anni nel settembre del 2015, dopo aver ricevuto alle semifinali dello Youth America Grand Prix una borsa di studio per l’Orlando Ballet School.
A Orlando avevo la possibilità di studiare per molte più ore rispetto all’Italia e uno dei maestri della scuola, e mio mentore, Olivier Muñoz è considerato uno dei migliori maestri per uomini a livello mondiale e io l’ho vista come l’opportunità della vita.
Come ti sei trovato inizialmente in una città così diversa da quelle italiane? Com'è stato l'approccio alla danza, il confronto con tanti altri danzatori e alla compagnia?
Inizialmente l’unico problema era la lingua però, nel giro di qualche mese ho cominciato a non avere più nessuna difficoltà. Non avevo molto tempo per vivere la città da turista, visti gli allenamenti dalle 9 alle 19:30 dal lunedì al sabato, ma comunque Orlando è piena di natura, parchi e laghi e mi sono subito trovato benissimo!
A livello di danza la cosa che ho trovato più difficile è stata senza dubbio la velocità delle esecuzioni, specialmente nei salti; in Europa la tecnica che viene studiata maggiormente è la Vaganova (scuola russa) ed è molto più lenta a livello di musicalità e di conseguenza anche l’esecuzione dei passi. Avere delle gambe veloci è sicuramente un vantaggio, perché è più facile rallentare che accelerare.
Sicuramente all’inizio è stato molto difficile anche imparare a memorizzare le coreografie immediatamente, ma questo credo sia normale nel passaggio tra scuola e compagnia; il mio primo anno facevo parte della scuola ma ballavo anche con la compagnia e poi dalla seconda stagione, a 16 anni, sono stato promosso alla seconda compagnia.
In America ho sicuramente trovato più sana competizione rispetto all’Italia e grazie a questo sono riuscito a migliorare tantissimo. Non sono uno che si fa demoralizzare dalla bravura altrui, anzi la prendo come una spinta per arrivare allo stesso livello!
Puoi raccontarci il tuo esordio all'estero e uno spettacolo che ti è particolarmente a cuore?
Il mio primo spettacolo in America è stato un mese dopo il mio arrivo ed è stato “la bella la bestia di Arcadian Broad”, in cui ho facevo parte del corpo di ballo.
Uno degli spettacoli che ho particolarmente a cuore è sicuramente il galà dello Youth America Grand Prix a Tampa perché era la mia prima volta che tornavo in scena dopo aver perso la vista dal mio occhio destro. È stata una serata molto emozionante perché non pensavo di poter proprio più ballare dopo essere diventato cieco da un occhio, ma invece a distanza di qualche settimana ero lì insieme a stelle della danza internazionale!
Un altro spettacolo che mi è rimasto particolarmente a cuore è stato il mio primo con la mia compagnia attuale, il Cleveland Ballet. Ero arrivato dall’Italia da due giorni e la compagnia era già in teatro per presentare Carmen, un ragazzo si è fatto male e ho dovuto imparare l’intero balletto in un pomeriggio per andare in scena il giorno dopo! La risposta del pubblico, a conoscenza dell’accaduto, è stata meravigliosa! Non potevo chiedere miglior accoglimento.
Per un danzatore subire una fisica, soprattutto se permanente è un trauma molto difficile da affrontare, anche, e aggiungerei soprattutto, dal punto di vista psicologico; puoi raccontarci della lesione all’occhio, e dei problemi alla vista che ne sono derivati e soprattutto come hai affrontato la situazione?
A fine novembre del 2019 ho avuto un’infezione all’occhio destro, che all’inizio sembrava essere una normale congiuntivite, ma che si è trasformata in qualcosa di molto peggio. Dopo una settimana di dolore atroce in cui non riuscivo ad alzarmi dal letto e dovevo stare al buio con gli occhiali da sole, e una diagnosi sbagliata sono stato mandato in pronto soccorso con la possibilità di dover fare un intervento per chiudere l’occhio. Per fortuna la dottoressa che mi ha visitato, dopo avermi detto che avevo un batterio nell’occhio che ha causato un’ulcera della cornea, e dopo aver chiamato tutti i migliori specialisti d’America, ha deciso di darmi un collirio antibiotico che dovevo mettere nell’occhio più volte al giorno con la speranza di salvare almeno in parte l’occhio.
Alla fine, la sua decisione si è rivelata un successo, perché perlomeno riesco a vedere le sagome e alcuni colori.
Ovviamente è stato un incubo ricominciare a ballare, anche se a distanza da pochi giorni, il senso dell’equilibrio era completamente diverso non avendo la percezione di tutta la parte destra. Però il giorno dopo che ho ripreso a danzare il mio direttore mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha chiesto se avessi intenzione di ballare ne Lo Schiaccianoci e allo Youth America Grand Prix che erano a due settimane di distanza e io non ho avuto dubbi sul dire che sarei stato pronto.
