Martedì, 26 Novembre 2024
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Le notti bianche: quando i sogni proteggono dalla vita e le solitudini si incontrano

Recensione dello spettacolo Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij, con Giorgio Marchesi e Camilla Diana regia di Francesco Giuffrè in scena al teatro Ghione dal 12 al 17 febbraio 2019

 

Il racconto della solitudine di uomo che vive la propria esistenza distaccato dal mondo e incapace di comunicare: mai realmente uscito dall’oscurità della notte...e dalla propria. Vorrebbe anch’egli vivere un’esistenza normale, montare su una carrozza e partire insieme agli altri...ma nessuno lo invita. Cerca di andare incontro alla gente e di essere da questa soccorso per uscire dalla sua notte, ma non ha le parole giuste per far sentire il suo grido, e il coraggio viene a mancare. Ritorna così nella propria solitudine, quasi scusandosi per aver cercato di tradirla, e immagina da solo il dialogo che avrebbe voluto avere con gli altri irraggiungibili. Egli allora si rifugerà nel sogno perchè la realtà è divenuta proibitiva e deludente. E poi? Poi ci sono le notti bianche, ovvero, come lo stesso Dostoevskij ci informa, quell’epoca dell’estate in cui a San Pietroburgo, come in tutta la Russia del Nord, il sole tramonta verso le nove di sera e si alza all’una del mattino. In quelle notti è facile per il nostro sognatore perdersi nelle sue fantasie e smarrire se stesso, a tal punto da non capacitarsi come tutto ciò che ha sognato e immaginato non sia di fatto successo realmente. Il mondo reale si fa sempre più invisibile agli occhi del sognatore che passa in mezzo agli altri ignaro di loro, preda di un suo pensiero, di una sua suggestione e fuori sincrono con il mondo reale.

Quando quest’uomo incontrerà la giovane Nastenka, salvandola dalle avances di un uomo ubriaco, lei si stupisce nel vederlo tremare mentre le tiene la mano ed è incredula nell’apprendere che quel contatto fosse per lui un’esperienza mai provata prima. Lui infatti non ha storie, vive solo e non parla con nessuno, nel senso tradizionale del termine, ma soprattutto non desidera nulla perchè i suoi sogni sono già appaganti. Anche Nastenka è sola, ma la sua solitudine ha radici diverse: vive con la nonna non vedente che per controllarla la tiene legata a sè con una catena dalla quale riesce a liberarsi solo di notte, approfittando del sonno della nonna. Quella di Nastenka è una solitudine imposta e un’autentica lotta per l’autonomia e la differenziazione; il suo darsi al mondo è una sofferta conquista quotidiana. La ragazza è innamorata di un uomo che per affari è partito per un’ altra città e di cui attende il ritorno a breve. Quattro notti bianche vedranno insieme la ragazza e il sognatore che, dandosi appuntamento sempre alla stessa ora, condivideranno le loro emozioni e il desiderio di intimità.

I vissuti che il nostro sognatore riesce ad esprimere nei riguardi di Nastenka sono quasi infantili nei modi, perchè l’esternazione rappresenta un’esperienza nuova, ed è complicato rendere dicibili le emozioni quando sono più grandi del corpo che le contiene. Di questo personaggio non sappiamo il nome, come se l’autore avesse voluto sottolinearne la parziale invisibilità agli occhi del mondo, trattenendolo nell’indefinito e nell’oscurità della notte. Sarà lui, invece, a chiedere il nome alla ragazza e, proprio con quella domanda, la farà emergere dallo sfondo dell’anonimato, restituendole identità e corpo. Il romanzo giovanile di Fëdor Dostovskji datato 1848 è prevalentemente il racconto della solitudine di chi ha scelto l’isolamento e il rifugio nel sogno perchè incapace di relazionarsi con l’esterno. La sua distanza dalla realtà non è una scelta deliberata perchè quest’uomo ha provato ad amare l’altro da sè...ma non è riuscito a raggiungerlo. L’interpretazione di Giorgio Marchesi, nei panni del sognatore, scandisce efficacemente, attraverso il corpo, la tendenza e la frustrazione del personaggio che vorrebbe andare e invece rimane, desidera parlare invece rinuncia, avrebbe voglia di abbracciare ma non ha il coraggio. Nel verbale, tuttavia, non sempre l’attore è riuscito a trasferire la ruvidezza dell’anima sofferente, preferendo una recitazione troppo elegantemente distaccata dal vissuto del suo personaggio.

La regia di Francesco Giuffrè, a fronte di un adattamento teatrale del testo originale non sempre convincente nelle scelte e nelle licenze, riesce comunque a creare con tocchi delicati un’atmosfera sospesa tra l’onirico e la fiaba nella quale convivono, ottimamente armonizzati, autentica poesia, romanticismo e disperazione, coinvolgendo lo spettatore in un’ esperienza sensoriale. Attraverso l’originalità di alcune intuizioni registiche, il testo viene elegantemente impreziosito da raffigurazioni simboliche, come la scelta di rappresentare la nonna di Nastenka con un enorme fantoccio di pezza dalle sembianze di una vecchina, sottolineandone così l’imponenza sovrastante della regola parentale che impedisce il libero volo della nipote. Particolarmente suggestiva l’idea di raffigurare i viandanti solo con i cappotti e soprabiti, senza volto nè corpo, sospesi in aria, con l’intento di esaltare simbolicamente la visione del sognatore, estraneo ad ogni concretezza reale: gli altri sono vissuti come entità astratte e prive di anima. A concretizzare le idee del regista, una impeccabile Fabiana Di Marco che alla scenografia restituisce emotività e tensione alla narrazione, creando attorno ai personaggi un allestimento scenico dal sapore onirico che ben si armonizza con il temperamento della stesura drammaturgica, contribuendo notevolmente ad innalzare la stessa. L’interpretazione di Camilla Diana nei panni di Nastenka è particolarmente apprezzabile nei passaggi più intimi e corporei, in cui è evidenziato il dramma e la lotta interiore della ragazza per liberarsi da ciò che la tiene ancora dipendente, rappresentato simbolicamente dalla catena che la lega alla nonna.

Il pubblico, numeroso e convinto, abbandona la sala a fine rappresentazione portando con sè il buon sapore di questa e coprendo, con malcelata disinvoltura il pensiero per quell’ultima, implacabile domanda del sognatore: “Un intero attimo di beatitudine! È forse poco, anche se resta il solo in tutta la vita di un uomo?” 

 

Simone Marcari

16 febbraio 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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