Incontro con il soprano australiano al ridotto del Verdi
In questi giorni a Trieste è in scena ‘Lucia di Lammermmor’, protagonista Jessica Pratt, che per la prima volta canta al Teatro Verdi.
Attesa altissima. Qualche giorno prima del debutto viene comunicato che al previsto Stefan Pop, ammalatosi, subentrerà Francesco De Muro, che, peraltro, cesellerà un magnifico Edgardo.
Alla prima il pubblico viene raggelato dall’annuncio che il soprano è indisposto.
Forse qualche altra ‘divina’ si sarebbe fatta sostituire, anche perchè il rischio non era tanto deludere i melomani in teatro, ma quelli di radiorai3 che seguiva la serata in diretta.
Lei decide di andare in scena comunque, perfettamente conscia dei rischi, ma determinata a non tradire le aspettative del pubblico fosse che era venuto anche da lontanissimo per lei.
Un grandissimo controllo della tecnica, una perfetta conoscenza del suo strumento e delle sue possibilità, nei primi due atti non forza. Prova qualche suono, quasi a testare in diretta la situazione. Non sbaglia mai, nel senso che sa fermarsi prima del cedimento, evita errori, nonostante l’indisposizione che l’ha colpiuta non sia da poco.
Giunta al terzo atto, scaldato lo strumento, conscia dele possibilità, dà fuoco alle micce e regala una grande pagina di teatro e di musica. Affascina, emoziona, dona la magnificenza di una imperfezione carica di pathos e l’opulenza di una tavolozza ebbra di sfumature.
Il suo non è mai esercizio tecnico, esibizione di suoni, ma trasporta nel cuore di Lucia con intensità e generosità. Un trionfo, con richieste di bis, ovviamente inascoltate vista la situazione.
Seguono giorni di riposo, di antibiotici, di apprensione da parte degli appassionati. Al rientro in scena, la Pratt è in grandissima forma, ma ancora sotto medicinali.
Il giorno dopo è fissato un incontro con il pubblico, ma in molti temono che l’appuntamento venga cancellato, anche perchè ci sono altre due repliche da cantare, un tempo meteorologicamente ingrato e si sa che i grandi interpreti sono spesso spaventati all’idea di incontrare tanta gente, potenziali portatori di virus e batteri.
Invece la signora arriva, puntuale, sorridente, disponibile.
Una sciarpa rossa di seta avvolge con eleganza la gola, unico tocco da diva, che il soprano si toglie appena prende posto sulla sedia.
L’incontro, con le domande di Elisabetta d’Erme e Oscar Cecchi cui si assommano quelle dei presenti, ci fa conoscere una donna deliziosa. Ironica, divertente, determinata, preziosamente umile, capace di appassionare anche quando parla, non solo quando canta.
Racconta come a casa sua la musica fosse quasi un obbligo. Il padre tenore, la madre artista, per lei ed i suoi fratelli era stato quasi un obbligo sviluppare il talento musicale: non solo canto, ma anche uno strumento, nel suo caso la tromba, per potenziare i fiati.
Jessica racconta che lei pensava di fare le scultrice, ma alla fine la musica ha vinto.
Lo fa sorridendo, senza accennare alla recente perdita del padre, che l’ha portata lontana dalla scene per qualche mese, raccontando delle difficoltà di essere interprete lirico in Australia, dove la produzione è minima, di come avesse partecipato a due edizioni di Operalia perché chi superava le selezione poteva partecipare alle finali con le spese di viaggio pagate, che lei non si sarebbe potuta pagare altrimenti.
Racconta la sua vita in modo semplice, senza quelle sottolineature drammatiche di troppe sue colleghe, che sembrano uscite dalle storie dei fratelli Grimm.
Rievoca l’incontro in Australia con il Maestro Gelmetti, che la invita al Teatro dell’Opera di Roma per il ‘ programma giovani artisti’, la decisione di licenziarsi, di lasciare il fidanzato, salutare i suoi e partire per Roma, nonostante non conoscesse l’italiano.
Arrivata nella capitale, armata di tanti foglietti con le scritte in italiano da leggere, chiama il teatro e scopre che nessuno la aspettava, che non c’era il programma per i giovani talenti, che Gelmetti era fuori sede per alcune settimane.
