#segnalazione
Venerdì 4 dicembre, ore 20, “prima” di Tosca. Il capolavoro “romano” di Giacomo Puccini torna nell’allestimento del 14 gennaio 1900, quello cui assistette l’autore stesso, debutto assoluto dell’opera al Teatro Costanzi. Dopo il successo della scorsa stagione torna la fedele ripresa, un nuovo-vecchio allestimento, che fa rivivere la memoria storica del Teatro della capitale, che tra Ottocento e Novecento è stato al centro di debutti che hanno fatto la storia dell’opera, della musica, della cultura. La messa in scena di Tosca, sui bozzetti originali di Adolf Hohenstein, vede la regia di Alessandro Talevi. La ricostruzione delle scene è affidata a Carlo Savi, quella dei costumi ad Anna Biagiotti. Firma le luci Vinicio Cheli. Il Maestro Donato Renzetti torna a dirigere l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma.
Cast delle grandi occasioni con Anna Pirozzi, in alternanza con Virginia Tola (6 e 11) nel ruolo di Floria Tosca; Stefano La Colla in quello di Cavaradossi; Giovanni Meoni nei panni di Scarpia. William Corrò sarà Angelotti, Marco Camastra il Sagrestano e Saverio Fiore Spoletta. Nel ruolo di Sciarrone Daniele Massimi, in quello del Carceriere Francesco Luccioni.
Maestro del Coro Roberto Gabbiani. Con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma diretto dal Maestro José Maria Sciutto.
Tosca, dopo la “prima” di venerdì 4 dicembre (ore 20), sarà replicata domenica 6 (ore 16.30), mercoledì 9 (ore 20), venerdì 11 (ore 20), domenica 13 (ore 16.30)
DIRETTORE Donato Renzetti
REGIA Alessandro Talevi
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE DI Adolf Hohenstein
RICOSTRUITE DA Carlo Savi
COSTUMI DI Adolf Hohenstein
RICOSTRUITI DA Anna Biagiotti
LUCI Vinicio Cheli
INTERPRETI PRINCIPALI
FLORIA TOSCA Anna Pirozzi /
Virginia Tola 6, 11
MARIO CAVARADOSSI Stefano La Colla
IL BARONE SCARPIA Giovanni Meoni
ANGELOTTI William Corrò
SPOLETTA Saverio Fiore
SAGRESTANO Marco Camastra
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera
Allestimento del Teatro dell’Opera ricostruito sui bozzetti originali della prima esecuzione del 1900
Con sovratitoli in italiano e inglese
Trama
Atto Primo
L’interno di Sant’Andrea della Valle, a Roma, nel giugno del 1800. Cesare Angelotti, console della caduta Repubblica Romana, è evaso dalla prigione di Castel Sant’Angelo e si rifugia nella chiesa di Sant’Andrea della Valle, nella cappella della sorella, la marchesa Attavanti, di cui trova la chiave ai piedi della statua della Madonna. Appena in tempo per evitare di incontrare il sagrestano, il quale accudisce alla chiesa e poi si inginocchia a recitare l’Angelus. Entra il pittore Mario Cavaradossi per terminare un quadro montato su un’impalcatura e raffigurante la Maddalena, cui ha dato le sembianze della Attavanti, da lui precedentemente osservata, senza essere visto, in atto di pregare. Durante il suo lavoro il pittore si ferma, contempla il ritratto e lo raffronta con quello dell’amata Tosca, contenuto in un medaglione che tiene con sé. Andatosene il sagrestano, Angelotti esce dalla cappella e chiede l’aiuto di Cavaradossi, che sul momento non lo riconosce. Poi, alla voce di Tosca che lo chiama, il pittore fa nascondere Angelotti nella cappella, dandogli il proprio paniere delle provviste. Entra Floria Tosca, celebre cantante e amante gelosa del pittore. La donna, piena di passione, gli propone un incontro notturno nella villa di lui, e intanto gli fa una piccola scena di gelosia avendo riconosciuto nella Maddalena le fattezze della Attavanti. Uscita Tosca, Cavaradossi suggerisce ad Angelo di rifugiarsi nella propria villa, di cui gli consegna la chiave, e di portare con sé, per ogni evenienza, gli abiti femminili e il ventaglio fornitigli dalla sorella e tenuti nascosti sotto l’altare della cappella. Mentre si accordano, un colpo di cannone annuncia la fuga del prigioniero da Castel Sant’Angelo. I due escono insieme passando per la cappella. Rientra il sagrestano, a cui si aggiunge un vivace gruppo di chierici e di cantori che si preparano a festeggiare con un Te Deum la notizia di una presunta vittoria degli austriaci su Napoleone. Subito dopo, sulle tracce di Angelotti, entra il capo della polizia, il barone Scarpia, con l’agente Spoletta e i suoi sbirri. Scarpia fa frugare la chiesa; nella cappella Attavanti vengono trovati il paniere di Cavaradossi, vuoto, e un ventaglio con lo stemma di famiglia evidentemente dimenticato da Angelotti nella fretta della fuga. Grazie alle impaurite confidenze del sagrestano e al ritratto della Maddalena, Scarpia si convince di essere sulla pista giusta. Rientra Tosca, impaziente perché non trova più Cavaradossi. Abilmente, mostrandole il ventaglio, Scarpia insinua nell’animo di lei il sospetto che l’amante la tradisca con l’Attavanti. Tosca esce con l’intenzione di recarsi alla villa del pittore per sorprenderlo con la rivale. Scarpia ordina a Spoletta di pedinarla. Intanto la chiesa si è riempita di folla, che fa ala al cardinale e al corteo che lo accompagna. Mentre il coro intona il Te Deum, Scarpia si abbandona con il pensiero ai suoi desideri più nascosti: mandare Cavaradossi al capestro e stringere Tosca fra le sue braccia.
