Venerdì, 22 Novembre 2024
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‘FALSO TRADIMENTO’ EMOZIONA AUTENTICAMENTE IL PUBBLICO DI SASSARI

Recensione delle prima mondiale della versione italiana di ‘Falso Tradimento’ in scena a Sassari

 

Sassari ha inaugurato  la sua stagione con  ‘Falso Tradimento’, titolo quanto mai interessante di Marco Tutino, andato in scena in prima mondiale nella versione italiana..

Diciamo subito che i pareri su questo lavoro riescono ad essere unanimemente positivi, ma  profondamente differenti uno dall’altro. Un po’ su tutto.

Non solo: questa recensione si riferisce alla prova generale e quindi in qualche modo ad uno spettacolo senza una grande affluenza di pubblico, che da un lato può essere un pregio per quel che riguarda la tensione, ma certamente  un limite per ciò che concerne la carica umana che la presenza in sala riesce sempre a dare.

Partiamo dalla partitura: si tratta, come dicevamo, della  prima mondiale della versione italiana di ‘Falscher Verrat’, andato in scena nel 2018 nel Teatro di Kiel per commemorare l’ammutinamento dei marinai del Kaiserliche Marine , che si era consumato, un secolo prima, nel porto della città .

Autore del testo italiano è lo stesso Marco Tutino, che ha seguito prove ed allestimento.

In definitiva quello che la stagione di Sassari, firmata da Alberto Gazale, che si sta rivelando, oltre che il baritono che tutti i principali teatri del mondo conoscono, anche ottimo direttore artistico, ha offerto al pubblico è di assistere ad uno spettacolo esattamente come lo vuole il compositore. 

Che evidentemente ha approvato interpreti e prestazioni, elemento non di poco peso nel giudizio di chi scrive.

Una occasione rara, stigmatizzata in più occasioni anche sui social dai più sensibili degli interpreti, che si rendevano perfettamente conto di scrivere una pagina della storia della musica contemporanea.

Il teatro sardo non è una delle fondazioni liriche italiane, ma fa capo all’Ente Concerti ‘Marialisa de Carolis’, che si sta distinguendo, eroicamente,  per scelte di grande spessore, ardite per certi versi, ma mai scontate. Sta puntando a voci italiane, come dovrebbe essere per i teatri di tradizione e riesce ad essere propositivo e stimolante, coinvolgendo  nelle iniziative un popolo, come quello sardo, attento e conscio dell’importanza della cultura, ma anche i tanti turisti che affollano la magnifica isola.

A dimostrazione che si possono offrire opportunità di grande spessore anche nei luoghi delle vacanze più suggestivi, purchè lo si faccia in nome della  qualità.

In questo caso  Sassari ha puntato tantissimo a questo allestimento.

Dal punto di vista scenico ha coinvolto uno dei più interessanti uomini di teatro  del nostro tempo: Hugo de Ana, che ha firmato scene, magnificamente illuminata da Valerio Alfieri, regia, costumi.

Il regista completamente ribaltato l’ambientazione della prima di Kiel, piuttosto claustrofobica ed opprimente, costruendo  una scena  fissa di grande impatto, ricca di simbolismi e situazioni ad effetto.

Al  sollevarsi del sipario, alcune grandi pentole ci introducono all’interno della nave,  costruita con  una struttura  di tubi innocenti dalla quale ci guardano i marinai, come fossero  animali nella notte, che pian piano prendono forma.

Appaiono gli ufficiali ed un gioco di luci esalta uniformi e cappelli, che si fanno  quasi aureole. Il potere, in certi ambiti, suona quasi sacro.

Una grande trave scende dall’alto, in sintonia con la musica, a spiegarci da subito che siamo davanti ad uno spettacolo dove nulla è affidato al caso,  nel quale ogni movimento trova nelle note la sua ragion d’essere, nel quale la musica governa, ma non annulla mai l’azione.

L’incombente elemento di scena si muoverà  costantemente nel corso dello spettacolo a suggerire ambientazioni e situazioni differenti.

All’inizio sulla trave  camminano  alcuni graduati  ed Arno von Stahl, che già dall’incipit introduce a quel gioco di  ruoli e maschere che anima la vicenda,  rivolgendosi ai marinai, suoi sottoposti con: ‘Amici, ascoltate’. Da li in poi  sarà un raffinato gioco  di parti e funzioni, di immagini apparenti e realtà tangibile, fino a perdersi  nell’ apparenza che diviene  proclamata realtà. Di facciata e non  di sostanza. Insomma un ‘Falso Tradimento’. Anzi, un rincorrersi di falsi tradimenti.