Non si abbatte, richiama dopo una quindicina di giorni, trova il direttore, che la riconosce subito e grida alla segretaria ‘Si, è il canguro, falla venire in teatro!’ e comincia un percorso formativo di sei mesi all’Opera di Roma. Seguiva le prove di ogni spettacolo, arrivava prima di tutti, usciva per ultima e cercava di cogliere ogni aspetto, tutte le sfumature.
Fa ridere raccontando che non ha mai studiato l’italiano e dopo sei mesi romani, ritornata in Australia per qualche tempo litigava con il coach perchè cantava ‘Forze’ invece che ‘Forse’ e forte dell’esperienza italiana era convinta di avere ragione lei .
Il soggiorno romano fu lungo e qui emerge un altro bel tratto del carattere della cantante: la riconoscenza.
Racconta che la sua vita è stata cambiata radicalmente da un’opera vista nel teatro della capitale: ‘Tancredi’ di Rossini, con Devia, Barcellona, Gimenez. Di quanto sia grata a questi artisti che sono riusciti in uno spettacolo ad indirizzare la sua carriera, a creare quella magia che l’ha fatta innamorare del belcanto, che l’ha spinta a decidere di dedicare la sua vita a capire quali sono i segreti di questa musica che tanto l’appassiona.
Non è così comune che ci si ricordi dei colleghi, che si citino quelli in carriera, invece, al di là delle parole generose, quello che colpisce è l’espressione del volto, il sincero affetto che la Signora trasmette.
Dopo l’Opera sono arrivati i corsi della Scotto a Santa Cecilia, che si dedicava soprattutto all’interpretazione.
Successivamente si è spostata a Milano, dove ha studiato con Lella Cuberli. Poi Como, per approdare, infine, grazie all’amore per suo marito, sulle colline toscane .
A chiudere un po’ il cerchio, racconta che adesso studia proprio con la Devia, una delle artefici della sua ‘conversione belcantistica’.
Nei primi anni in Italia non aveva casa: si faceva ospitare da amici, ma racconta di aver dormito anche in una roulotte di zingari. Lo fa sorridendo, con grazia ed ironia. Nessun pietismo. La prima casa vera è stata a Como: un monolocale, ma tutto andava benissimo, perché stava dando forma ai suoi sogni. Adesso vive in una villa con tre ettari di campagna e quando viaggia si comporta ‘da vera italiana’: si porta dietro il suo olio, il suo pomodoro, come racconta ridendo di gusto.
Descrive la fatica di cercare di fare la cantante in Australia. Nonostante gli esempi prestigiosi della Melba e della Sutherland, la produzione di spettacoli è molto limitata, con una maggiore attenzione verso la musica sinfonica e barocca: la Sidney Opera ha una vera stagione lirica, ma nelle altre città importanti si può contare su un paio di allestimenti l’anno, con poche repliche. Difficile mantenersi cantando, tanto che la stessa Melba, arrivata in Europa, dovette fare sacrifici enormi per far partire la sua carriera.
Certamente fondamentale la caparbietà, che il soprano dice essere una nota distintiva dei suoi connazionali.
La Pratt racconta che ha organizzato una iniziativa a Brisbane, città dove vive la sua famiglia, per cercare di far conoscere meglio l’opera, invitando importanti cantanti italiani e valorizzando quelli locali, per cercare di rendere meno difficile la carriera ai giovani interpreti australiani.
Il soprano ha fondato con il marito una casa discografica, la ‘Tancredi Records’, per poter registrare i brani che più ama, recuperare partiture rare, che le case discografiche rifiutavano perché poco appetibili economicamente.
Parlando del disco ‘Delirio’, fa una considerazione interessante: voleva fare un disco senza rispondere ai bisogni del mercato, qualcosa che fosse un ricordo, una testimonianza del suo lavoro. Ha inserito tre arie famose, che il pubblico ama, ma anche dei pezzi rari, cui lei è legata, che narrano di pazzia e di depressione. Un racconto di disagio mentale, che è legato al fatto che negli anni in cui questi brani furono composti nascevano le prime richieste femministe, i primi tentativi di rendere la donna realmente indipendente.
La risposta della cultura del tempo, però, fu cercare di portare in scena donne deboli, che avevano bisogno di un uomo al loro fianco. Amina, Nina, sono fanciulle che quando vengono abbandonate perdono la testa, ma la ritrovano al ritorno dell’amato.
A queste figure, invece, si oppone Lucia, che è la prima che va fino in fondo: la sua è una pazzia vera, senza ritorno, che rompe gli schemi del tempo.
