Martedì, 25 Marzo 2025
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Munch. Il grido interiore: a Palazzo Bonaparte di Roma si riscopre un artista a lungo dimenticato

Recensione della mostra “Munch. Il grido interiore” a Palazzo Bonaparte di Roma dall’11 febbraio al 2 giugno 2025 a cura di Patricia G. Berman

 

“Attraverso la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche di aiutare gli altri a comprendere la propria”. Note, 1930-34.

 

Non è per i deboli di cuore la mostra organizzata da Arthemisia in occasione dell’ottantesimo anniversario della scomparsa di un artista a lungo dimenticato, Edvard Munch. Dimenticato perché, a parte al Munch Museum di Oslo, difficilmente le sue opere sono visibili al di fuori del suo Paese, e ancora di più in Italia, dove si conta che l’ultima monografica gli sia stata dedicata ben dieci anni fa. La scelta di riportare sotto i riflettori un artista così poco noto e così tanto tormentato come Munch va solo apprezzata. 

L’esposizione prende spunto dall’opera più celebre, L’Urlo, di cui non si ammira la versione più nota ma una rara litografia in bianco e nero realizzata nel 1895. La versione più popolare non è stata prestata a causa della sua fragilità, eppure, la litografia non ne fa sentire la mancanza: qui i colori dissonanti del dipinto si sono trasformati in tante linee particolarmente marcate per trasmettere in modo ancora più diretto ed efficace le vibrazioni di quell’urlo. Quando si arriva ad ammirare la litografia, si è già un po’ scandagliata la profondità d’animo dell’artista, la sua oscurità e quel particolare senso di oppressione che appaiono ben intelligibili nelle sue opere.

A influenzare il carattere e l’indole di Munch è inevitabilmente il contesto storico e culturale in cui si ritrova a vivere, durante il quale ha visto attuarsi delle rivoluzioni importanti nonché una guerra mondiale. Già l’inizio della sua carriera coincide con cambiamenti radicali che avvengono nello studio della percezione: alla fine dell’Ottocento il dibattito tra scienziati, psicologi, filosofi e artisti è incentrato sulla relazione tra ciò che l’occhio vede e quello che la mente rielabora e ricorda. Nei suoi scritti, Munch stesso afferma che i ricordi per lui rappresentano uno strumento del suo lavoro: l’atto stesso del ricordare gli permette di liberarsi dei dettagli superflui e di individuare i momenti realmente importanti del suo passato. 

La mostra a Palazzo Bonaparte ha il pregio di far soffermare il pubblico sull’uomo Edvard che ha creato l’artista Munch: si dà molto spazio all’essere umano che è rimasto profondamente e perennemente segnato e devastato dagli accadimenti della vita. In tal senso, significative sono La bambina malataLa morte nella stanza della malataLotta contro la morte che raffigurano l’agonia che si prova a perdere i propri cari e la lotta con la morte che gli stessi malati devono affrontare. In questi momenti, in cui dovrebbe sussistere un comune conforto tra i familiari, appare evidente il contrario: sebbene Munch ritragga sé stesso e i suoi parenti come un gruppo, in realtà ciascuna figura esprime un senso di solitudine diverso e vive in modo autonomo il dolore per la perdita. Questa assenza di comunicazione è lampante anche in Angoscia, Gelosia e nello stesso L’Urlo: Munch usa i personaggi sullo sfondo per creare profondità e attirare lo spettatore all’interno della sua composizione per coinvolgerlo in modo totale nell’emozione indagata sulla tela.

Il tema della morte attraversa tutta la produzione di Munch ed è presente anche nelle opere dedicate alla relazione di coppia, di cui l’artista esplora la sensualità attraverso le diverse versioni de Il bacioBacio vicino alla finestraCoppie che si baciano nel parco e Attrazione, senza poter fare a meno di restituirne anche una visione più letale attraverso i dipinti Vampiro e Vampiro nella foresta in cui interpreta il gesto romantico del bacio come distruttore dell’amore. Amore che Munch non riesce a maturare appieno, soprattutto dal lato più erotico: da Tulla Larsen, l’unica donna che abbia mai amato, si separa in maniera drammatica anche perché non riesce a esaudire la sua richiesta di intimità. La separazione feroce avviene nell’estate del 1902 quando, durante un litigio, un proiettile lede una delle dita di Munch: da quel momento Tulla non incarna più gli ideali della bellezza giovanile diventando piuttosto la rappresentazione di un’assassina. In Autoritratto su sfondo verde e Tulla Larsen, i due ex amanti sono uniti solo dalla cornice e i loro ritratti sono significativamente divisi tra loro a simboleggiare la fine della relazione. Emblematica è La morte di Marat in cui, ispirandosi alla famosa opera di Jacques-Louis David, Munch si ritrae steso su un letto, mutilato e sanguinante proprio come il rivoluzionario francese, mentre accanto a lui la colpevole del misfatto resta in piedi, quasi autodenunciandosi.  

Interessanti e inedite le opere nate dai suoi viaggi in Italia, durante i quali Munch scopre “la stanza più bella del mondo”, ovvero la Cappella Sistina e viene in contatto con l’arte di Raffaello di cui riproduce il ritratto sul suo taccuino. Ponte di Rialto, Venezia e La tomba di P.A. Munch a Roma sono tra le poche opere che la mostra espone per raccontare il rapporto tra Munch e il nostro Paese, e forse più affascinante sarebbe stato un ulteriore approfondimento per comprendere meglio il suo legame con l’arte rinascimentale italiana. 

La sezione più interessante dal punto di vista umano e artistico è quella dedicata agli autoritratti: mai sono stati effettuati da un artista così tanti ritratti di sé in diversi tempi e momenti della sua vita. L’Autoritratto del 1895, Autoritratto davanti al muro di casa, Autoritratto a Bergen e Il viandante notturno appaiono come i più significativi della sezione. Posando per sé stesso, Munch non solo riesce, come altri eminenti colleghi, a studiare la postura, le espressioni, luci e ombre del soggetto umano ma approfitta anche per esplorare il proprio io. Se nel dipinto del 1895 appare una sorta di spettro dalla testa immersa nell’oscuro vuoto cosmico ed è incorniciato da un’iscrizione a mo’ di lapide, nelle successive opere intende condividere il proprio stato d’animo con lo spettatore. È attraverso tali opere che tiene traccia dello scorrere del tempo, fino ad arrivare all’Autoritratto tra il letto e l’orologio, in cui si ritrae alla veneranda età di settant’anni tra un orologio senza lancette, quale effigie di mortalità, e il letto, luogo di nascita, riposo, sesso e morte. Ha le spalle basse, le braccia lungo i fianchi, i capelli disordinati, ma riesce a stare dritto in piedi quasi a voler significare che, nonostante tutto, è sempre pronto a difendere il suo lavoro e la sua arte dai nazisti, che gli impediscono di esporre le sue opere perché ritenute oscene.

La mostra si conclude con la sezione dedicata all’eredità di Munch di cui sono protagonisti i dipinti Sugli scalini della veranda, Muro di casa al chiaro di luna, Notte stellata, Inverno a Kragerø e Le ragazze sul ponte accomunati dalla stessa costruzione spaziale che attira lo spettatore all’interno del dipinto e lo rende partecipe dell’emozione rappresentata. La sua ricerca di regole cromatiche e innovative, le sue pennellate ampie e decise costituiscono un incipit per la nascita di quelle avanguardie che getteranno le basi dell’arte moderna. 

 

Diana Della Mura

1 marzo 2025

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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