Il gioco dei guanti del comandante, all’inizio del primo atto, è una lezione sull’essere e l’apparire, appena suggerita da de , che riesce sempre a costruire  piani paralleli, spesso giocati su letture indirette, ma per questo forse ancora più incisive.

La luce che rende abbagliante  Lola al suo apparire cita ovviamente Marlene, non tanto, pur nell’affinità del nome, quella dell’ ‘Angelo Azzurro’, quanto quella di ‘Venere bionda’, lavoro  nel quale i temi della famiglia, dell’apparenza, del cinico calcolo che soccombono ai sentimenti, si intrecciano e si sublimano, proprio come in questo lavoro di Tutino.

Di grande impatto il baccanale che viene costruito con grande potenza: un cambio di luce, l’apparizione in scena di qualche prostituta, alcuni marinai in mutande o  con pochi vestiti. Una scena volutamente pesante, volgare, nella quale il racconto è di  sesso a pagamento e sentimenti negati, di rapporti consumati  a tempo, con una musica cinicamente ritmica, cui corrispondono movimenti, le riuscite coreografie sono di Michele Cosentino,  stereotipati, espliciti, bruschi.  C’è carne, peraltro volutamente negata allo sguardo, ma non ci sono sentimenti.

Quando tutti si accasciano, sfiancati , Lola inizia un’aria di seduzione, che unisce una gestualità greve ad una vocalità raffinata, in alcuni passaggi  dal profumo straussiano, citazione dotta ed opportuna di Tutino che è uno degli intellettuali più raffinati del nostro tempo, che sa rendere omaggio senza imitare, citare senza parafrasare.

Un bacio strega il capitano, che  si prodiga per la pace, scontrandosi con il potere forte, verticale, indisponibile alla mediazione e pronto alla minaccia ‘ io non esiterei un momento’, sibilata mentre sullo sfondo appaiono le silhouette di tre marinai e di tre donne, trasposizione evidente del ‘Giuramento degli Orazi’

Raffinatissima citazione di David, che bene si addice al percorso narrativo e che in qualche modo viene replicata quando il coro dei marinai ,  storicamente alla deriva, rimanda al ‘Naufragio della Medusa’ di Gericault.

Dopo il diniego alla resa, inizia il percorso di disobbedienza di Arno: cerca il giovane Gabriel e gli concede il permesso per andare da sua madre, con un gesto che potrebbe salvargli la vita. Musicalmente il dialogo è raffinatissimo, con due tessiture che si inerpicano sul pentagramma regalando momenti di grande intensità.

La trave ad un certo punto salirà e diventerà la casa che ospita di Arno. Qui Caoduro costruisce magistralmente la figura di quest’uomo che prende coscienza della situazione e che cerca di opporsi  ai giochi decisi da altri.

Molto efficace il dialogo, stringato, essenziale, domestico. Tutino, stendendo il testo,  non è caduto nel rischio di farsi prendere la mano dall’aspetto letterario ed ha scelto con attenzione ogni frase, trovando  un suono della parola che si specchiasse nella musica.

Nella casa ci sono un lampadario ed un grammofono, a sottolineare il valore profondo  della musica. Arno si  toglie la giacca, si siede di spalle alla platea, regalando una dimensione informale al pubblico, cui pare di assistere alla scena  di nascosto ed indossa la vestaglia che gli offre Elsa. Un gesto simbolico, che suona come la supplica a rinunciare al ruolo di comando per vivere la dimensione domestica, di coppia.

Arno entra in crisi, canta ‘Non so più che fare’: appare come un leone in gabbia ed il rosso della vestaglia pare farsi dolore, proiezione del suo strazio.

Mentre canta, sui tubi innocenti appaiono, muti, i marinai. Deve scegliere fra la sua e la loro vita, mentre la musica echeggia atmosfere pucciniane: un grande enigma si impossessa dell’esistenza del capitano.

 Quando la moglie gli propone la salvezza, lui la accusa: ‘Sei impazzita? Pensi io possa stare a guardare?” il respiro si fa ansimante e Caoduro lo  coordina alla musica. Pare respirare attraverso l’orchestra.

Lei cerca di convincerlo e lo ferisce dicendo  che i suoi marinai ‘Non sono come noi’. Una frase che pesa come un macigno.

