Sabato, 23 Novembre 2024
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Il piacere dell’onestà: al Teatro Vascello anche la finzione esige correttezza

Recensione dello spettacolo Il piacere dell’onestà di Luigi Pirandello, con Alessandro Averone, Alessia Giangiuliani, Laura Mazzi, Marco Quaglia, Gabriele Sabatini, Mauro Santopietro. Regia di Alessandro Averone. In scena al Teatro Vascello dal 2 aprile 2019 al 7 aprile 2019


Anche l’apparenza e la finzione pretendono coerenza perchè il ruolo va rispettato e la forma onorata. Non si può essere attori solo provvisoriamente, per comodità altrui, per coloro che hanno deciso che il nostro entrare troppo nella parte arrecherebbe loro danni e svantaggi. La maschera non ammette intermittenza anche quando confonde le nostre vere identità assimilandole al personaggio. Essa è parte di noi, azi siamo noi, mossi dall’urgenza vitale di salvare le apparenze, mostrando solo ciò che che gli altri vogliono vedere. Ma soprattutto l’apparenza nasconde e incatena la nostra vera natura, quella “ bestia” fatta di impulsività, cattiveria e difetti assolutamente sconvenienti da mostrare in pubblico e a noi stessi, divenuti sempre più maschere da aver perduto l’interezza, mai accettata, della nostra persona.

Il quarantenne marchese Fabio Colli, persona retta e stimabilissima, esasperato e maltrattato dalla moglie, è l’ amante segreto di Agata Renni dalla quale sta per avere un figlio. Il bisogno urgente della coppia di amanti è salvare le apparenze cercando un uomo disposto a fingersi provvisoriamente marito della giovane Agata e padre dell’imminente figlio. Il cugino di Fabio, Maurizio Setto, si occuperà personalmente di presentare alla coppia un suo ex compagno di scuola, Baldovino, disposto ad accettare le richieste della stessa. Egli appare inizialmente come una persona intimidita e dismessa, che sembra portare sul suo corpo i segni del proprio passato caratterizzato da vizi, debiti e scelte sbagliate: il poter essere utile alla coppia rappresenta la sua occasione di riscatto verso una realtà che lo rifiuta. Tuttavia Baldovino, convinto che anche le apparenze necessitino di onestà e coerenza, interpreta la sua parte in modo totale, comportandosi a tutti gli effetti come marito di Agata: detta le regole di casa, prende decisioni per la famiglia, mettendo così in crisi Maddalena, la madre di Agata e scansando di fatto la figura di Fabio, sempre più sullo sfondo, sempre più impotente. Inoltre, la nascita imminente del bambino lo renderà maggiormente responsabile perchè, per la gente, è lui il padre e ogni sua azione avrà ripercussioni anche sul nascituro.

Nemmeno la trappola tesa da Fabio per sbarazzarsi di lui, mettendolo in condizioni di rubare dalla cassa di una società anonima in cui Fabio stesso lo aveva fatto entrare, avrà il suo effetto di fronte all’onestà di Baldovino, contrapposta alle bassezze dei suoi interlocutori. Ma il sangue e la carne di Baldovino, tenuti a freno dall’apparenza, si ribellano alla meschinità altrui. Il suo personaggio si differenzia dalle ipocrisie delle apparenze, contrapponendo il suo piacere dell’onestà, il suo essere responsabile anche nella finzione, non vergognandosi del suo passato e del suo presente di fronte ad un mondo falso e meschino. “Sono entrato qui per non vivere, e voi mi volete far vivere per forza” è la frase urlata al mondo da Baldovino che dischiude il dolore ancora vibrante per i fallimenti della sua vita. La sua farsa è per lui l’occasione di astrarsi dalla materia terrena e volteggiare quasi senza corpo sulla vita altrui intenzionato ad onorare con onestà e coerenza il suo ruolo. Ma quando ti sorprendi interprete solitario, ed aspetti inutilmente sul palcoscenico chi ha deciso di non assumersi la responsabilità della propria parte, allora anche l’indomita bestia merita dignità al cospetto delle altrui meschinità.