Non sono una persona che si abbatte, per un solo giorno, appena avuta la notizia, ho pensato che avrei dovuto lasciare la danza, ma il giorno seguente sono entrato in sala e ho pensato “questa sarà la cosa che mi differenzierà (in modo positivo) da tutti gli altri”.
La vista non è assolutamente migliorata e non migliorerà, ma io mi sono abituato e se non lo dico, nessuno lo nota. Quella che per molti può sembrare una disgrazia è stata la mia fortuna. Mi ha cambiato come persona, ma soprattutto come ballerino, in meglio. Se questo imprevisto non mi ha fatto lasciare la danza, credo che nulla potrà farlo, perché questa è l’arte dell’anima!
E per finire, dopo aver scritto della mia storia ad Andrea Bocelli, che aveva un concerto proprio ad Orlando, sono stato invitato e ho avuto il piacere di conoscerlo e di parlare di progetti futuri per i suoi tour americani. È stata un’emozione unica, anche perché la prima volta che ho ballato su un palco dopo aver perso l’occhio, l’ho fatto sulle note di Volare, cantata proprio da Bocelli, allo Youth America Grand Prix di Tampa e con cui ho vinto il secondo premio e sono stato invitato a ballare al gala.
Come viene vista la danza in America, anche a livello di educazione scolare (se ne sei a conoscenza)?
Qui a Cleveland, ma come anche a Orlando e in tutto il resto del paese la danza viene vista come qualcosa di spettacolare. Andare a teatro è qualcosa che viene fatto per piacere personale, per avere una serata di svago, come andare al cinema. Questo perché si viene avvicinati alla cultura e alla danza, fin da piccoli, grazie alla scuola.
Per i giovani la danza fa a tutto tondo parte dell’educazione scolastica. Quando ero a Orlando ho ballato “la Bella e la Bestia” per quasi 100.000 bambini delle elementari, nel giro di qualche settimana. Le scuole portano a vedere quasi tutte le produzioni che vengono fatte dalle compagnie e a Cleveland, dopo lo spettacolo, i bambini hanno la possibilità di scambiare qualche parola con i ballerini. Un’altra cosa che le scuole organizzano sono delle lezioni di danza, insegnate da membri della compagnia, durante le ore di ginnastica, e alla fine dell’anno vengono date delle borse di studio per venire a studiare danza ad un livello più alto, così da avvicinare sempre più bambini e dargli una prospettiva anche futura. Ci sono bambini che hanno iniziato grazie a queste borse di studio e adesso sono in compagnie importanti.
Pensi mai di tornare in Italia in pianta stabile? E quando torni da ospite cosa provi?
Al momento mi trovo bene qui e non tornerei mai indietro, ma in futuro, con la speranza che le cose cambino, vorrei assolutamente tornare. Le poche volte che mi è capitato di ballare di nuovo su un palco italiano, dopo la mia partenza, è stato molto emozionante. L’Italia è il mio Paese e lo amo moltissimo, quindi diciamo che tornare a ballare a casa è qualcosa di unico, anche perché molto spesso c’è la mia famiglia nel pubblico e se sono qui è merito anche loro. Infine, nei teatri italiani si respira la storia, cosa che qui in America manca un po’, è una sensazione diversa.
Come hai vissuto il periodo di pandemia? Dove ti trovavi, e come hai gestito la situazione a livello lavorativo e personale?
Durante la pandemia ero a Cleveland. Non è stato assolutamente facile, anche se qui si poteva uscire di casa a fare passeggiate, erano chiusi solo i grandi uffici e i negozi. La compagnia ci ha continuato a pagare e ha organizzato una lezione di danza classica al giorno su Zoom, che tutti noi seguivamo da casa, e in più alcune volte venivano offerte lezioni di pilates e di preparazione atletica. Dopo un mese e mezzo è ripreso tutto come prima, con le lezioni e prove in presenza, ma senza la possibilità di fare spettacoli in teatro.
A livello personale mi ha colpito abbastanza perché ero solo per la maggior parte del tempo e mi stavo preparando al mio primo ruolo da primo ballerino prima del covid. Ho cercato il più possibile di tenere la mia testa occupata e di stare all’aria aperta, camminando o andando in bicicletta per molti chilometri così da non pensare a tutto ciò che mi era stato tolto.
Ti senti di dare un consiglio da dare a giovani danzatori che vivono in Italia e guardano all'estero come possibilità lavorativa?
Se avete la possibilità di uscire dall’Italia io vi dico almeno di provarci. Non è detto che vi piaccia, perché comunque non è facile adattarsi a molte cose diverse, ma le opportunità che avrete e che vi verranno date saranno molte di più di quelle che avrete in Italia. È un’esperienza che vi cambia non solo a livello professionale, ma anche personale, in quanto vi arricchisce molto. Sognate in grande!!
Alessia Fortuna
22 gennaio 2023
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