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Il silenzio nella Conca D’Oro: al teatro Hamlet

Recensione dello spettacolo "Il silenzio della conca d'oro", andato in scena al teatro Hamlet sabato 11 maggio 2019

 

Era il 4 maggio 1980, il giorno in cui il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, collaboratore dell’allora pretore di Monreale Paolo Borsellino, veniva ucciso dopo aver assistito ai fuochi pirotecnici in onore del Santo Patrono di Monreale. Lui, sua moglie Silvana e sua figlia Barbara di 4 anni stavano lasciando la festa, ma due spietati killer armati da Cosa Nostra, gli tendono un agguato e lo colpiscono alle spalle. Basile cade cercando di proteggere il corpo della bambina che porta in braccio e che per questo resterà viva.

Sembra che la Mafia abbia deciso, in base al suo codice d’onore, di risparmiare la vita delle due donne, ma Basile doveva morire, per cui gli hanno inferto il colpo di grazia quando era riverso a terra nel sangue. A nulla è valso il tentativo di salvargli la vita con un’intervento chirurgico all’ospedale civico regionale in cui le a sostenere la moglie in quelle lunghe ore di angoscia, c’era il pretore Borsellino. Ma cosa ha scatenato l’ira di Cosa Nostra per decidere la morte di Basile? Le sue indagini sulla mafia che allora era ancora poco conosciuta come organizzazione criminale, tra gli anni ’70 e ’80 si dubitava ancora della sua esistenza, “la mafia non esiste, è mitologia”. Grazie invece al lavoro di Basile che aveva accolto l’eredità di Boris Giuliano, anche lui assassinato l’anno prima, erano stati arrestati alcuni esponenti mafiosi vicini ai Corleonesi coinvolti nel traffico di stupefacenti. A proseguire le indagini, insieme a Borsellino, il capitano D’Aleo, che individuerà anche gli esecutori materiali del delitto, ma nel 1983, insieme all’appuntato Bommarito e all’ex autista di Basile, Morici, saranno le nuove vittime di Cosa Nostra. Gli autori dell’agguato di Basile saranno condannati e poi assolti e bisognerà attendere il Maxi Processo voluto da Falcone e Borsellino per condannare almeno due dei loro mandanti: Totò Riina e Francesco Madonia. Il terzo, Michele Greco, sarà condannato a fine anni ’90.

Il silenzio nella conca d’Oro è lo spettacolo di teatro civile scritto e diretto da Francesco Corticchia, che ha deciso di narrare quest’angosciante spaccato di storia contemporanea per rendere omaggio agli eroi del nostro tempo come Basile, uomini comuni che per amore della giustizia e “per spirito di servizio” (prendendo in prestito le parole di Falcone), hanno sacrificato la loro vita per riportare la legalità nel nostro Paese. Sullo sfondo di una scenografia essenziale in cui solo un leggio e un tavolino con un telefono la cui cornetta è aperta, Manfredi Russo conduce un reading sul testo di Corticchia, in cui riporta le vicende criminali che hanno coinvolto Palermo e la Sicilia nella seconda metà del secolo passato. La drammaturgia è attenta, precisa e puntuale nel ripotare le cronache del tempo, ma appare in alcuni passaggi asettica e nozionistica. L’interpretazione di Russo, nell’insieme risulta coinvolta e appassionata, ma a tratti forzata e poco naturale nel tentativo di conferire pathos a tutti i costi. Una linea di demarcazione è rappresentata dal momento musicale di Vittoria Locurcio, a cui è seguita una nuova fase della performance. Abbandonato il reading, Russo ha recitato un dialogo immaginario tra Falcone e Borsellino che assistono alle attuali degenerazioni del sistema di corruzione che vede ancora una volta coinvolte mafia, politica, massoneria, interrogandosi sul senso del loro operato e del loro sacrificio.. un momento finale di commozione e di partecipazione anche da parte di un pubblico coinvolto e attento. Ed è questo il senso del teatro civile che ha lo scopo di scuotere le coscienze e risvegliare in ognuno l’impegno per sentire in modo autentico il disgusto e il rifiuto per ogni forma di sopraffazione e di ingiustizia.

 

Mena Zarrelli

16 maggio 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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