Documentare questo percorso vuol dire rendere omaggio ai compositori che la cantante ama, ma anche a tutte le donne che hanno saputo e voluto lottare per la loro indipendenza.
Ritornando alla carriera teatrale, la Pratt racconta come sia differente andare in scena nei vari paesi, sottolineando come sia importante che pubblico e musicisti conoscano il significato di quello che viene rappresentato e diverte tutti narrando di come lei faccia fatica a cantare quando gli orchestrali mostrano segni di noia, sbadiglino, siano distratti. Un problema che non trova in Spagna, in Francia e soprattutto in Italia, dove tutti sono partecipi: cantanti, orchestra, pubblico.
Sollecitata a spiegare la differenza fra Verdi e Belcanto, il soprano trova una definizione riuscita: Verdi descrive tante emozioni in momenti brevi, mente nel belcanto hai una emozione che viene sviluppata in tempi ampi. Un ritmo cui oggi non siamo più abituato, ma che è molto interessante, perché c’è il tempo di elaborare la sensazione, non si passa subito ad altro, ma si riesce a vivere l’emozione, a sublimarla. Forse questo rende meno dal punto di vista drammatico, ma consente di vivere la poesia della storia in modo più profondo.
Il racconto passa a Lucia, interpretata in oltre 40 produzioni e vissuta ogni volta in modo diverso, perché quando va in scena, lei porta le sua esperienze, il suo vissuto, i suoi cambiamenti.
Ci sono dei passaggi che ha messo anni a risolvere come voleva ed altri che si sono sistemati quasi da soli. Crescendo cambiano la tecnica, il corpo e ci sono nuove prove, nuove sfide.
Fondamentale per Lucia l’intesa con regista e direttore: la Pratt dice di arrivare sempre piena di idee, con tante possibili variazioni, ma prima di tutto ha bisogno di capire bene come sarà lo spettacolo, perché ogni invenzione, qualsiasi variazione deve essere giusta, integrata nell’idea generale. Ancora una volta una artista vera, che sa fare un passo indietro e non fa i capricci da primadonna per imporre gigionerie e facili effetti per un applauso in più.
L’immediato futuro prevede due debutti : ‘Lucrezia Borgia’ e ‘Mitridate’ alla Scala, ma anticipa anche che nuove regine che entreranno nel suo repertorio. Si tratta di ‘Anna Bolena’ e ‘Maria Stuarda’.
Ma ci sono anche sorprese inaspettate, come l’incursione nel contemporaneo con ‘Partenope’ di Morricone al San Carlo di Napoli, per i 2500 anni della città.
In chiusura la Pratt risponde al pubblico, raccontando di come ami la ‘Traviata’ ma si sia imposta di cantarla ogni tre o quatto anni, perché è un ruolo che esce dal belcanto e soprattutto ‘ti ruba l’anima’, ‘dà dipendenza’; di come non esistano regole fisse per la carriera, ma dipenda dall’età, dalle caratteristiche della voce, dalle opportunità, da cosa la vita offre; di come sia fondamentale conoscere la lingua per interpretare al meglio il ruolo, perché secondo lei non basta sapere cosa canti, ma capire ogni sfumatura.
Dice che cantare con Michael Spyres è come essere in scena con un fratello, ma che le piace molto anche duettare con Franceso De Muro, che condivide con lei il palcoscenico triestino. Poi con un sorriso ampio e divertente confessa che ci sono solo due tenori con cui non dividerebbe il palcoscenico, ma che non farà mai i loro nomi.
Ad un bimbo, che le chiede quanto studi ogni giorno, racconta che nelle sue giornate ci sono due sessioni di canto da quarantacinque minuti; due o tre volte esercizi di fiato per un quarto d’ora; lo studio del testo; l’approfondimento della storia del personaggio; il ripasso del repertorio, che le piace fare in un ambiente rumoroso.
Dopo aver promesso di ritornare a Trieste, il soprano si offre al numeroso pubblico per autografi, foto, discorsi e sorrisi, a dimostrare come si possa essere sublimi cantanti e deliziose persone, come per avere successo non sia necessario rinunciare alla propria personalità o piegarsi pedissequamente al sistema.
Una lezione di stile e di umanità, ancora prima che un trionfo del belcanto, che rendono onore ad una artista autentica.
Gianluca Macovez
27 aprile 2025