 La pagina successiva ci  mostra Arno visionario. Immagina la fine, i cadaveri affogati, ma de ancora una volta se essere magistrale nei piccoli gesti:  fa sfogliare al capitano un libro, come se tutto fosse già scritto, in un atmosfera da tragedia greca, sacralizzata dai marinai, immobili presenze scure schierate sulla struttura, una specie di coro , muto ma presente.  L’ombra incombente di un futuro già scritto.

La nota finale, lunga ed impalpabile, è di commovente intensità e pare un sogno, dal quale ci svegliano gli accordi successivi,  che aprono ad un canto nervoso, spigoloso, forte: la domanda che Arno fa è il succo della vicenda: ‘pensi sia giusto?’. Il mutare rapido dei colori nel canto, l’alternarsi dei toni è una dimostrazione della bravura del baritono , che esce di scena con un passo rabbioso che traduce in gesto l’andamento musicale.

La scena muta a vista e vediamo Gabriel, interpretato con intensità da Di Vietri,  che  intona una preghiera in cui vengono mescolati i riferimenti alla Madonna ed a sua madre. La tessitura è ardua, decisamente complessa, e regala sensazioni forti, che si colorano di rimpianto quando  Lola offre al giovane un orsacchiotto, memoria di una infanzia perduta. Il canto è aspro, complesso, giocato su più registri, con alcuni suoni volutamente sgradevoli.   La narrazione travolge, per tingersi di struggente passione quando i due giovani si avvicinano.

L’arrivo di Arno, però, li interrompe ed inizia una sorta di sfida fra i due uomini per chi possa stare al fianco di Lola.

Interessante il confronto fra le voci, in un repertorio che non appartiene a nessuno dei due interpreti ma che viene risolto con bravura da entrambi.

Differenti anche  i tipi umani: Gabriel ingenuo, un po’ curvo,  con degli abiti che lo rendano un po’ informe, una tessitura alta e suoni  alle volte volutamente aspri; Arno severo nella postura, forte, determinato, con un canto pieno, uno sguardo prima rivolto al vuoto e poi, man mano che prende forma la proposta di  ribellarsi, sempre più mirato allo sguardo del giovane  fuochista.

‘Questo  è ammutinamento’ dice il marinaio. ‘Questa è legittima difesa’ risponde il capitano che invia Gabriel ad avvisare l’equipaggio. Sa benissimo che cercare di  salvare i suoi marinai  mette in dubbio la sua sopravvivenza. I colori caldi che Caoduro regala sembrano dare una forma a questa consapevolezza, essere il disegno del coraggio di essere veri, uomini prima che altro.

Inizia una pagina di grande sensualità, che nella prima assoluta si era risolta in   immagini brutali e dirette. Qui assistiamo ad un lento corteggiarsi, uno sfilare degli abiti, sempre in perfetta sintonia con la musica, un cercare posizioni flessuose, quasi scultoree. Ancora una volta attentissimo de Hanna, che fa indossare a Lola delle giarrettiere a metà coscia, che sottolineano più la carnalità del  ruolo che l’eleganza dell’interprete. 

Arno inizia a spogliarsi con  gesto deciso, determinato, quasi con irruenza, mentre Lola non perde il controllo della situazione, centellina  ogni movimento, sensuale,  calcolatrice, padrona della situazione. Alla fine sarà solo l’uomo a denudarsi completamente, in un gesto che non mette in evidenza tanto le forme, peraltro statuarie, quanto piuttosto il coraggio del cuore. 

Lola resta abbastanza vestita mentre Arno capisce la necessità di liberarsi di divise e stereotipi, di vestirsi di libertà autentica e coraggiosa. Il corpo non è compiaciuta esibizione, ma narrazione potente, quasi  citazione dei racconti drammatici di Schiele, che non a caso in quell’anno moriva. Una situazione che Gabriel, arrivato  all’improvviso ed annebbiato dalla gelosia, non coglie  nel suo valore più profondo. Ma questo è il destino degli uomini coraggiosi: quando  ti assumi il peso di grandi gesti, spesso sei  ripagato da fango ed ingiurie, menzogne e cattiverie.

Ecco quindi la delazione nel secondo atto, che spiega benissimo la scelta del registro sonoro di Gabriel.  Le note alte, complesse, ben eseguite, il coraggio  di evitare  per gran parte del ruolo pagine ariose e palesemente  armoniche a favore di suoni complessi, spiega il gesto  vigliacco con cui ripaga il suo capitano, che  aveva offerto a lui ed ai compagni la via della salvezza. 

