Lunedì, 25 Novembre 2024
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Le proprietà salvifiche delle erbe medicinali raccontate dall’arte delle herbarie medievali

Recensione dello spettacolo le Herbarie. Le chiamavano streghe, in scena presso la rassegna Borgo d’estate, Piazza delle Vaschette, il 24 agosto 2019  


Herbarie. Le chiamavano streghe,testo di Silvia Pietrovanni, frutto dell’ adattamento di Isabella Moroni,porta in scena un raffinato lavoro di indagine ed introspezione sulla figura, dai contorni mistici e sacrali, della domina herbarum. Essa è l’erborista,che con la sua sapienza fondata sullo studio delle proprietà delle erbe che la terra offre in dono all’uomo,occupa un ruolo di spessore nelle comunità medioevali; ella è la saggia,cui il popolo ricorre continuamente alla ricerca di soluzioni ai più disparati malanni,del corpo e dell’animo.

Generazioni di donne,edotte dall’esperienza,non avvezze allo studio rigoroso della medicina ufficiale,il cui appannaggio è esclusivamente maschile ed accademico, per secoli hanno saputo tramandare le loro conoscenze, trasmettendo incessantemente le loro esperienze di cura. Le herbarie protagoniste sono farmaciste, sono levatrici, cui le famiglie delle partorenti affidano le donne per assicurare loro un parto sicuro; esse custodiscono il privilegio di condurre i primi istanti della vita, ma al contempo sono istruite nell’arte di indurre la “buona morte”, laddove le sofferenze del corpo non consentano più di sopportare la condizione terrena.

Sulla scena troviamo Lucia,una giovane erborista, attraverso il cui racconto gli spettatori ripercorrono la storia della sua famiglia,storia in cui si intrecciano i destini di tre donne, della nonna Mercuria, la magistra del paese, della figlia Caterina e della stessa Lucia, a sua volta apprendista herbaria,che rivive con nostalgica passione gli anni felici della sua giovinezza trascorsi ad onorare la madre terra, foriera di vita. Lo svolgersi della trama è efficacemente sorretta da un impianto scenografico semplice ma molto dettagliato; scegliendo di avvalersi di pochi oggetti di scena, la regia riesce ad affrescare limpidamente l’intimità del focolare attorno a cui le donne si riuniscono per preparare i loro unguenti,svelando la loro arte. Un improvviso scroscio di pioggia estiva sembra restituire alle attrici un momento di ritrovata intensità,ben orchestrato attraverso l’improvvisazione di un ballo propiziatorio che induca la pioggia a irrorare la feconda terra. Inoltre i colori delle vesti e la gioia dei canti intonati dalle tre protagoniste ben si contrappongono all’ambientazione austera e lugubre del convento da cui ci parla Lucia, la cui  tonaca nera e pesante ci restituisce il sentimento di profonda gravità che affligge la giovane.

Ella ricorda quell’indissolubile legame spezzato da un Inquisitore, sapiente uomo di scienza,asservito al perverso disegno di smascherare e “depurare” la medicina classica dall’insidia della sapienza femminile legata all’uso delle erbe medicinali. Nella figura del medico Inquisitore confluisce storicamente il disprezzo della medicina cristiana, nei confronti della conoscenza  popolare,che ben sa fare propri gli strumenti dell’ascolto del corpo e della psiche. L’incudine del Medioevo inquisitorio ricade dunque senza pietà sulle donne herbarie, conducendole all’oblio dell’esilio, d’ora in avanti non più sagge rispettate,ma insidiose streghe, pericolose dulcamare da denunciare  prontamente ai funzionari della Chiesa, sancendo una politica di ripudio delle più alte espressioni della conoscenza femminile.

Il progetto delle Herbarie ricostruisce storicamente il rapporto fra il ruolo della donna, il potere della guarigione e l’ostilità della società maschile, componendosi intorno all’indagine di una tematica di genere;la narrazione è volutamente femminile,e ciascuna interprete ben riproduce un diverso livello di conoscenza, da quella atavica della anziana Mercuria a quella contemporanea, legata allo studio scientifico della medicina naturale,che trova la sua sintesi nella figura della protagonista Lucia. Consegnare una descrizione veritiera del ruolo vitale, politico, della donna all’interno della società del tempo,conferendole la dignità della conoscenza attraverso l’esplorazione curiosa delle medicine naturali quali l’erboristeria, rappresenta l’obiettivo, riuscito,di uno spettacolo  che restituisce ad un pubblico numeroso e di diverse generazioni, il senso più vero ed umano del legame tra l’uomo e la terra,nella speranza di ricordare a tutti noi che,se rispettata, non mancherà mai di ripagarci, noi ospiti passeggeri, dei suoi benefici frutti.

 

Elena Federici

27 agosto 2019

 

informazioni

Herbarie. Le chiamavano streghe

Produzione Argillateatri
Interpretato da: Brunella Petrini,Elena Stabile e Claudia Fontanari

Regia di  Ivan Vincenzo Cozzi
Testo originale di Silvia Pietrovanni
Adattamento di  Isabella Moroni

 

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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