Recensione dello spettacolo Giorni felici, di Samuel Beckett. Regia di Andrea Renzi. In scena all’Auditorium Parco Della Musica dal 12 al 23 Febbraio 2020
Nell’arida desolazione del deserto, metafora dell’umana condizione, dove vivere sembra un miraggio ed il silenzio domina l’orizzonte preannunciando morte, Winnie sembra contrapporsi alla non vita della melanconia dei giorni sempre uguali. Bloccata e immersa fino alla vita all’interno di una protuberanza rocciosa: così la bionda Winnie si presenta a noi. Alle sue spalle e ai piedi di tale ammasso, incapace di camminare ma solo di strisciare, c’è suo marito Willie di cui lei può solo udire la voce.
Ma cosa c’è di più potente e di più bello che sapere che l’altro c’è, anche se non lo vediamo? E’ di fatto il sentore della presenza dell’altro a dare il sostegno specifico di cui si necessita, permettendo di trasformare i giorni mortali in giorni felici. Perchè proprio nel momento più difficile, dove sembriamo per sempre inariditi, emerge prepotentemente la vita che, più è stata compressa e sacrificata, più irriverentemente fiorisce. Nel deserto relazionale dove oltre all’incapacità di raggiungere l’altro manchiamo anche la possibilità di riconoscerlo e riconoscerci in lui, anche una minima traccia di umanità diviene acqua e nutrimento, distogliendoci dalla solitudine esistenziale. “Mi basta sapere che in teoria mi puoi sentire, anche se in pratica non mi senti” grida Winnie al marito. Ella infatti ha semplicemente bisogno di sapere di essere viva e solo l’altro può confermare la nostra esistenza. Per questo Willie è una persona dalla presenza intermittente che non oscura la moglie rubandole la scena ma semplicemente..si limita ad esserci…
L’eloquio di Winnie è fluente, gli argomenti che tratta sembrano apparentemente trascurabili e inutili. L’abbondanza delle sue parole sembra a tratti funzionale a riempire i propri silenzi interiori, desensibilizzando le sue paure e cercando al contempo di raggiungere il marito: se esisti tu, sopravvivo anche io. Una coppia quindi, in cui nell’indistricabilità del surreale, agisce anche la concretezza delle comuni dinamiche “a due” che trovano nella moglie loquace e nel marito esasperato il loro paradigma. Forse anche Willie avrebbe voluto esprimersi in modo più completo e meno stanco, ma lo straripante eloquio di Winnie di fatto ha tolto energia alle intenzioni, saturandone la parola. Ma che importanza ha tutto ciò..se so che ci sei?
Nel teatro dell’assurdo di Beckett, dove la trama appare rarefatta e il significato non immediatamente intellegibile, domina la suggestione che determinate istantanee possono evocare. Siamo noi pubblico a ricoprire il ruolo di co - autore costruendo il nostro significato personale che prende spunto dalle vertigini beckettiane.
Di grande spessore e potenza emotiva l’interpretazione di Nicoletta Braschi, nel ruolo di Winnie, nel cogliere e comunicare la densità della drammaturgia di Beckett, sottostante la parola. Decisamente apprezzabile, nello specifico, la capacità con cui l’attrice ha saputo tenere la vibrazione della nota emotiva, incarnando le diverse anime del suo personaggio, coniugando vitalità, stupore per la vita, disillusione e paura. Apprezzabile la scelta del regista Andrea Renzi di rispettare e custodire la partitura originale di Beckett. Renzi orienterà infatti il proprio intervento sulla caratterizzazione dei personaggi, curandone anche la gestualità, come nel caso di Winnie che, assecondando un vero e proprio rituale, estrarrà e riporrà dalla sua inseparabile borsa, diversi accessori. Tale metodicità sembra amplificare l’amore e lo stupore per l’esistenza attraverso l’attenzione alle piccole cose nei confronti delle quali, con il nostro sguardo miope e sfocato, siamo spesso noncuranti. Un’attenzione specifica sembra essere stata posta nella valorizzazione delle pause e silenzi con i quali Winnie intervallava “improvvisamente” il suo monologo, quasi colta di sorpresa dal vero senso delle sue stesse parole. Di livello la performance di Francesco Paglino nei panni di Willie, che restituisce efficacemente la ruvidità quasi primitiva di un personaggio stanco, annoiato e devitalizzato dal sole e dalle parole di Winnie, rispetto alla quale sembra incarnare il suo opposto. Nonostante ciò, e forse grazie a ciò, egli di fatto “salva” la moglie con la sua costante presenza. Apprezzabile la scenografia (Lino Fiorito) valorizzata dalle gradazioni cromatiche di Pasquale Mariche. Essa, a fronte di uno sfondo forse eccessivamente essenziale, ritrae accuratamente la sporgenza rocciosa nella quale Winnie è trattenuta.
Appagato il nutrito pubblico, spettatore di un’opera sicuramente non immediatamente masticabile ma d’indiscusso spessore. Applausi quindi meritati ed intensi, secondi, per ovvi motivi, solo a quelli di uno spettatore (quasi) d’eccezione: Roberto Benigni.
Simone Marcari
20 febbraio 2020
Informazioni
Drammaturgia: Samuel Beckett
Traduzione: Carlo Frutteto (Giulio Einaudi Editore)
Regia: Andrea Renzi
Aiuto regia: Costanza Boccardi
Cast:
Nicoletta Braschi: Winnie
Francesco Paglino: Willie
Luci: Pasquale Mari
Scene e costumi: Lino Fiorito
Suono: Daghi Rondanini
Produzione Melampo Cinematografica, Teatro Stabile di Torino e Compagnia della Luna