Notevole anche la  discrepanza sonora con il canto dell’ammiraglio Krupp personaggio  ormai organico al potere, smussato, omologato, per certi versi scontato. 

Accanto a loro Elsa, alle volte spigolosa, alle volte monolitica. A tratteggiare una moglie più innamorata del proprio  ruolo che del marito.

I marinai lavorano come fossero  minatori. Matura il malumore, la ribellione alla guerra, anche senza nessuna delazione. Gabriel cerca di smussare le tensioni, tranquillizza i compagni, per paura che qualcuno g lo accusi di aver rivelato le informazioni ricevute da  Arno. 

Un  rincorrersi di tradimenti che spinge il ragazzo ad ubriacarsi in un bar malfamato, dove tutti bevono come automi, dove le prostitute si esibiscono  senza ritegno e dove lavora Lola, che prima respinge la proposta di Gabriel di fuggire insieme, poi gli conferma di aver trascorso una notte d’amore con Arno. Una scena di grande tensione, narrativa e musicale, con un canto spesso tagliente, volutamente disarmonico, eseguito con coraggiosa bravura. Certo farà storcere il naso ai puristi, a chi è più legato al canto di tradizione. Ma che serve benissimo la costruzione dei personaggi.

Alla fine, capito che Lola non sarà mai sua, il fuochista avvisa i compagni che il giorno dopo li vogliono mandare al massacro. Un rincorrersi forsennato di tradimenti su tradimenti, in cui il senso della realtà va perdendosi.

L’incontro fra Arno e Rufus è fra le sedie vuote. Un po’ come fossimo in una ambientazione da Pina Bausch. In effetti  quel dialogo è un viaggio nell’inconscio, fra ideali e convenienza, con una moglie che difende i privilegi , un ammiraglio che ha dimenticato cosa siano le persone, ed uomo vero, che sa commuovere nello strazio di una delle arie più intense e dell’intero lavoro, eseguita magistralmente

Segue una bella pagine in cui  il coro dell’ Ente de Carolis, ben diretto da Francesca Tosi, si fa misto: non più marinai e prostitute, ma uomini e donne, che chiedono  Pace, guidati da Gabriel.

Il capitano cerca di fermarli, ma la situazione si fa complessa, concitata,  in un susseguirsi di colpi di scena che porterà  alla morte di Arno e Gabriel, entrambi eroi o traditori, a seconda di chi li giudica.

Li accomuna un  telo rosso che scende dal cielo  e che vestirà Lola, protagonista della suggestiva conclusione, nella quale viene assunta in cielo, vestita  di sangue e lacrime, dopo un’aria struggente.

Il lavoro deve il suo successo alla perfetta intesa fra tutte le componenti, a cominciare dall’Orchestra dell’ Ente de Carolis, posizionata secondo le indicazioni dell’autore e diretta con mano sicura da  Beatrice Venezi che riesce ad equilibrare bene il peso dell’organico, senza prevaricare sui cantanti ed a trovare momenti di grande suggestione e forte commozione.
Valentina Mastrangelo costruisce un personaggio di grande spessore, sia vocale che scenico, confermandosi voce interessante ed attrice di spessore. Affronta, come Caoduro e Di Vietri, un repertorio decisamente distante da quello a lei consueto, ma esce vincitrice, come i colleghi, dalla sfida. La sua Lola è convincente  e coinvolgente, dotata di fiati sontuosi, musicalità, una ricca tavolozza di colori  ed un uso appropriato della tecnica.

Dario Di Vietri, che normalmente frequenta un repertorio da tenore spinto, affronta la parte  complessa di Gabriel Jensen, sapendo già dall’inizio che una partitura del genere non gli offrirà pagine da applauso a scena aperta. La  complessità narrativa del ruolo lo costringe a continui cambi di registro drammatico, a forzature sonore, che sa gestire con bravura.. Ruolo  difficile, che lo obbliga nella contestazione iniziale al capitano,  a cercare suoni quasi acidi,  giocati sull’ottava superiore, resi con  misura e controllo dello strumento vocale. Ci  sono pagine come l’Ave Maria, risolti con intensità e commozione. Ma anche passaggi realmente arditi, mai gratificati da  passaggi  armonici  ed accattivanti, che necessitano di una prestazione sempre molto tesa, verrebbe da dire a tratti ispida, che il tenore sa gestire con bravura.

