Recensione dello spettacolo La famiglia Malocchio, liberamente tratto da Sante Stern dalle novelle di Pirandello. Regia di Sergio Ammirara. In scena al Teatro Anfitrione dal 13 febbraio al 1 marzo 2020
Forse non sappiamo più quale sia la nostra vera identità, smarrita in qualche palcoscenico della vita dove ci troviamo costretti a recitare più ruoli divenendo tante maschere all’interno di un unico “giuoco”: quello delle parti. In tale ribalta, si recitano tanti ruoli quanti sono gli sguardi che li contemplano, ognuno con il diritto di vedere secondo la propria verità mai univoca, ma terribilmente soggettiva. Guai a pensarci diversi da come la collettività ci vuole, guai ad imporre la nostra verità. È necessario per sopravvivere recitare fino in fondo quel ruolo per i quali siamo stati scritturati da altrui regìe, decidendo però noi la trama e soprattutto il finale della stessa.
Grande ed indistricabile risulta il conflitto interiore del giudice Igino D’Andrea nel voler tutelare un pover’ uomo condannato dal destino e dai suoi simili. Rosario Chiarchiaro è additato ingiustamente dalla comunità come “iellatore” poichè vittima di coincidenze che lo hanno visto sempre presente in occasione di tragedie e strani avvenimenti: tale reputazione è costata lui anche il posto di lavoro. Esasperato dalla situazione che ha il suo apice negli odiosi atteggiamenti scaramantici della gente al suo passaggio, egli denuncia due giovani, paradigmi di un’intera comunità che sarebbe dovuta essere denunciata in toto.
Tuttavia, lo stesso Chiarchiaro, sostenuto dalla sua famiglia che irrompe nel palcoscenico divenendo anch’essa coprotagonista, confida al giudice, con grande sorpresa e sgomento di quest’ultimo, di voler essere condannato. In tal modo, egli confermerà il suo potere di iettatore esprimendo, inoltre, la volontà di ufficialzzarlo attraverso una patente. La maschera infatti, specie quella imposta dagli altri, stringe sempre di più, rendendo remota e vana la speranza di potersene liberare: per sopravvivere ad essa, e renderne meno scomoda la convivenza, è necessario alleviare la propria condanna rendendola “prolifica”. Grazie al documento ufficiale, Rosario Chiarchiaro vuole regolarizzare il suo ruolo e trasformarlo così in fonte di guadagno, facendo del “talento” che la comunità aveva lui attribuito, la propria professione. La patente, quindi diviene metafora di sopravvivenza, di salvezza e di coerenza al gioco: sono come mi avete voluto..fino in fondo. Il possesso di tale documento, inoltre, consentirà all’individuo una propria e definitiva identità, rallentando così il valzer dei travestimenti per indossare, invece, una sola maschera...per sempre.
La pièce esprime e coniuga l’essenza di due novelle di Pirandello, ovvero “La patente” e “La tragedia di un personaggio”: quest’ultima avrebbe anticipato il più noto “Sei Personaggi in cerca d’autore”. All’interno quindi di un’intelaiatura narrativa simile a quella de La Patente, irrompono i familiari del protagonista della medesima novella: essi, non soddisfatti della poca definizione con cui sono stati tratteggiati da Pirandello, chiedono audizione allo stesso per rivendicare la loro esistenza ed eguale dignità, al pari di Rosario Chiarchiaro. Decisamente apprezzabile quindi l’idea registica di Sergio Ammirata e drammaturgica di Sante Stern di “sintetizzare” le due opere pirandelliane, speziandole con eleganti e frequenti rimandi di metateatro in cui i personaggi, “permeando” la quarta parete, intetloquiscono anche con il pubblico. Tuttavia la pièce non sempre è sembrata integrata in una figura armoniosa, risultando forse preda di eccessive personalizzazioni e perdendo a volte la propria centratura. A fronte di un indiscutibile impegno, è sopravvissuta, infatti, quella sensazione di leggero smarrimento al cospetto di uno sviluppo narrativo eccessivamente “saturato” da diverse contaminazioni stilistiche. Gradevoli ed apprezzabili le prove attoriali complessive tra le quali spiccano quelle di Francesco Madonna (giudice D’Andrea), Teresa Mignemi (nei panni della moglie di Rosario Chiarchiaro), Gianfranco Teodoro (Marranca, l’aiutante del giudice D’Andrea) e di Vittorio Aparo (Ruggiero, figlio di Chiarcaro). Ben curati gli inediti abbellimenti recitativi esaltati dall’eclettismo di Annachiara Mantovani alle prese con più ruoli tra i quali quello maschile di Viscardo, il factotum del Teatro. Tali recitazioni trovano il loro raccordo ed apice nella prova attoriale di Sergio Ammirata (Rosario Chiarchiaro) che, con spontaneità recitativa ed ironia, colora la scena, arricchendo di originalità e spessore il suo personaggio. Il Chiarchiaro di Ammirata è un uomo sornione, reso dalla sofferenza una figura garbatamente ruvida e al contempo saggia. La vita non lo ha annientato bensì rinforzato: ora sarà lui, con superiorità ed indifferenza, a prendersi a sua volta gioco di questa, avendone individuato il “pernio”.
Elegante ed essenziale è sembrata la scenografia (Clara Surro), che ha saputo restituire efficacemente l’atmosfera dell’interno dello studio dell’avvocato D’Andrea, mentre i costumi, ben rifiniti e curati della stessa Surro, hanno aggiunto credibilità alla pièce.
Buon apporto di pubblico, che ha ripagato con convinti e numerosi applausi, la coraggiosa proposta artistica di Ammirata.
Simone Marcari
24 febbraio 2020
Informazioni
La Famiglia Malocchio, da una commedia in due tempi di Sante Stern, liberamente tratta dalle Novelle: “La Patente” e “ La Tragedia Di Un Personaggio” di Luigi Pirandello.
Cast:
Sergio Ammirata: Rosario Chiarchiaro
Francesco Madonna: giudice Igino D’Andrea
Annachiara Mantovani: Viscardo, Ingrid Von Votten, Santona degli amuleti
Gianfranco Teodoro: Marranca
Teresa Mignemi: moglie di Rosario Chiarchiaro
Enrico Pozzi: Annibale, servo di scena
Vittorio Aparo: Ruggerio, figlio di Chiarchiaro, Principe Astolfo
Marianna Putelli: Lucilla, figlia di Chiarchiaro, Ninni, mascherina del Teatro
Antonella Bruni: Palmira, figlia di Ruggiero, Minni, mascherina del Teatro
Inoltre, Gobetti e Miracolati
Regia: Sergio Ammirata
Scene e costumi: Clara Surro
Assistente alla regia: Marianna Putelli
Musiche: Pasquale Citera
Direttore di scena: Fabrizio Pucci
Cooperativa La Plautina