Atto Secondo
La stanza di Scarpia all’interno di Palazzo Farnese. È notte. Scarpia sta cenando. Dalla finestra aperta si ode un’orchestra che suona al piano inferiore, dove la regina di Napoli, Maria Carolina, dà una festa in onore del generale Mélas. Scarpia consegna al gendarme Sciarrone un biglietto per Tosca, attesa alla festa per eseguire una cantata, con il quale la convoca presso di sé. Il barone è certo che la donna verrà, spinta dall’amore per il suo Mario. Entra Spoletta, il quale riferisce l’esito dell’irruzione nella villa solitaria di Cavaradossi: non si è trovato Angelotti, ma il pittore è stato arrestato e condotto a Palazzo Farnese. Mentre dalla finestra sale il canto di Tosca e del coro, Cavaradossi respinge fieramente, di fronte a Scarpia, i reati di cui lo si ritiene colpevole: avere accolto in Sant’Andrea il prigioniero fuggito da Castel Sant’Angelo e averlo nascosto nella propria villa. Alla domanda diretta: “Dov’è Angelotti?” il pittore nega di saperlo, e del resto non c’è alcuna prova concreta contro di lui. Entra Tosca affannata, alla quale Cavaradossi dice, senza esse- re udito, di tacere; poi viene portato nella camera della tortura. Rimasto solo con Tosca, Scarpia, dapprima studiatamente gentile, cerca di persuaderla a parlare. In seguito, poiché ella sostiene con forza che il pittore era solo con lei nella villa, le descrive la condizione dell’amante: legato mani e piedi, con un cerchio uncinato che gli attanaglia le tempie. A un gemito di Cavaradossi, la donna, in preda all’ansia, sembra disposta a rivelare ciò che sa; ma poi, rassicurata dalla voce di Mario, riprende a negare. Finché, aperta la porta della camera della tortura, Tosca vede l’orribile scena. Il pittore, però, le impone ancora di tacere. Un grido straziante dell’amato la convince a cedere: Angelotti è nascosto nel pozzo del giardino della villa. Svenuto e insanguinato, Cavaradossi viene adagiato sul canapè; riavutosi, maledice Tosca per aver rivelato il nascondiglio di Angelotti. In quel momento Sciarrone reca la notizia della vittoria a Marengo di Napoleone sugli austriaci e sul generale Mélas. Cavaradossi esulta, ma lo aspetta il patibolo e viene trascinato via. Tosca chiede a Scarpia il prezzo per comprare la vita di Mario; Scarpia, ridendo, risponde che non vuole denaro ma il suo corpo. Tosca, inorridita, minaccia di gettarsi dalla finestra; poi le viene l’idea di rivolgersi alla regina. Scarpia la ferma: la regina farebbe la grazia ad un cadavere. Scarpia insegue Tosca per afferrarla, quando si ode il rullo dei tamburi che scortano il condannato: il tempo stringe, a Mario non resta che un’ora di vita. Tosca, al colmo della disperazione, rivolge a Dio parole dolorose. Subito dopo Spoletta annuncia il suicidio di Angelotti, scoperto dagli sbirri. Tosca, con un cenno del capo, acconsente al desiderio di Scarpia. Quest’ultimo, fissando con intenzione Spoletta, gli ordina di procedere con la fucilazione simulata di Cavaradossi, come già avvenne per il conte Palmieri; sarà Tosca stessa ad avvertire l’amato. La donna ottiene pure un salvacondotto che attraverso Civitavecchia consenta a lei e a Cavaradossi di uscire dallo Stato Pontificio. Mentre Scarpia scrive il salvacondotto, senza farsi notare Tosca afferra un coltello a punta dalla tavola imbandita e se lo nasconde dietro la schiena. Quando Scarpia si getta su di lei per abbracciarla, lo colpisce in pieno petto. Scarpia muore stringendo il salvacondotto nella mano. Tosca glielo toglie; poi accende due candele ai lati del cadavere, gli posa un crocifisso sul petto ed esce.
Atto Terzo
La piattaforma di Castel Sant’Angelo con l’interno di una casamatta. È ancora notte. In lontananza si odono i campanacci di un gregge e un pastore che intona un canto in dialetto romanesco. Un carceriere conduce Cavaradossi nella casamatta. Il pittore gli dona un anello affinché gli sia permesso di scrivere un biglietto di addio alla persona amata. Mentre scrive, si interrompe e pensa ai più intensi momenti d’amore e alla disperazione della conclusione della sua vita. Sopraggiunge Tosca e gli mostra il salvacondotto. Cavaradossi non crede ai propri occhi e Tosca gli spiega: questo è il primo e l’ultimo atto di grazia di Scarpia, poiché lei lo ha ucciso con le sue stesse mani. In seguito gli dà le istruzioni necessarie per farsi credere morto alla scarica a salve dei fucili e gli raccomanda di stare attento a non farsi male quando fingerà di cadere. È l’alba. Cavaradossi rifiuta la benda sugli occhi. Viene schierato il plotone di esecuzione, esplode la detonazione delle armi. Subito dopo il drappello dei soldati si allontana. Con molta precauzione Tosca suggerisce a Mario di non muoversi; poi lo sollecita ad alzarsi. Ma l’uomo rimane a terra immobile, morto. Arrivano confuse le voci di Sciarrone e di Spoletta che hanno scoperto il cadavere di Scarpia e stanno inseguendo Tosca. Quando Spoletta sta per afferrarla, Tosca corre verso il parapetto e si getta nel vuoto.
redazione
1 dicembre 2015