Suggestiva e decisamente di livello la recitazione degli attori che riescono ad esternare vividamente la frustrazione dei loro personaggi nel trattenere la propria vera natura, alternando momenti di artificiosa calma a scompensi caratteriali dove il corpo si fa piccolo rispetto all’emozione. I personaggi quindi appaiono imbrigliati e pressati dall’imperativo di mantenere le apparenze e tenere a bada la loro bestia, aizzata e ravvivata da Baldovino che, con la sua correttezza disarmante, mette sotto scacco la tenuta mentale dell’intera famiglia. Marco Quaglia, nei panni di Fabio Colli interpreta un personaggio sin da subito caratterialmente labile, esasperato e terrorizzato dall’idea di non poter salvare le apparenze. Laura Mazzi caratterizza la sua Maddalena con tratti spiccatamente nevrotici modulati efficacemente su due diversi registri comportamentali, alternando esplosività a sfinimento. Alessia Giangiuliani incarna efficacemente il dramma e la dignità di Agata, una donna che, ancor prima di essere amante, è una madre e le madri, si sa, piangono in silenzio: Agata infatti appare in scena come una donna sfinita ed esasperata, portando con sè i postumi di un pianto nascosto.

Maurizio Satti (Mauro Santopietro) si contrappunta all’esplosività dei suoi interlocutori senza mai tradire la sua maschera, mantenendo quella formale e rigida calma tipica di chi, dietro le apparenze, è disinteressato alle altrui vicende, mentre Alessandro Averone interpreta con credibilità il ruolo di Baldovino, una figura in cui convivono, a volte in dissonanza, le imperfezioni di uomo e una disarmante onestà. La regia dello stesso Averone non si è limitata a trasporre in scena la drammaturgia pirandelliana ma, con tratti coraggiosi e nuovi, ha saputo colorare di accenti caratteriali la presumibile sobrietà originale, donando corporeità e movimento ai personaggi. Tuttavia, questi ultimi sono sembrati oltremodo definiti e sovraccaricati di tratti caratteriali fin troppo accentuati e rigidi, da rischiare di divenire a volte, figure comiche disperdendo la densità della scrittura originaria. In particolare il bravo Gabriele Sabatini, nei panni del parroco incaricato di battezzare il figlio della coppia, diviene un personaggio quasi esclusivamente umoristico con battute non presenti nella drammaturgia pirandelliana; lo stesso Fabio Colli è sembrato alla lunga troppo prevedibile nelle sue monocromatiche reazioni isteriche.

La scelta registica, con la complicità dei costumi curati da Marzia Paparini, rende decisamente coinvolgente il richiamo al concetto di maschera. Tale tematica, caposaldo pirandelliano, è rintracciabile in alcuni personaggi maschili caratterizzati da volti truccati completamente di bianco e pantaloni colorati, quasi attuali, contrapposti ai loro soprabiti stile fine settecento (appartenenti ad un’epoca antecedente l’ambientazione storica originaria), metafora di un ossequio eccessivo all’apparenza senza sostanza. Per tale ragione Baldovino sarà l’unico a non essere truccato in volto perchè il solo a ribellarsi alla maschera, preferendo l’imperfezione della sua vera natura al cospetto della meschinità travestita da nobiltà. Interessante il lavoro scenografico da parte di Alberto Favretto: un salottino rosso in stile classico posto a un lato della scena e una scrivania di legno sul lato opposto, suggestivamente illuminati da Luca Bronzo, esaltano il movimento degli attori per raggiungere tali ambienti, laddove un allestimento più “centrale” avrebbe ridotto l’azione.
La risposta partecipata del pubblico ha onorato uno spettacolo raffinato e di buona fattura.

 

Simone Marcari

4 aprile 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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