Molto buona anche la partecipazione scenica, che lo trasforma in un sempliciotto un po’ ricurvo, con una zazzera scomposta ed una espressione spesso persa. Un antieroe, che pastella con bravura narrativa.

Giorgio Caoduro affronta un ruolo molto complesso, che ne fa il vero fulcro dell’azione. Vocalmente è chiamato  a volare sul pentagramma, con alcune parti dominate dai suoni più alti. Stentoreo negli ordini ai marinai, che forniscono un suggestivo ‘tappeto sonoro’ che rende ancora più taglienti le indicazioni di  von Stahl. Capace di colori ambrati per le parti più personali, di fiati lunghissimi e di passaggi realmente inusuali per uno dei massimi interpreti rossiniani al mondo, dominatore assoluto di colorature ed abbellimenti, ha regalato al pubblico di Sassari una prova di grandissimo valore. 

Caoduro  è sicuramente uno degli interpreti italiani che meglio sa utilizzare la fisicità per rendere il personaggio, per farlo uscire da ogni cliché e donargli autenticità. È capace di gesti scenici di inusuale spessore e di estrema raffinatezza. Quando consegna il permesso al fochista, sa in qualche modo di essere entrato in un viaggio senza ritorno. Si muove, in perfetta sintonia con la musica verso la zona in ombra: entra nella notte e le ombre del cappello gli nascondono il volto . A narrare quanto l’ufficialità, il rigore delle forme, possa essere, per  chi non sa cosa sia il vero coraggio, un porto sicuro.  Con un gesto calibratissimo Caoduro risponde all’afflato della strumentazione togliendo il copricapo e decidendo  che Arno arriverà prima del Capitano.  Un moto eroico che segnerà la sua fine, che viene sublimato in quel ‘io vado a morir’’, durante il duetto con Lola, che unisce il colore straziato alla determinazione  del suono,  solido e determinato anche nelle parti più alte della partitura.

Rufus Kropp, l’ammiraglio, è interpretato da Tiziano Rosati, che trova colori  autorevoli e cupi per un ruolo  di grande importanza narrativa: è lui l’ostacolo alla pace, all’affermazione dei sentimenti, uomo arido e cinico, ben descritto dal basso romano.

 


Elsa von Stahl  ha la voce di Anna Pennisi che sa rendere  credibile il suo personaggio, cinico  ed alieno agli ideali del consorte, grazie ad una voce solida ed ad una appropriata  presenza scenica, , 

Murat Can Guvem, che sempre più si sta specializzando nell’opera contemporanea, ha offerto  un convincente  Helmut Schulze Rohr .

 Michael Zeni è un intenso Richard; Gianni Cossi affronta con abilità il breve ma comunque complesso ruolo del Barman;  nella parte dei  sotto ufficiali risultano credibili ed efficaci  Diego Ghinati, Andrea Dessena, Antonello Lambroni, Paolo Masala.

Un meritato successo ha accompagnato, ci dicono, tutte le repliche, a confermare il valore della proposta del teatro Sardo ed a sottolineare come si possano realizzare ottimi spettacoli anche fuori dai circuiti più popolari e come l’opera contemporanea possa essere  graditissima al pubblico. Purchè realizzata con competenza e passione. Come in queto caso.

 

Gianluca Macovez

4 luglio 2024

 

informazioni

Sassari, Teatro Comunale – Stagione lirica 2024
FALSO TRADIMENTO”
Libretto di Luca Rossi e Wolfgang Haendeler. Versione italiana di Marco Tutino
Musica di Marco Tutino
Lola VALENTINA MASTRANGELO
Elsa von Stahl ANNA PENNISI
Gabriel Jensen DARIO DI VIETRI
Helmut Schulze Rohr MURAT CAN GUVEM
Arno von Stahl GIORGIO CAODURO
Richard MICHAEL ZENI
Barman GIANNI COSSU
Rufus Kropp TIZIANO ROSATI
Primo sottuficiale DIEGO GHINATI
Secondo sottuficiale ANDREA DESSENA
Terzo sottuficiale ANTONELLO LAMBRONI
Quarto sottuficiale PAOLO MASALA
Orchestra e Coro dell’ Ente de Carolis
Direttore Beatrice Venezi
Maestro del coro Francesca Tosi
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Valerio Alfieri
Coreografia Michele Cosentino
Nuovo allestimento dell’Ente de Carolis
Sassari, giugno 2024

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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