Recensione dello spettacolo La madre, in scena al Teatro Quirino dal 14 al 26 marzo 2023
Il tema de “La madre” è una sorta di manifesto femminile che andrebbe letto in una carta dei diritti delle donne, quando queste diventano madri. La maternità è tema diffuso nei testi teatrali, così come è diffuso il tema di una mancata rinuncia alla maternità, allo strappo del distacco dai figli, doloroso e irrisolvibile, se la donna in questione non ha praticato un lavoro su se stessa e sulla “costruzione” di “altre vie” oltre a quella della maternità. Nulla di nuovo, se non fosse che il testo di Zeller ne indaga tutte le derive patologiche.
Anna, la protagonista, interpretata da Lunetta Savino, è incatenata a tal punto nel suo ruolo di madre e di moglie tradita, ma che ha tradito anch’essa attraverso il suo insano amore per il figlio, sa sdoppiarsi in scena, in vari piani narrativi, che riproducono il racconto in una serie di realtà costantemente alternate. La resa è a tratti straniante, e credo che sia questo l’obiettivo del regista Marcello Cotugno. La stessa recitazione è spesso alienante, come se nel dramma psicologico della donna cadessero uno alla volta tutti i protagonisti. Il marito, interpretato da Andrea Renzi, il traditore, a volte profondamente solo, a tratti disilluso, sempre incatenato nei ricatti morali di una moglie che palesemente non lo ama più, seppure lo ha mai amato. Il figlio, un giovane e virtuoso Niccolò Ferrero, che non ha soluzioni contro una madre che lo ama troppo, se non la fuga, o l’omicidio (e non solo metaforico). La fidanzata del figlio, interpretata da Chiarastella Sorrentino, il mostro che allontana il bene amato da Anna e che per un gioco di ruoli assume le vesti anche dell’ amante del marito.
Anna tiene “la matassa” di questo gioco psicologico, e la tiene sul serio, un gomitolo di cotone rosso si arrotola e si srotola sul palco. Anna è colei che tesse la tela di una donna disperata, di un dolore da lei stesso costruito privandosi la possibilità di vedere oltre il suo essere madre.
Lunetta Savino, propone una recitazione asciutta, ripete, si ripete, diventa ossessiva e sembra si faccia fare tutto, seppure conduce il gioco della sua follia. In questo l’attrice è profondamente capace, delinea un ruolo senza forzature recitative, straniante e proprio per questo probabilmente più immerso in un disagio psicotico.
Una menzione, a nostro parere importante, va alla scenografia di Luigi Ferrigno, profondamente riuscita e parte integrante dello spettacolo. Cinque porte, un frigorifero, tre sedie e un tavolo, sembrerebbe poco, se non fosse che ognuno degli oggetti citati, insieme ad altri artifici scenici, concorrono a costruire la potenza dell’ossessione. Il gioco di specchi, le sedie, occupate sempre a due, lasciando la “sedia vuota” (chissà se è una citazione gestaltica?), il frigorifero che ruota intorno alla scenografia, glaciale e assordante allo stesso tempo, gli abiti indossati dalle due/tre donne, tutti uguali, seppure con differenti scollature e dimensioni; come a dire che Anna è stata, prima di essere madre, amante, fidanzata e tutto quello che ora non si permette di essere più.
In finale, il brano “L’odore delle rose” dei Diaframma, qui nella versione di Bianconi.
“L'odore delle rose
È una reazione chimica
Se un giorno lo scoprissi
Non l'ameresti più?
Il senso delle cose
È una coperta stesa
Su un passato ancora vivo
Ma te lo ricordi tu?...”
Barbara Chiappa
15 marzo 2023
informazioni
“La madre”
di Florian Zeller
regia Marcello Cotugno
con Lunetta Savino, Andrea Renzi, Niccolò Ferrero, Chiarastella Sorrentino
scene Luigi Ferrigno
produzione Compagnia Molière/Teatro di Napoli/Teatro Nazionale e Accademia Perduta/Romagna Teatri